Social network, espressioni in libertà e diffamazione aggravata. (Tribunale di Livorno, 31 dicembre 2012)

Integra l’ipotesi aggravata di diffamazione di cui al comma III dell’art. 595 c.p. (offesa recata con qualsiasi altro mezzo di pubblicità) equiparata sotto il profilo sanzionatorio al reato commesso con il mezzo della stampa, la condotta posta in essere dall’agente tramite l’utilizzo di Internet attraverso un social network, che si risolve nel pubblicare sulla bacheca del proprio profilo una frase denigratoria nei confronti del precedente datore di lavoro, dovendosi sottolineare il carattere pubblico dello spazio virtuale in cui si diffonde la manifestazione del pensiero del partecipante che entra in relazione con un numero potenzialmente indeterminato di partecipanti e quindi la conoscenza da parte di più persone e la possibile sua incontrollata diffusione.

Commento

(di Daniele Minussi)
Spesso non ci si rende conto, soli davanti alla tastiera, apparentemente liberi da condizionamenti e da censure, della enorme potenzialità dannosa delle parole (scritte) in (apparente) libertà...
La natura diffusiva e virale del web, che stride e si contrappone al momento solitario della generazione del contenuto informativo, al contrario è in grado di potenziare e moltiplicare il pregiudizio derivante da espressioni che, semplicemente ingiuriose se percepite soltanto dall'offeso, divengono assolutamente diffamatorie in riferimento allo strumento utilizzato.

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