Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze. (L. 20 maggio 2016, n. 76)

È stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale la L. 20 maggio 2016, n. 76, recante "Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze".
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Commento

(di Daniele Minussi)
E’ stata finalmente approvata la travagliata e controversa legge sulle unioni civili. Cosa prevede la nuova disciplina? Quali sono le conseguenze giuridiche più importanti, con speciale riferimento ai diritti successori? Il testo normativo, composto da un solo articolo, che si articola in ben 69 commi prevede due distinte figure giuridiche. I commi da 1 a 35 dell’unica norma regolano le unioni civili tra persone dello stesso sesso. I commi da 36 a 65 vengono invece a disciplinare le convivenze di fatto, che possono riguardare sia coppie omosessuali, sia coppie eterosessuali. In via di estrema sintesi, per “unione civile” si intende una sorta di vincolo matrimoniale tra persone dello stesso sesso. Con la “convivenza di fatto” invece si fa riferimento ad un legame meno stretto, qualificato da diritti e doveri diversi rispetto a quelli dell’unione civile.
L’unione civile viene costituita, come per il matrimonio civile, “mediante dichiarazione davanti all’ufficiale di stato civile alla presenza di due testimoni”. Il predetto ufficiale provvede poi ad effettuare l’annotazione dell’atto nei registri dello stato civile. E’ previsto che da tale vincolo nascano diritti e doveri simili a quelli scaturenti dal coniugio. In particolare il dovere di assistenza morale e materiale, di coabitazione, di contribuzione ai bisogni comuni in base alle proprie sostanze ed alle proprie capacità di lavoro professionale e casalingo. Il regime patrimoniale, in difetto di indicazioni diverse, è quello della comunione legale dei beni. Speciale importanza assume l’aspetto legato ai diritti successori: in favore del partner infatti è prevista una equiparazione al coniuge quanto a diritti di legittima, alla successione a causa di morte pure in mancanza di testamento, alla pensione di reversibilità.
E per le convivenze di fatto? Di esse si occupano i commi da 36 a 65 dell’unico “articolone”. Tale rapporto riguarda “due persone maggiorenni unite stabilmente da rapporti da rapporti affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale” (comma 36 art.1). Giova dunque chiarire che “conviventi di fatto” possono essere sia persone dello stesso sesso, sia persone di sesso diverso tra loro. Un primo problema è costituito dalla definizione giuridica di quando si verifica la “convivenza di fatto”. Basta una sola notte? Due? Tre? A questo riguardo la legge si produce in una “chicane” piuttosto ermetica, in quanto l’accertamento della convivenza si fonda “sulla dichiarazione anagrafica di cui all’articolo 4 ed alla lettera b) del comma 1 dell’art.13 del regolamento portato dal DPR 1989 n.223. Come dire che è sufficiente inserire il nominativo nello stato di famiglia, sia pure con l’espresso avviso che rimane ferma “la sussistenza dei presupposti di cui al comma 36”. Come dire che non basta l’inserimento nello stato di famiglia se fosse venuta meno lo “stabile rapporto affettivo di coppia”. Si può al riguardo immaginare le discussioni che potranno sorgere circa la permanenza in fatto di tale riedizione "minor" della “affectio maritalis”.
Ma il “fatto” è diverso dal “diritto” e varrebbe la pena di comprendere come una compiuta disciplina del rapporto, quando venisse prevista nel cosiddetto “contratto di convivenza” (che si pone come facoltativo e non dunque obbligatorio) di cui al comma 50 dell’art.1 della legge (redatto in forma scritta a pena di nullità e debitamente autenticato) non consentirebbe più di poter parlare di “rapporto di fatto”, in quanto proprio il contratto concluso tra le parti condurrebbe a qualificare il rapporto di convivenza come “di diritto”. Una volta istituita la convivenza “di fatto” (o di diritto) si stabiliscono doveri di assistenza reciproca, i diritti di permanenza nella casa di comune residenza e di successione nel caso di locazione. E’ esteso alle coppie di fatto il godimento di un titolo di preferenza per l’inserimento nelle graduatorie per l’assegnazione di alloggi di edilizia popolare ed è stato riconosciuto nell’ambito dell’impresa familiare di cui all’art.230 bis cod.civ. al convivente di fatto che presti la propria opera nell’impresa dell’altro convivente una partecipazione agli utili ed ai beni dell’impresa. A tal riguardo è stata addirittura introdotta nel codice civile la nuova specifica norma di cui all’art.230 ter cod.civ..
Notevole la disciplina della risoluzione del contratto di convivenza che, ai sensi del comma 59 si risolve per: a) accordo delle parti, b) recesso unilaterale; c) matrimonio o unione civile tra i conviventi o tra un convivente ed altra persona, d) morte di uno dei contraenti.
In particolare la risoluzione del contratto di convivenza per accordo delle parti o per recesso unilaterale deve essere redatta nelle medesime forme di cui al comma 51. Se il contratto avesse previsto, a norma del comma 53, lettera c), il regime patrimoniale della comunione dei beni, la sua risoluzione determina lo scioglimento della comunione medesima, dovendo parallelamente applicarsi, in quanto compatibili, le disposizioni di cui alla sezione III del capo VI del titolo VI del libro primo del codice civile. Resta in ogni caso ferma la competenza del notaio per gli atti di trasferimento di diritti reali immobiliari comunque discendenti dal contratto di convivenza.
E per i diritti successori? Nulla: silenzio assordante.

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