Quando due persone maggiorenni sono unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale e non sono vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un'unione civile possono stipulare un
contratto di convivenza.
Ai sensi del
comma 50 dell'art.
1 della legge 20 maggio 2016 n. 76
"i conviventi di fatto possono disciplinare i rapporti patrimoniali relativi alla loro vita in comune con la sottoscrizione di un contratto di convivenza".
E' stato così introdotto nel nostro ordinamento una figura invero già presente da tempo in altri Paesi, disciplinando un fenomeno la cui rilevanza sociale rendeva un intervento da parte del legislatore. In questo senso va rilevato come, nel momento in cui i conviventi "di fatto" vengano a sottoscrivere il contratto di convivenza, la loro condizione smetta di essere riconducibile a quella dei rapporti "di fatto" per entrare a pieno titolo nell'ambito dei rapporti "di diritto", vale a dire giuridicamente regolati da un patto espresso. Peraltro la
facoltatività di tali accordi manifesta come la legge non abbia inteso rendere cogente una regolamentazione stabile di tali unioni, la cui natura eventualmente effimera differisce da un incontro occasionale anche semplicemente in dipendenza delle risultanze anagrafiche scaturenti dallo stato di famiglia.
Va infatti rimarcato come non sia sufficiente, a dispetto della qualificazione come "di fatto", la semplice circostanza dell'instaurazione di una convivenza fattuale per dar vita alla "convivenza" disciplinata dalla legge, ma
occorra il volontario inserimento dello stato di famiglia della persona con la quale il rapporto è stato instaurato. Ai sensi del
comma 37 dell'art.
1 della legge in esame infatti, per l'accertamento della stabile convivenza, "si fa riferimento alla dichiarazione anagrafica di cui all'articolo
4 e alla lettera b) del comma 1 dell'articolo
13 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223".
La natura contrattuale della figura in esame è fuori discussione. Si tratta altresì di un
actus legitimus, che cioè non tollera apposizione di condizioni o termini. Ai sensi del
comma 56 dell'art.
1 della legge, infatti
nel caso in cui le parti inseriscano termini o condizioni, questi si hanno per non apposti.Il contratto di convivenza deve, tra gli altri elementi,
prevedere il regime patrimoniale della coppia. A tal proposito si fa riferimento alla disciplina della comunione legale ovvero della separazione dei beni tra coniugi. Ai sensi del
comma 54 dell'art.
1 della legge, "il regime patrimoniale scelto nel contratto di convivenza può essere modificato in qualunque momento nel corso della convivenza con le modalità di cui al comma 51", vale a dire in forza di un contratto avente gli stessi requisiti formali dell'atto negoziale portante il patto di convivenza.
Il
comma 55 dell'art.
1 prescrive anche che il
trattamento dei dati personali contenuti nelle certificazioni anagrafiche deve avvenire conformemente alla normativa prevista dal codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, garantendo il rispetto della dignità degli appartenenti al contratto di convivenza. I dati personali contenuti nelle certificazioni anagrafiche non possono costituire elemento di discriminazione a carico delle parti del contratto di convivenza.
Non manca neppure il riferimento al diritto internazionale privato: è stato aggiunto dal
comma 64 dell'art.
1 l'art.
30 bis alla legge 31 maggio 1995, n. 218 in base al quale "ai contratti di convivenza si applica la legge nazionale comune dei contraenti. Ai contraenti di diversa cittadinanza si applica la legge del luogo in cui la convivenza è prevalentemente localizzata. Sono fatte salve le norme nazionali, europee ed internazionali che regolano il caso di cittadinanza plurima".
Prassi collegate
- Studio n. 196-2017/C, Comunione legale, contratto di convivenza e circolazione dei beni dopo la legge Cirinnà