Diritto all'onore ed alla reputazione



Ulteriore estrinsecazione dei diritti della personalità è il diritto all'integrità morale, inteso come diritto del soggetto all'onore, al decoro personale, alla reputazione nota1.
La persona ha un valore sociale che dipende anche dalla percezione che gli altri ne hanno sotto il profilo del decoro personale, decoro che può essere leso dalla diffusione di notizie o dall'attribuzione di fatti che diminuiscano o in qualche modo compromettano questa dimensione sociale del soggetto. Si pensi all'illegittima levata di protesto cambiario, la cui notizia, non seguita da efficace rettifica, è in grado di cagionare discredito personale (Cass. Civ. Sez. I, 18316/07).
Questo aspetto è protetto dall'ordinamento in primo luogo penalmente, mediante le norme che puniscono la diffamazione (art. 595 cod.pen.), illecito il cui perfezionamento non viene escluso dalla veridicità del fatto attribuito (art. 596 cod. pen.) nota2. Va rilevato come, nell'ambito delle depenalizzazioni di cui ai Dlgs 15 gennaio 2016 numeri 7 e 8, l'ingiuria (art.594 cod. pen.) più non possiede valenza penale.
Le fattispecie possiedono una rilevanza anche civilistica (per l'ingiuria anzi è rimasto soltanto tale presidio), in relazione all'obbligo del risarcimento dei danni, compresi quelli (per la sola diffamazione) morali (art. 2059 cod. civ., art. 185 cod. pen.), sia pure subordinatamente all'accertamento dell'illiceità penale della condotta. Parrebbe altresì possibile procedere al sequestro preventivo della pubblicazione in un tempo antecedente il definitivo accertamento dell'illiceità penale e pure nell'ipotesi in cui il media utilizzato sia costituito da internet (Cass. Pen., Sez. V, 7155/11). Si veda tuttavia, in senso potenzialmente difforme, Cass. Pen., Sez. V, sent. n. 11895/2014. Selezionare i contenuti ingiuriosi e diffamatori da quelli che non lo sono può essere non agevole. Infatti come muta la temperie sociale, così cambia anche la percezione e il senso comune. E' stato stabilito, ad esempio, come non rappresenti condotta penalmente illecita dare dell' "omosessuale" ad una persona (Cass. Pen., Sez. V, 50659/2016).

La reputazione ha poi uno speciale significato nei rapporti commerciali, in cui è fondamentale poter contare di buon nome per quanto attiene al merito creditizio. E' chiaro come quelle condotte che si ponessero come ingiustamente pregiudizievoli, screditando un soggetto senza giustificazione, non potrebbero non condurre al risarcimento del danno (cfr. Appello di Catania, 28 luglio 2014 che ha ritenuto responsabile l'Agenzia delle Entrate in relazione alle conseguenze di un rimborso IVA negato, che condusse all'iscrizione di ipoteca sui beni dell'asserito debitore).

