Il
comma 42 dell'art.
1 della legge 76/2016 prevede in favore del convivente di fatto
un diritto temporaneo, variabile e risolubile a certe condizioni, di abitare nella casa di comune residenza nell'ipotesi in cui sia venuto meno l'altro partner.
Prescrive infatti la citata norma (la cui applicazione non è retroattiva: cfr. Cass. Civ., Sez. III,
10377/2017) che, salvo quanto previsto dall'articolo
337 sexies del codice civile, in caso di morte del proprietario della casa di comune residenza
il convivente di fatto superstite ha diritto di continuare ad abitare nella stessa per due anni o per un periodo pari alla convivenza se superiore a due anni e comunque non oltre i cinque anni. Ove nella stessa coabitino figli minori o figli disabili del convivente superstite, il medesimo ha diritto di continuare ad abitare nella casa di comune residenza per un periodo non inferiore a tre anni.
Il diritto peraltro è subordinato ad un doppio requisito: cioè al fatto concreto della permanenza presso l'abitazione dell'avente diritto e alla mancanza di instaurazione di un altro vincolo, ancorchè parimenti "di fatto". Infatti ai sensi del
comma 43 dell'art.1 citato "il diritto di cui al
comma 42 viene meno nel caso in cui il convivente superstite cessi di abitare stabilmente nella casa di comune residenza o in caso di matrimonio, di unione civile o di nuova convivenza di fatto."
Ci si può ben interrogare sulla eterea consistenza del diritto in parola. Se esso può ben dirsi scaturente da un legato
ex lege, la sua natura giuridica è discutibile. Si potrebbe pensare ad un diritto di abitazione, ma la tendenziale precarietà (la durata massima essendo comunque contenuta in cinque anni a far tempo dalla morte dell'altro convivente), il fatto che possa venir meno non soltanto per effetto dell'allontanamento dell'avente diritto dalla casa, ma anche a causa dell'instaurazione di un ulteriore vincolo, ancorchè di fatto (il cui accertamento sarà prevedibilmente difficoltoso proprio da parte dei soggetti che potrebbero avere un interesse all'estinzione del diritto), la mancanza di riferimento alle "esigenze della famiglia" che contrassegna il diritto reale di abitazione rende meggiormente plausibile una costruzione in chiave di diritto riconducibile al novero dei rapporti obbligatori.