La questione di illegittimità costituzionale dell'art. 2059 cod. civ. e l'intervento della corte



La questione di illegittimità costituzionale dell'art. 2059 cod. civ. è stata sollevata con l'ordinanza del Tribunale di Roma, sez. XIII, 20/05/2002 , che ha dichiarato non manifestamente infondata la relativa questione per contrasto con gli artt. 2 e 3 Cost., nella parte in cui la detta norma impediva la risarcibilità del dolore che scaturisce dalla perdita di un prossimo congiunto se non nei casi previsti dalla legge. Si reputava infatti sussistente sia una violazione dell'art. 2 Cost. , sia dell'art. 3 Cost. , in quanto sarebbe stata ingiustamente differenziata la condizione di chi perde il congiunto in conseguenza di un illecito accertato, e di chi invece perde il congiunto in conseguenza di un illecito presunto ex art. 2054 cod. civ. (ovvero in base ad altra presunzione di legge).Nel caso di specie, a seguito di un sinistro stradale, avevano perso la vita quattro persone. Datosi che, nel corso del giudizio, nessuna delle parti riusciva a superare la presunzione posta a carico di ciascuno dei conducenti dal II comma dell'art. 2054 cod. civ. , il Tribunale prendeva atto del fatto che, essendo stata la responsabilità accertata sulla base di una presunzione e non già in base alla ricostruzione obiettiva del fatto, tutte le domande di risarcimento del danno morale avrebbero dovuto essere rigettate.Infatti, se, da un lato, l'art. 2059 cod. civ. consente il risarcimento del danno non patrimoniale solo nei casi previsti dalla legge e tra questi vi è innanzitutto la commissione di un reato, dall'altro è costante affermazione giurisprudenziale che il danno non patrimoniale derivante da reato non possa essere liquidato quando la responsabilità dell'autore sia stata accertata in base ad una presunzione e non in base all'oggettiva ricostruzione del fatto.