Particolarmente delicato è il confine tra l'esercizio del diritto di critica e di cronaca, avente rilevanza costituzionale (art. 21 Cost.) e la eventuale lesione del diritto all'onore ed al decoro nota3. Infatti nell'ambito di tale diritto, con speciale riferimento alla critica "politica" devono reputarsi consentiti anche toni aspri ed espressioni accese (cfr. Cass. Pen., Sez. V, 4031/2014). Una cosa è la mera comunicazione nell'ambito dei rapporti interpersonali, altra cosa è l'esercizio di tale diritto nell'ambito della libertà di stampa. Normalmente non è permesso riferire indiscriminatamente fatti, ancorchè rispondenti al vero, che possono risultare pregiudizievoli (cfr. Cass. Pen., Sez. V, 46498/2014 in riferimento al fatto di aver dato del "moroso" ad un condomino alla presenza di ignari ospiti). Nella seconda ipotesi la rilevanza di altri interessi viene a prevalere.
E' palese che ogni giorno vengono diffuse notizie che in qualche modo riferiscono di accadimenti e di situazioni che possono ledere la percezione dell'integrità morale e sociale di persone ed enti. Si fronteggiano da un lato l'interesse del singolo all'integrità morale, dall'altro l'interesse della collettività a conoscere fatti e persone che assumano importanza pubblica.
Ai fini del legittimo esercizio di tale diritto, la giurisprudenza ha individuato i requisiti (Cass. Civ. Sez. III, 3679/98; Cass. Civ. Sez. III, 747/00) la cui sussistenza esclude, o meglio legittima, l'eventuale pregiudizio all'onore ed alla riservatezza dei soggetti coinvolti:
  1. corrispondenza alla verità dei fatti esposti;
  2. l'interesse pubblico alla conoscenza di essi;
  3. la correttezza formale dell'esposizione (c.d. continenza)(Cass. Civ. Sez. III, 4285/98).
Il primo requisito merita particolare attenzione. A fronte di pronunzie che si esprimono per la sufficienza, al fine di escludere la rilevanza penale della condotta, di una soltanto putativa veridicità dei fatti (in seguito dimostratisi non corrispondenti al vero), quando l'attività del giornalista fosse frutto di un serio e diligente lavoro (Cass. Civ. Sez. I, 982/96), si affermano principi più rigorosi, imponendosi al giornalista l'obbligo non soltanto di vagliare l'attendibilità della fonte, ma anche di accertare la verità sostanziale dei fatti (Cass. Civ. Sez. I, 4871/95).Si tratta, in sostanza, di concretizzare il contenuto dell'obbligo di diligenza che incombe su chi professionalmente si occupa della diffusione di notizie. Speciale rilievo possiede la condotta del giornalista che si limita a riportare pedissequamente le dichiarazioni di un soggetto intervistato, ogniqualvolta le stesse presentino un carattere ingiurioso o diffamatorio. E' stato deciso a questo proposito che possa invocarsi la scriminante del diritto di cronaca se "per le rilevanti cariche pubbliche ricoperte dai soggetti coinvolti nella vicenda...l'intervista assuma il carattere di un evento di pubblico interesse" (così Cass. Pen., 37140/01).
Particolarmente delicato è l'ultimo degli aspetti citati, vale a dire la c.d. "continenza". Essa importa l'adozione di una forma "civile" dell'esposizione dei fatti e della loro valutazione, cioè non eccedente rispetto allo scopo informativo da conseguire, improntata a serena obiettività, almeno nel senso di escludere il preconcetto intento denigratorio e, comunque, in ogni caso rispettosa di quel minimo di dignità cui ha sempre diritto anche la più riprovevole delle persone, sì da non essere mai consentita l'offesa triviale o irridente i più umani sentimenti. E' stato merito della S.C. (Cass. Civ. Sez. I, 5259/84) precisare quando ricorra un difetto sleale di chiarezza. Ciò ha luogo quando il giornalista, al fine di sottrarsi alla responsabilità che comporterebbero univoche informazioni o critiche senza, peraltro, rinunciare a trasmetterle in qualche modo al lettore, ricorre ad uno dei seguenti subdoli espedienti (nei quali sono da ravvisarsi, in sostanza, altrettante forme di offese indirette):
a) al sottinteso sapiente: cioè all'uso di determinate espressioni nella consapevolezza che il pubblico dei lettori, per ragioni che possono essere le più varie a seconda dei tempi e dei luoghi, ma che, comunque, sono sempre ben precise, le intenderà o in maniera diversa o addirittura contraria al loro significato letterale, ma, comunque, sempre in senso fortemente più sfavorevole, se non apertamente offensivo, nei confronti della persona che si vuol mettere in cattiva luce. Il più sottile e insidioso di tali espedienti è il racchiudere determinate parole tra virgolette, all'evidente scopo di far intendere al lettore che esse non sono altro che eufemismi, e che, comunque, sono da interpretarsi in ben altro (e ben noto) senso da quello che avrebbero senza virgolette;
b) agli accostamenti suggestionanti (conseguiti anche mediante la semplice sequenza in un testo di proposizioni autonome, non legate cioè da alcun esplicito vincolo sintattico) di fatti che si riferiscono alla persona che si vuol mettere in cattiva luce con altri fatti (presenti o passati, ma comunque sempre in qualche modo negativi per la reputazione) concernenti altre persone estranee ovvero con giudizi (anch'essi ovviamente sempre negativi) apparentemente espressi in forma generale ed astratta e come tali ineccepibili (come, ad esempio, l'affermazione "Il furto è sempre da condannare") ma che, invece, per il contesto in cui sono inseriti, il lettore riferisce inevitabilmente a persone ben determinate. E' stato messo a fuoco come anche soltanto il titolo e l'accostamento suggestivo di immagini, del tutto indipendentemente dal contenuto del pezzo giornalistico, possano integrare gli estremi del reato di diffamazione (Cass. Civ., Sez. III, 12012/2017);
c) al tono sproporzionatamente scandalizzato e sdegnato (specie nei titoli) o comunque all'artificiosa e sistematica drammatizzazione con cui si riferiscono notizie "neutre" perché insignificanti o, comunque, di scarsissimo valore sintomatico, al solo scopo di indurre i lettori, specie i più superficiali, a lasciarsi suggestionare dal tono usato fino al punto di recepire ciò che corrisponde non tanto al contenuto letterale della notizia, ma quasi esclusivamente al modo della sua presentazione (classici a tal fine, sono l'uso del punto esclamativo, anche là ove di solito non viene messo, o la scelta di aggettivi coloriti sì, sempre in senso negativo, ma di significato non facilmente precisabile o comunque sempre legato a valutazioni molto soggettive, come, ad esempio, "notevole", "impressionante", "strano", "non chiaro");
d) alle vere e proprie insinuazioni, anche se più o meno velate (la più tipica delle quali è certamente quella secondo cui: "non si può escludere che..." riferita a fatti dei quali non si riferisce alcun serio indizio) che ricorrono quando, pur senza esporre fatti o esprimere giudizi apertamente, si articola il discorso in modo tale che il lettore li prende ugualmente in considerazione a tutto detrimento della reputazione di un determinato soggetto. Insinuante può essere anche la domanda retorica, la cui risposta implicita contiene, in chiave lesiva della reputazione, il messaggio allusivo (cfr. Cass. Civ., Sez. II, 20260/2014 relativamente alle espressioni utilizzate da un professionista circa la condotta di un collega: "mi chiedo: come avrà fatto il nostro presidente... a collezionare nel 2011 quasi 200.000 euro di repertorio, considerato che di regola è impegnato. Il tutto per evocare il fatto che il professionista in questione, notaio, non legge gli atti che stipula)
Diverso dall'insinuazione, ma in un certo senso affine quanto al risultato, è l'accostamento alla notizia relativa a fatti specifici, la valutazione prognostica degli stessi in chiave negativa e colpevolista. Essa infatti si pone come potenzialmente induttiva di una confusione tra realtà storica e possibile evoluzione futura lesiva dei diritti della persona di cui si va a riferire (Cass. Pen., Sez. V, 3674/11).

