L'atto costitutivo del trust: l'elemento causale



In esito al riconoscimento del trust operato con la ratifica da parte del nostro Paese della Convenzione internazionale sottoscritta all'Aja il 01 luglio 1985 (Legge 16 ottobre 1989, n. 364 ) dal giorno 01 gennaio 1992 è possibile conferire effetto alle pattuizioni intese a dar vita a figure pratiche riconducibili al detto istituto.
Nell'atto negoziale con il quale viene istituito il trust l'elemento causale dovrebbe rinvenirsi nel programma. Nell'atto con il quale vengono trasferite le attività invece la causa dovrebbe rinvenirsi nella stessa destinazione dei beni alla persecuzione di uno scopo nota1. Il tutto una volta premessa l'indifferenza dell'effetto traslativo rispetto alla consistenza della causa del negozio.
La costruzione, indubbiamente suggestiva anche sotto il profilo dell'estrema sua levigatezza formale, risente delle conseguenze di voler imbrigliare ed adattare un istituto come il trust, ambientato nell'esperienza giuridica di common law, nelle geometrie concettuali degli ordinamenti di civil law. Basti tuttavia un'osservazione intesa a respingere la tesi: il negozio di fondazione è funzionale alla creazione di un nuovo soggetto distinto dal fondatore. Con il trust, al contrario, non si dà vita ad alcun nuovo soggetto nota2: i beni vengono semplicemente trasferiti al trustee che ne diviene titolare, sia pure nel modo peculiare di cui si è fatto cenno. Il punto di crisi della riferita teoria è pertanto costituito dalla palese insufficienza causale di un atto di mero programma quando ciò non fosse finalizzato a dar vita ad un nuovo soggetto.
In base alla predetta Convenzione del 1985 il trust comporta il riconoscimento e la possibilità della pratica attuazione nel nostro Paese di un atto di trasferimento inteso ad intestare beni, da parte di un costituente, a nome di un trustee, investito dei poteri e degli obblighi di amministrare i detti beni e di disporne nell'interesse di un beneficiario già sommariamente riferiti.
Ai sensi dell'art. 2 di tale convenzione viene chiarito che i beni del trust costituiscono una massa distinta e non fanno parte del patrimonio del trustee pur venendo intestati a quest'ultimo (o ad una persona diversa per conto di costui). Ne segue che non può essere riconosciuto come tale il trust nel quale il disponente si riservasse la facoltà insindacabile di variare scopo, statuto e regole del trust, addirittura svolgendo la funzione di Guardiano (Tribunale di Reggio Emilia, 21 ottobre 2014).
Il trustee è inoltre investito del potere ed onerato dell'obbligo di amministrare, gestire o disporre secondo le regole poste dallo statuto del trust e dalla legge di riferimento, dovendo altresì render conto del proprio operato: si evoca dunque una situazione soggettiva riconducibile più che ad un diritto o ad un potere, alla potestà, la quale implica l'investitura di una serie di poteri da esercitare nell'interesse altrui. Così potranno essere costituiti trusts con diverse finalità (protezione del patrimonio, trasmissione dei beni ai discendenti con la parallela assegnazione di uno specifico fine, scopi liquidatori in favore del ceto creditorio sia in riferimento a società (ma si veda Tribunale di Milano, 12 marzo 2012), sia in relazione al patrimonio di persone fisiche.
Di fondamentale importanza appare l'art.13 della Convenzione dell'Aja.
Esso prescrive che nessuno stato sia tenuto a riconoscere un trust i cui elementi importanti, ad eccezione della scelta della legge da applicare, del luogo di amministrazione e della residenza abituale del trustee, sono più strettamente connessi a stati che non prevedono l'istituto del trust o la categoria del trust in questione. La norma ha una chiara impronta antielusiva. Si faccia l'ipotesi di un trust che coinvolga il trasferimento di beni immobili siti in Italia, i cui beneficiari siano cittadini italiani in Italia stabilmente residenti ed il settlor pure sia italiano. E' evidente che, in questo caso, l'ordinamento si riserva la possibilità di intervenire, disconoscendo la portata di una costruzione che non rinviene la propria giustificazione in un ordinamento al quale risulta estraneo l'istituto del trust se non per finalità di risparmio fiscale.
Una pronunzia di una Corte di merito (Tribunale di Bologna, 28 aprile 2000) ha peraltro evidenziato che il disconoscimento non può sostanziarsi in una generica esclusione dell'operatività dell'istituto, idoneo pertanto a spiegare i propri effetti nel nostro ordinamento, salva la possibilità che venga disconosciuto il singolo atto, ai sensi del riferito art. 13 della Convenzione dell'Aja. La stessa Corte di merito ha avuto modo di statuire nel senso della piena validità ed efficacia del trust interno (quello cioè il cui unico elemento rilevante di estraneità rispetto al nostro ordinamento è rappresentato dalla legge di disciplina), ad eccezione delle ipotesi in cui esso sia stato costituito per finalità abusive o fraudolente (Tribunale di Bologna, 30 settembre 2003), quando non addirittura penalmente illecite (cfr. Cass. Pen., Sez. II, 9229 del 7 marzo 2016). La questione è strettamente dipendente dall'apprezzamento dell'elemento causale dell'atto costitutivo. Nella misura si reputasse accoglibile un ragionamento fondato semplicemente sulla positiva valutazione di esso alla stregua del criterio di cui all'art.1322 cod.civ. (cfr. in questo senso Tribunale Trieste, 19 settembre 2007), più non si paleserebbero ostacoli al recepimento della figura (Tribunale di Velletri, 29 giugno 2005). In questa direzione appare orientata un'ulteriore decisione della Corte bolognese che ha valutato positivamente il trasferimento al trustee di beni ereditari acquisiti da un soggetto sottoposto ad amministrazione di sostegno, sulla scorta della finalità di assicurare l'integrità del compendio a protezione del beneficiario (Tribunale di Bologna, decreto dell'11 marzo 2009). Ne segue la piena esplicazione dell'efficacia traslativa dell'atto istitutivo di trust che, quando implicasse il trasferimento della proprietà di beni immobili, dovrebbe essere assoggettato a trascrizione. Il tema sarà affrontato specificamente. Neppure potrebbe essere utilizzato l'istituto in esame allo scopo di frodare le ragioni dei legittimari. A questo riguardo non gioverebbe neppure evocare la forza vincolante della clausola di proroga della giurisdizione, per quanto essa sia pienamente ammissibile nel nostro ordinamento alla stregua della convenzioni internazionali. Tale clausola infatti esplica piena efficacia per i soggetti che vi si sono sottoposti, ma non per i terzi (Cass. Civ., Sez. Unite, 14041/2014). Una volta chiarita l'ammissibilità e l'esistenza di una causa meritevole di tutela, non si può non indagarne ulteriormente la portata: da questo punto di vista non si può non concordare sulla diagnosi relativa alla gratuità o addirittura alla natura liberale (Tribunale di Siena, 22 maggio 2015).