Il Tribunale, ritenendo l'art. 2059 cod. civ. non conforme a Costituzione, ebbe a sollevare, dunque, incidente di costituzionalità, nei termini che seguono:
  1. violazione dell'art. 2 ed 3 Cost. sotto il profilo dell'uguaglianza. Il Tribunale ritenne "impossibile continuare a fingere di ritenere che la sofferenza morale causata dalla perdita di un prossimo congiunto non sia tutelata da alcun precetto costituzionale, e quindi, non costituendo un diritto della personalità, non possa essere risarcita se non nei casi di cui all'art. 2059 cod. civ. ". Secondo il tribunale, la conseguenza era che l'art. 2059 cod. civ. , impedendo la risarcibilità del dolore che scaturisce dalla lesione degli affetti più cari, viola sia l'art. 2 Cost. , in quanto frustra uno dei diritti fondamentali dell'individuo alla serenità morale, sia l'art. 3 Cost. , in quanto ingiustamente differenzia la condizione di chi perde il congiunto in conseguenza di un illecito presunto ex art. 2054 cod. civ..
  2. violazione dell'art. 3 Cost. sotto il profilo della ragionevolezza. Il Tribunale mosse da una critica a quell'orientamento giurisprudenziale che, per salvare la norma in esame dal dubbio di costituzionalità, ne proponeva una lettura costituzionalmente orientata. In particolare, tale giurisprudenza, seguendo la c.d. tesi del combinato disposto, affermava che la lesione di un diritto costituzionalmente protetto, anche in presenza di una norma come l'art. 2059 cod. civ. , sarebbe stato comunque risarcibile in base al combinato disposto dell'art. 2043 cod. civ. e della norma che si assume di volta in volta violata. L'art. 2043 cod. civ. sarebbe, quindi, una norma penale in bianco, dal momento che contiene solo la sanzione (cioè il risarcimento del danno), mentre il precetto andrebbe ricercato in altre norme dell'ordinamento, prime tra tutte quelle costituzionali.
Il Tribunale di Roma non accolse tale tesi sulla base di diversi motivi:
  1. l'assunto per cui l'art. 2043 cod. civ. sarebbe stata da reputare norma penale in bianco avrebbe costituito nulla più di un indimostrato postulato. Inoltre tale assunto non sarebbe stato condiviso neppure da Cass. Civ. Sez. Unite, 500/99, che aveva definito il danno risarcibile come "lesione dell'interesse al bene della vita al quale l'interesse (leso), secondo il concreto atteggiarsi del suo contenuto, si collega". Per le Sezioni Unite, quindi, avrebbe costituito danno risarcibile non solo la lesione di interessi costituzionalmente protetti, ma anche quella di qualsiasi interesse rilevante per l'ordinamento. Se l'interesse leso è rilevante per l'ordinamento, esso sarebbe stato senz'altro risarcibile, mentre se quell'interesse non è rilevante per l'ordinamento, non sarebbe stato risarcibile.
  2. Inoltre, la tesi del combinato disposto delle due norme, sarebbe pervenuta ad un risultato ermeneutico non consentito all'interprete, ma solo al legislatore: cioè l' interpretatio abrogans dell'art. 2059 cod. civ..
  3. Se si fosse ammesso per vero che il combinato disposto dell'art. 2043 cod. civ. con una norma della Costituzione avrebbe consentito di risarcire danni non patrimoniali al di fuori dei limiti del 2059 cod. civ., allora si giunge ad un'interpretazione abrogante del medesimo, giacché l'art. 2 Cost. ricomprende, invero, tutti i diritti soggettivi. Di fatto, qualsiasi pregiudizio alla serenità morale dell'individuo sarebbe in astratto risarcibile ex art. "X" Cost. e art. 2043 cod. civ. , anche in assenza di una dimostrata perdita patrimoniale.L'obbligo, per il giudice di merito, di preferire sempre l'interpretazione conforme a Costituzione sussiste solo là dove la scelta è tra due interpretazioni che consentono parimenti alla norma di produrre effetti. Ma, tra un 'interpretatio abrogans conforme a Costituzione ed un' interpretatio utilis difforme da Costituzione, l'interprete deve scegliere la seconda, altrimenti finirebbe per sostituirsi inammissibilmente non solo al legislatore, ma anche alla Corte costituzionale.
  4. Se si fosse ritenuto il pregiudizio morale risarcibile in base al combinato disposto degli artt. 2 Cost. (o altra norma di rango costituzionale) e 2043 cod. civ. , nel caso in cui il fatto illecito integrasse comunque gli estremi di un reato, si sarebbe risarcito due volte il medesimo danno. Così, nel caso di morte del congiunto causata dall'altrui illecito, ove si ritenesse che la rottura del vincolo familiare costituisca lesione di un diritto costituzionalmente protetto, la vittima avrebbe certamente diritto al risarcimento del danno ingiusto, ex artt. 2 Cost. e 2043 cod. civ. .Tuttavia, laddove l'illecito integrasse pacificamente gli estremi di un reato, la medesima vittima potrebbe legittimamente pretendere anche il risarcimento del danno morale.In questo modo, un pregiudizio assolutamente identico (la sofferenza per la morte del congiunto) verrebbe ad essere risarcito due volte: sia a titolo di lesione di un diritto costituzionalmente protetto, sia a titolo di danno morale.Tale esito interpretativo è in contrasto col generale principio di ragionevolezza i cui all'art. 3 Cost. , ma anche col principio di uguaglianza di cui alla medesima norma, in quanto privilegerebbe ingiustificatamente la vittima di un illecito accertato rispetto alla vittima di un illecito presunto.