Di particolare interesse è inoltre l'attitudine alla diffusione di dati e notizie attraverso tutto il mondo in tempi rapidissimi propria del mezzo informatico, con particolare riferimento alla c.d. "rete delle reti" (internet).
E' chiaro che la possibilità di pubblicare in tempo pressochè reale da parte di chiunque di notizie e di contenuti informativi è potenzialmente fonte di abusi conseguenti all'utilizzo di espressioni ingiuriose o diffamatorie.
La peculiarità dello strumento ha condotto all'adozione di provvedimenti (quale quello del sequestro preventivo che si concreta nell' "oscuramento" del sito web) specifici atti ad impedire il protrarsi o il reiterarsi della condotta lesiva consistente nella diffusione di espressioni diffamatorie (Cass. Pen., Sez. V, 46504/11). Si pensi anche alla enorme diffusione del fenomeno delle recensioni pubbliche su siti specializzati nella classificazione di pubblici esercizi come alberghi, ristoranti, trattorie, etc.. Al riguardo è stato deciso come, al di là della tutela risarcitoria secondo le regole ordinarie, il gestore del sito debba esercitare un controllo anche di tipo preventivo, volto ad impedire la pubblicazione di recensioni apertamente diffamatorie. La violazione di tale regola di comportamento può comportare l'emissione di provvedimento d'urgenza ex art. 700 c.p.c. con il quale venga ordinata la cancellazione della recensione dal portale (Tribunale Venezia, 24 febbraio 2015).

Perde inoltre rilevanza il fatto di stabilire il luogo in cui sono state effettuate le dichiarazioni o diffuse le notizie lesive: è stato pertanto reputato reato conoscibile dal Giudice italiano anche quello scaturente da una condotta tenuta all'estero, quando l'evento (vale a dire la percezione delle dichiarazioni o delle notizie) abbia avuto luogo in Italia (Cass. Pen., 4741/00). E' stato inoltre deciso che, poichè l'evento nel reato di diffamazione è rappresentato dall'effettiva percezione da parte di più persone del messaggio offensivo dell'altrui reputazione, non è sufficiente il mero inserimento della notizia diffamatoria nelle pagine web di un sito, occorrendo la prova della concreta percezione di essa da parte di soggetti che si siano connessi al sito (Tribunale di Teramo, 06/02/2002, si veda tuttavia il provvedimento del Tribunale di Livorno, 31/12/2012. E' difficile infatti che la pubblicazione di un contenuto su un social network non sia percepito in maniera diffusiva, data la natura dello strumento utilizzato). In considerazione di ciò si è messo a fuoco come sia l'interessato che debba dar eventualmente conto che, nonostante l'inserimento del messaggio diffamatorio, lo stesso non sia stato effettivamente giunto alla percezione degli utenti della rete (cfr. Cass. Pen., Sez. V, 32444/13, la quale ha altresì statuito che il tempo del perfezionamento del reato è quello del momento dell'attivazione del collegamento web)
In materia di determinazione del luogo in cui può considerarsi sorta l'obbligazione civile risarcitoria per l'illecito commesso, la S.C. ha statuito che esso debba venir determinato nel domicilio del soggetto danneggiato che ha subìto la conseguenza lesiva della condotta antigiuridica (Cass. Civ. Sez. III, 6591/02; Cass. Civ. Sez. III, 22586/04. Analogamente, per quanto attiene alla individuazione del giudice territorialmente competente per l'azione risarcitoria, il locus commissi delicti rilevante ex art. 20 c.p.c. deve essere individuato in quello ove si produce il pregiudizio che, nell'ipotesi di utilizzo di mezzi do comunicazione di massa, non può che essere considerato il domicilio del danneggiato (Cass. Civ. Sez. Unite, 21661/09).