Date le cose dette, si intende perfettamente che, nell'ipotesi in cui il trust apparisse come semplicemente finalizzato ad operare una mera segregazione patrimoniale (ma si veda, nel senso della legittimità del trust c.d. "liquidatorio", Cass. Civ. Sez. III, 3128/2020 rispetto all'assetto degli interessi del disponente, non parrebbe sorretto da una ragione giustificatrice valida nella prospettiva dell'ordinamento. Si parla al riguardo di shame trust, che per la propria natura non può che essere nullo. Così il trust con il quale il settlor avesse nominato se medesimo come trustee allo scopo di assicurare sui propri beni l'effetto di dar vita ad un'autonomia patrimoniale affine a quella del fondo patrimoniale non meriterebbe di essere valutato come valido (Tribunale di Monza, 13 maggio 2015). Neppure la formale esistenza di soggetti beneficiari impedisce di qualificare diversamente il trust, nell'ipotesi in cui sussistano indizi gravi, precisi e concordanti che inducano a ritenere che in effetti il disponente continui a mantenere il controllo dei beni solo apparentemente conferiti in trust (Cass. Pen., Sez. II, 15804/2015). Va poi sottolineato come anche la semplice costituzione del trust, quand'anche non (ancora) seguita dall'atto di disposizione dei beni da conferire, sia stata reputata condotta configurante il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte (Cass. Pen., Sez. III, 6798/2016). In questa direzione la costituzione del trust non è di ostacolo a provvedimenti cautelari quali il sequestro penale finalizzato alla confisca dei beni (Cass. Pen., Sez. II, 9229/2016).

Sempre a proposito di elemento causale, ci si può interrogare circa la qualificazione dell'atto costitutivo di trust in riferimento alle categorie della onerosità, gratuità ovvero liberalità. Da tale punto di vista per lo più il trust potrà essere definito in chiave di atto contrassegnato da liberalità o, quantomeno, gratuità (cfr. Cass. Civ., Sez. III, 19376/2017). Non può essere tuttavia esclusa una natura onerosa, ogniqualvolta sia stato istituito solvendi causa. Per la rilevanza della distinzione anche in riferimento alla proponibilità dell'azione revocatoria ordinaria, si veda Tribunale di Bologna, 23 aprile 2015.

Il tema del sindacato dell'elemento causale di cui sopra si sposa perfettamente con quello della contestazione della natura abusiva dell'operazione da parte dell'Amministrazione finanziaria con la finalità di sottoporre a tassazione operazioni economiche in base ad una ricostruzione diversa rispetto allo schema negoziale posto in essere dal contribuente. E' stato tuttavia deciso (Cass. Civ., Sez. VI, 20254/12), con riferimento ad un trust costituito su un immobile di famiglia, che, ai fini dell'abusività dell'operazione, debba essere accertata la ricorrenza di due fattori: a) che il contribuente abbia conseguito un risparmio fiscale; b) che tale vantaggio costituisca la ragione essenziale dell'operazione, non giustificata da ulteriori ragioni economico-sociali, al più marginali.