Autorevole dottrina nota1 ha mosso critiche all'ordinanza in esame, poiché è parso che venga ad affermare, senza tuttavia darne dimostrazione, che tutti i diritti soggettivi possano esser considerati ricompresi nell'art. 2 Cost..
In particolare, è stato rilevato che:
  • La Corte Costituzionale ha precisato che l'art. 2 riguarda solo i diritti fondamentali e non tutti i diritti soggettivi.
  • I diritti fondamentali sono quei diritti che l'ordinamento, a livello costituzionale, riconosce a favore dei singoli in quanto condizione di sviluppo della personalità.
  • I diritti fondamentali sono inviolabili.
  • Inviolabilità significa indisponibilità, da parte del legislatore e della pubblica amministrazione, del diritto nel suo nucleo fondamentale.
  • I diritti soggettivi, invece, sono la posizione giuridica ordinariamente riconosciuta dall'ordinamento nei confronti dei soggetti ai quali il medesimo si rivolge. Come tale, il diritto soggettivo cumula in sé un elemento rivolto ad un bene della vita, rispetto al quale istituisce un rapporto di appartenenza o di pretesa tutelata e un elemento diretto alla pluralità dei consociati, rispetto al quale postula o un dovere di astensione o un dovere di collaborazione. Si tratta comunque di situazioni nella disponibilità del legislatore e, in certi casi, perfino della P.A..

Un conto è voler sostenere che l'art. 2 Cost. sia una clausola aperta, un altro giungere a ritenere che tutti diritti soggettivi possano, in sua virtù, diventare diritti fondamentali: in tal modo si sottrarrebbe l'intero diritto privato alla disponibilità del legislatore.

La Corte Costituzionale, con la sentenza 11 luglio 2003 n. 233, ebbe infine a dichiarare infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2059 cod. civ. civile sollevata, in riferimento all'art. 3 Cost., dal Tribunale di Roma. In tale sentenza la Corte mostra di aver fatto tesoro delle scelte interpretative compiute dalla Corte di Cassazione nelle predette cinque decisioni del maggio del 2003 (e precisamente nn. 7281, 7282 e 7283 nonchè le successive nn. 8827 e 8828 ). In particolare, il giudice delle leggi ha riconosciuto che l'art. 2059 cod. civ. , stabilendo che il danno non patrimoniale deve essere risarcito solo nei casi determinati dalla legge, circoscriveva originariamente la risarcibilità all'ipotesi, contemplata dall'art. 185 cod. pen. , del danno non patrimoniale derivante da reato. Ciò conferiva alla norma un carattere sanzionatorio, reso manifesto, tra l'altro, dalla stessa relazione al codice civile, secondo la quale «soltanto nel caso di reato è più intensa l'offesa all'ordine giuridico e maggiormente sentito il bisogno di una più energica repressione con carattere anche preventivo». Coerentemente a questa impostazione, si riteneva poi che il riferimento al reato, contenuto nell'art. 185 cod. pen., dovesse essere inteso nel senso della ricorrenza in concreto di una fattispecie criminosa in tutti i suoi elementi costitutivi, anche di carattere soggettivo, con la conseguente inoperatività, in tale ambito, della presunzione di legge destinata a supplire la prova, in ipotesi mancante, della colpa dell'autore della fattispecie criminosa. L'indirizzo interpretativo riassuntivamente esposto risultava tuttavia, ad avviso della Corte, destinato ad entrare in crisi per effetto dell' evoluzione che ha subito l'area di risarcibilità del danno non patrimoniale. Da un lato, infatti, il legislatore ha introdotto ulteriori casi di risarcibilità del danno non patrimoniale estranei alla materia penale, riguardo ai quali è del tutto inconferente qualsiasi riferimento ad esigenze di carattere repressivo nota2.Dall'altro, la giurisprudenza, sia pure muovendosi nell'ambito di operatività dell'art. 2043 cod. civ. , nel corso di un travagliato itinerario interpretativo nel quale la Corte è ripetutamente intervenuta, ha da tempo individuato ulteriori ipotesi di danni sostanzialmente non patrimoniali, derivanti dalla lesione di interessi costituzionalmente garantiti, risarcibili a prescindere dalla configurabilità di un reato (in primis il cosiddetto danno biologico). Il mutamento legislativo e giurisprudenziale venutosi in tal modo a realizzare ha fatto assumere all'art. 2059 cod. civ. una funzione non più sanzionatoria, ma soltanto tipizzante dei singoli casi di risarcibilità del danno non patrimoniale. Su tale base, pertanto, anche il riferimento al "reato" contenuto nell'art. 185 cod. pen. , in coerenza con la diversa funzione assolta dalla norma impugnata, non postula più, come si riteneva per il passato, la ricorrenza di una concreta fattispecie di reato, ma solo di una fattispecie corrispondente nella sua oggettività all'astratta previsione di una figura di reato. Con la conseguente possibilità che, ai fini civili, la responsabilità sia ritenuta per effetto di una presunzione di legge. Del resto, è significativo come la stessa giurisprudenza di legittimità abbia affermato, in relazione al reato commesso da persona non imputabile, che la risarcibilità del danno non patrimoniale a norma dell'art. 2059 cod. civ. , in relazione all'art. 185 cod. pen. , non richiede che il fatto illecito integri in concreto un reato punibile per il concorso di tutti gli elementi a tal fine rilevanti per la legge penale, essendo sufficiente che il fatto stesso sia astrattamente preveduto dalla legge come reato. Sicché può dirsi che, anche sotto l'aspetto della complessiva coerenza del sistema, la tesi che alla parola "reato" attribuisce il significato di fatto (solo) astrattamente previsto come tale dalla legge risulta certamente non estranea alla stessa giurisprudenza, pur richiamata dal rimettente a sostegno della contraria opinione. Né, d'altro canto, potrebbe ancora invocarsi, quale argomento a favore della tesi opposta, una asserita prevalenza della giurisdizione penale rispetto a quella civile.L'art. 75 c.p.p. ha definitivamente consacrato il principio di parità delle giurisdizioni, cosicché perfino la possibilità di giudicati contrastanti in relazione al medesimo fatto, ai diversi effetti civili e penali, costituisce evenienza da considerarsi ormai fisiologica.