L'ingiuria e la diffamazione via web hanno assunto una sempre maggior rilevanza in relazione allo sviluppo dei c.d. social network, dei blog, dei notiziari, di tutti quei commenti e quelle opinioni che vengono quotidianamente immessi in rete da una moltitudine di utenti smaniosi di "dire la propria", di esprimere opinioni, pareri, sentimenti che spesso non sarebbero palesati se esternati tra persone presenti.
Non è certo consentito utilizzare espressioni offensive, che a causa della diffusività del mezzo divengono necessariamente diffamatorie (applicandosi l'aggravante di cui al III comma dell'art. 595 cod.pen., si veda Cass. Pen., Sez. I, 50/2017, ma non quella specifica di cui all'art.13 della legge 47/1948 sulla stampa: cfr. Cass. Pen., Sez. V, 4873/2017). Nè ci si può difendere con l'argomento della mancata indicazione del nome del soggetto offeso, quando siano indicati comunque dati atti a consentire l'individuazione del medesimo (Cass. Pen., Sez. II, 16712/2014). Si può dire valgano, al riguardo, i già indicati criteri intesi a stabilire il discrimine tra legittimo diritto di cronaca e di critica ed espressioni ingiuriose e diffamatorie, tra le quali spicca la c.d. "continenza" (cfr. Tribunale di Caltanissetta, 26 maggio 2014).
L'anonimato della rete è inoltre soltanto apparente. Neppure l'utilizzo di soprannomi (c.d. nicknames) infatti fa venir meno la riconducibilità del commento all'autore. La tracciabilità degli indirizzi IP infatti ben può consentire l'individuazione del computer dal quale le espressioni eventualmente ingiuriose e/o diffamatorie sono state inviate, consentendo di scoprire l'agente (cfr. Cass. Civ., Sez. V, 8824/11). Alla responsabilità penale dell'autore della dichiarazione si affianca anche quella dell'amministratore del sito (blog o altro), il quale è onerato da un vero e proprio dovere di controllo (cfr. Tribunale Varese, 8 aprile 2013).
Indipendentemente dal fatto che la persona offesa si senta colpita, è possibile che sussistano ulteriori profili di illiceità. Si pensi al caso del PM che sul proprio profilo FB abbia pubblicato un post su un Sindaco la cui amministrazione è sotto indagine (Cass. Civ., Sez. Unite, 18987/2017). All'illecito penale consegue anche quello disciplinare.

V'è da considerare inoltre come vi siano ambiti per così dire "ristretti" ove la circolazione dell'informazione attinente un soggetto sia del tutto legittima, mentre non lo sia l'indiscriminata diffusione del dato. Così, ad esempio, è consentito, a chi svolge la funzione di amministratore di condominio, comunicare agli altri comproprietari la morosità di taluno dei condomini, ma non risulta invece legittimo utilizzare modalità di manifestazione del dato tale da permetterne la diffusione (Cass. Pen., Sez. V, 4364/13).

Note

nota1

Cfr. De Cupis, Condizioni morali e tutela dell'onore, in Foro pad., vol. I, 1960, pp. 677 e ss.; Liotta, voce Onore (dir. all'onore), in Enc. dir., pp. 202 e ss.; Garutti, Il diritto all'onore e la sua tutela civilistica, Padova, 1985; Zeno Zencovich, Onore e reputazione nel sistema del diritto civile, Napoli, 1985.
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nota2

Ciò accade ogniqualvolta, pur affermandosi la verità, sia stata ugualmente utilizzata una terminologia di per sè offensiva. Si vedano, tra gli altri, Gazzoni, Manuale di diritto privato, Napoli, 1996, p. 174; Galgano, Diritto privato, Padova, 1994, p. 88.
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nota3

V. Bianca, Diritto civile, vol. I, Milano, 1990, p. 162.
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Bibliografia

  • DE CUPIS, Condizioni morali e tutela dell'onore, Foro pad., 1960
  • GALGANO, Diritto Privato, Padova, 1984
  • GARUTTI, Il diritto all'onore e la sua tutela civilistica, Padova, 1985
  • GAZZONI, Manuale di diritto privato, Napoli, 2006
  • LIOTTA, Onore, Enc. dir.
  • ZENO ZENCOVICH, Onore e reputazione nel sistema del diritto civile, Napoli, 1985

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