Giova, prima di esaminare alcuni aspetti tributari, mettere a fuoco come il trust, prima di vedere realizzata la distribuzione ai beneficiari, può ben essere posto nel nulla. In tal caso la retrocessione dei beni al settlor si palesa come fiscalmente neutra (Cass. Civ. Sez. V, 8719/2021).

Dal punto di vista tributario l'atto costitutivo di trust si presta a numerose considerazioni. In particolare elemento distinto da quello attinente all'investitura reale in capo al trustee dei beni in trust, ci si è domandati se, in relazione ai beneficiari, sia dovuta l'imposta di donazione. La risposta dovrebbe essere negativa, sulla scorta della distinzione tra il momento del perfezionamento del trust e quello della distribuzione dei beni in trust (ma si vedano le osservazioni svolte da Cass. Civ. Sez. VI-V, 5766/2020). Soltanto al tempo della distribuzione si può dire che si verifichi in capo al beneficiario quell'arricchimento che conduce alla verificazione del presupposto impositivo (Cass. Civ., Sez. V, 15453/2019; CTP Como, Sez. V, 438/2014; cfr. anche CTP Lucca, Sez. III, 55/2015). Va tuttavia segnalato come sia stato tuttavia deciso, in riferimento ad una fattispecie di vincolo istituito per rafforzare la garanzia patrimoniale altrimenti generica del debitore in favore di alcuni soltanto dei creditori, nel senso dell'applicazione dell'imposta proporzionale di donazione ai sensi del 47° comma dell'art.2 del d.l. 262/2006. Lo stesso sarebbe a dirsi per l'atto costitutivo di trust (Cass. Civ., Sez. VI-T, 3737/2015). Questo orientamento è stato successivamente negato dalla stessa S.C., la quale ha ineccepibilmente osservato come non sussistano i presupposti impositivi per l'applicazione delle predette imposte proporzionali quando non si verifica alcun trasferimento di cespiti, come per l'appunto nell'ipotesi in cui il momento della distribuzione dei beni sia differito nel tempo (Cass. Civ., Sez. V, 734/2019; Civ., Sez. V, 975/2018;. Civ., Sez. V, 25478/2015). Sul tema è tuttavia nuovamente intervenuta la Cassazione, osservando come è la stessa norma di cui al 47° comma dell'art.2 cit. ad avere istituito una imposta specifica, indipendentemente dai profili effettuali dell'atto (cfr. Cass. Civ., Sez. VI-V, 4482/2016; cfr., in senso conforme, CTR Roma, Sez. XXXIX, sent. n. 4130/2016). L'orientamento è stato ribadito da Cass. Civ., Sez. V, 13626/2018, che ha richiamato espressamente l'orientamento di cui alla già citata 3737/2015. Questa impostazione è stata tuttavia ancora ribaltata da Cass. Civ., Sez. V, 16701/2019. E' stato osservato come il momento impositivo proporzionale non possa prescindere da un'indice effettivo di manifestazione di ricchezza, secondo i dettami costituzionali (art.53 Cost.): ne segue che l'imposta si colleghi necessariamente con il momento distributivo del trust e non già con quello della mera istituzione del vincolo (Cass. Civ. Sez. V, ord. 27830/2020; Cass. Civ. Sez. V, ord. 25905/2020; Cass. Civ. Sez. V, ord. 10261/2020; Cass. Civ. Sez. V, ord. 24232/2020).
Da segnalare inoltre l'orientamento in base al quale, nell'ipotesi in cui non fosse stato stabilito per il trustee alcun corrispettivo per il suo operato, consentirebbe di qualificare l'operazione come non patrimoniale. Ne discenderebbe la sottoposizione dell'atto costitutivo a tassa fissa: cfr. Cass. Civ., Sez. V, 15469/2018.
In ogni caso invece le imposte ipotecarie e catastali sono dovute in misura fissa (Cass. Civ., Sez. V, 21614 del 26 ottobre 2016; CTP Milano, Sez. XLVI, 6579/2015). Tuttavia va segnalato come sia stato deciso, anche in relazione alle imposte ipotecarie e catastali, nel senso della applicazione della misura proporzionale delle stesse (CTR Roma, Sez. VI, sent. n. 9525/2016).
In tema di trust autodichiarato si veda Cass. Civ., Sez. V, 31445/2018 nonché CTP Modena, Sez. I, sent. n. 848/2015.

Note

nota1

De Donato, D'Errico, Trust convenzionale, Lineamenti di teoria e di pratica, Roma, 1999, p.149.
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nota2

Discussa è la configurazione dogmatica dell'ente che si crea con il trust: si deve infatti escludere che esso sia una persona giuridica, ma è altresì difficile configurarlo come semplice soggetto giuridico (assimilabile, cioè, alle associazioni non riconosciute) dal momento che a ciò osta la provvisorietà del trust. La configurazione in chiave di semplice patrimonio separato comporta una stridente incapacità di armonizzazione dell'istituto, nato secondo principi giuridici estranei a quelli propri del nostro ordinamento.
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