Quanto al rapporto tra il danno non patrimoniale ed il c.d. danno morale soggettivo, la Corte ha precisato che può dirsi ormai superata la tradizionale affermazione secondo la quale il primo si identificherebbe con il secondo. Invero, nelle due pronunce della Cass. Civ. Sez. III, 8827 e 8828, che hanno l'indubbio pregio di ricondurre a razionalità e coerenza il tormentato capitolo della tutela risarcitoria del danno alla persona, viene prospettata, con ricchezza di argomentazioni, nel quadro di un sistema bipolare del danno patrimoniale e di quello non patrimoniale, un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 2059 cod. civ. , tesa a ricomprendere nell'astratta previsione della norma ogni danno di natura non patrimoniale derivante da lesione di valori inerenti alla persona. Dunque va ricompreso sia il danno morale soggettivo, inteso come transeunte turbamento dello stato d'animo della vittima, sia il danno biologico in senso stretto, inteso come lesione dell'interesse, costituzionalmente garantito, all'integrità psichica e fisica della persona, conseguente ad un accertamento medico (art. 32 Cost. ), sia infine il danno (spesso definito in dottrina ed in giurisprudenza come esistenziale) derivante dalla lesione di (altri) interessi di rango costituzionale inerenti alla persona.

Il tema della risarcibilità del danno non patrimoniale in caso di colpa presunta, è stato inoltre assunto in considerazione da ulteriori pronunzie del giudice di legittimità, che muovendo dalla "sempre più avvertita esigenza di garantire l'integrale riparazione del danno ingiustamente subito (...) nei valori propri della persona, anche in riferimento all'art. 2 Cost. ", è giunto all'enunciazione di un principio di diritto perfettamente coerente con le considerazioni sin qui svolte. E' stato infatti affermato che alla risarcibilità del danno non patrimoniale ex artt. 2059 cod. civ. e 185 cod. pen. non osta il mancato positivo accertamento della colpa dell'autore del danno se essa, come nei casi di cui agli artt. 2051 e 2054 cod. civ. , "debba ritenersi sussistente in base ad una presunzione di legge e se, ricorrendo la colpa, il fatto sarebbe qualificabile come reato" (Cass. Civ. Sez. III, 7281 e 7282). Sicché, nessun ostacolo sussiste, neppure sotto l'aspetto di un contrario diritto vivente, all'accoglimento di una interpretazione opposta a quella da cui muove il rimettente nel sollevare il dubbio di costituzionalità.Conclusivamente, l'art. 2059 cod. civ. dev'essere interpretato nel senso che il danno non patrimoniale, in quanto riferito alla astratta fattispecie di reato, è risarcibile anche nell'ipotesi in cui, in sede civile, la colpa dell'autore del fatto risulti da una presunzione di legge. In sintesi, la sentenza in esame si caratterizza per l'"allineamento" con la giurisprudenza di legittimità, nonchè per la tendenza alla tipizzazione dei singoli casi di risarcibilità del danno non patrimoniale.Più precisamente, rientrano nella categoria di danno non patrimoniale risarcibile, oltre al danno morale soggettivo derivante da reato, anche il danno biologico ed il danno determinato dalla lesione di altrui diritti costituzionali inviolabili inerenti alla persona.

La principale difficoltà ermeneutica risulta, dunque, l'identificazione tra i diritti protetti dalla Costituzione di quelli che possono dirsi dotati del requisito dell'inviolabilità.Secondo autorevole dottrina, tale esame non può prescindere dalla considerazione dell'interesse protetto, nonché dalla gravità dell'offesa, così da escludere dall'area del danno non patrimoniale risarcibile, in primo luogo, le lesioni oggettivamente di scarsa importanza.

E' il caso di osservare come Cass. Pen. Sez. IV, 2050/04 sia data carico di alleviare le fondate preoccupazioni della corrente dottrinaria contraria a questa evoluzione della giurisprudenza, preoccupazioni dirette soprattutto alla finalità di non estendere in modo abnorme una forma di responsabilità per sua natura dai contorni generici e indefiniti.Tali preoccupazioni possono essere attenuate, secondo la Corte, con una duplice considerazione:
  1. anche il danno non patrimoniale richiede pur sempre l'ingiustizia (oltre che l'elemento soggettivo e il rapporto di causalità) secondo i criteri di valutazione formatisi nell'interpretazione dell'art. 2043 cod. civ. (che può quindi continuare a rappresentare la clausola generale della responsabilità compresa quella per danni non patrimoniali: un passaggio della sentenza 8828/03 lo dice espressamente);
  2. l'applicazione estensiva dell'art. 2059 cod. civ. non dà luogo ad un abnorme ampliamento dei casi di danni risarcibili perché la selezione degli interessi meritevoli di tutela avviene con il parametro costituzionale (addirittura, se il riferimento è all'art. 2 Cost. , con la sola considerazione dei diritti l'inviolabili).

In definitiva, il sistema della responsabilità per danno non patrimoniale pare essere dotato di due filtri. Quello dell'art. 2043 cod. civ. e, una volta superato questo varco, quello dell'art. 2059 cod. civ. (casi previsti dalla legge, reato, lesione di diritti costituzionalmente protetti, quali per l'appunto quello riconducibile alla solidarietà familiare reciproca che conduce alla autonoma rilevanza del danno scaturente dalla perdita del congiunto: cfr. Cass. Civ. Sez.III, 15022/05; cfr. Cass. Civ., Sez. III, 1025/13 per la perdita del coniuge, anche se separato). Questo assetto, garantisce un sufficiente grado di tipicità delle ipotesi di danno riparabile. Si aggiunga, come possibile (e discusso) ulteriore criterio selettivo (peraltro non richiamato né dalla Corte costituzionale né dalla Cassazione), quello sostenuto da autorevole dottrina che richiede inoltre, come previsto da altri ordinamenti per i danni non patrimoniali, una gravità dell'offesa che giustifichi la riparazione.

Note

nota1

Monateri, in Danno e resp., 2002, fasc. 8-9, p. 862.
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nota2

Si pensi, ad esempio, alle azioni di responsabilità previste dall'art. 2 della Legge 13 aprile 1988, n. 117, per i danni derivanti da ingiusta privazione della libertà personale nell'esercizio di funzioni giudiziarie; dagli artt. 1-bis, 1-ter, 2 e 5-sexies della c.d. "Legge Pinto" (l. 89/2001), per i danni derivanti dal mancato rispetto del termine ragionevole di durata del processo.
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