L'abitabilità dei fabbricati o licenza d'uso



L'abitabilità degli edifici è una caratteristica fondamentale degli stessi.
Ai sensi dell'art.24 del T.U. 380/2001, il certificato di agibilità (che viene rilasciato dal Comune) attesta la sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico degli edifici e degli impianti negli stessi installati. L'agibilità (che può essere anche parziale: comma IV bis dell'art.24) non viene attestata unicamente per effetto della detta certificazione (la quale viene anche conseguita in esito al perfezionamento del silenzio assenso, che tuttavia postula che tutta la competente documentazione sia stata prodotta: cfr. Cass. Civ., Sez. II, 7472/2015), verificatesi le condizioni di cui al IV comma dell'art.25 del T.U. . Ai sensi del comma 5 bis dello stesso art.25 del detto T.U., il direttore dei lavori o altro professionista abilitato possono rilasciare la dichiarazione di conformità e agibilità.

In difetto di abitabilità (più esattamente appellata "licenza d'uso" o "agibilità") il manufatto non può neppure essere definito in chiave di unità abitativa. Al riguardo occorre anzitutto distinguere il caso in cui il fabbricato possieda astrattamente le qualità tali da poter conseguire la licenza d'uso dall'ipotesi in cui tali qualità facciano intrinsecamente difetto. Mentre nella prima eventualità si potrà discutere dell'eventuale inadempimento del venditore (Cass. Civ. Sez. II, 39369/2021), nella seconda ci si deve interrogare più radicalmente sulla validità dell'atto di alienazione (Cass. Civ. Sez. II, 3687/95).

In materia di vendita immobiliare è stato deciso che l'alienazione di un appartamento privo della licenza di abitabilità, pur dovendosi considerare urbanisticamente regolare in esito alla definizione dell'istanza di condono, costituisce per il venditore inadempimento che, sebbene non così grave da produrre la conseguenza della risolubilità, tuttavia legittima la domanda di risarcimento del danno da parte dell'acquirente (Cass. Civ. Sez. II, 7681/99). E’ stato tuttavia rilevato come la mancanza dell’abitabilità, una volta che il venditore si stato invitato ad adempiere fornendo le relativa certificazione, costituisca inadempimento grave, quand’anche la vendita fosse stata prevista “nello stato di fatto in cui l’immobile si trova" (Cass. Civ., Sez. II, 25040/09). Di "inadempimento definitivo" si è anche parlato in riferimento alla mancata consegna del certificato da parte del costruttore quando il tempo intercorrente tra la stipula dell'accordo comporti la scadenza di ogni ragionevole termine ex art.1183 cod.civ. senza che sia giustificato da situazioni provvisorie quali ritardi burocratici (Cass. Civ., Sez. II, 7041/2015).

Il tema dell'abitabilità (rectius : licenza d'uso) è comunque delicato. Infatti il procedimento per il conseguimento del relativo titolo abilitativo è attualmente contrassegnato dal semplice silenzio assenso, la cui legittima formazione tuttavia presuppone che il costruttore abbia depositato presso i competenti uffici comunali idonea documentazione (certificati di conformità degli impianti, dichiarazione di fine lavori, richiesta di licenza d'uso). E' pertanto sufficiente per il venditore la produzione di tale documentazione per ritenere assolti gli obblighi incombentigli (Cass. Civ., Sez.II, 24729/08). E' chiaro tuttavia che se la consecuzione dell'abitabilità entro un termine essenziale è stata convenuta nel contratto preliminare, il mancato perfezionamento entro detto termine del silenzio-assenso non può non condurre alla risoluzione di diritto del contratto (Cass. Civ. Sez. II, 20320/2021; Tribunale di Belluno, sent. n. 498/2016).

Da osservare come, in ogni caso, non si possa parlare di nullità dell'atto di trasferimento della proprietà del bene privo delle caratteristiche di abitabilità (sub specie dell'invalidità per illiceità della causa) ogniqualvolta in concreto sia possibile godere del bene, ancorchè difettante nelle qualità essenziali, quali appunto la possibilità di conseguire la licenza d'uso (Cass. Civ., Sez.II, 24957/07). La riferita pronunzia si inserisce nel filone giurisprudenziale in tema di c.d. aliud pro alio, inteso cioè a valorizzare quel vizio del bene che viene a costituire il criterio di distinzione tra la res oggetto della vendita ed un diverso bene, inidoneo ad assolvere allo scopo che le parti si sono proposte (cfr. Cass. Civ. Sez. VI, ord. 19749/2020; Cass. Civ., Sez. II, 23265/2019; Cass. Civ., Sez. II, 629/2014; Cass. Civ., Sez. II, 10756/11 in relazione ad un vano ripostiglio venduto come attico; Cass. Civ., Sez.II,17707/11; Cass. Civ. Sez.II, 5202/07; Cass. Civ. Sez. II, 442/96; Cass. Civ. Sez. II, 6576/91; Cass. Civ. Sez. II, 10616/90; Cass. Civ. Sez. II, 1376/79; Cass. Civ. Sez. II, 5448/78).

In ogni caso la S.C. ha ribadito il diritto dell'acquirente alla consegna di un bene in reazione al quale sia stata conseguita e rilasciata la licenza di abitabilità. Il mancato conseguimento di siffatta abilitazione integra gli estremi di un inadempimento la cui gravità deve essere valutata caso per caso, non dovendo necessariamente essere tale da legittimare la risoluzione del contratto (Cass. Civ. Sez. II, ord. 4467/2022). Essa comunque può costituire la fonte per una richiesta risarcitoria e fondamento per l'eccezione di inadempimento di cui all'art. 1460 cod.civ. (es.: finalizzata a non dar corso alla conclusione del pagamento del prezzo mediante accollo del mutuo: cfr. Cass. Civ. Sez. II, 2196/2020; Cass. Civ. Sez. III, 1701/09, cfr. tuttavia, in senso contrario, sia pure in riferimento a contratto preliminare, Cass. Civ., Sez. II, 25427/2013). Ad analoghe conclusioni, nel senso cioè della possibilità di agire in risoluzione, si è giunti in tema di permuta (Tribunale di Trento, sent. n. 155/2017).
E' stato inoltre deciso che la mancata consegna del certificato costituisce fonte di danno risarcibile indipendentemente dall'accertata conformità dell'immobile rispetto al progetto approvato, sostanzialmente ponendo a carico del venditore le conseguenze delle eventuali condotte inerti dell'amministrazione (Cass. Civ., Sez. II, 23157/2013). In senso potenzialmente divergente si è tuttavia messo a fuoco come la mancata consegna del certificato (che, come si è detto, neppure esiste più, nè viene comunemente rilasciato) non soltanto non determina l'automatica risoluzione del contratto preliminare, ma la stessa non può essere pronunziata quando sia successivamente accertata la sussistenza in concreto di tutti i requisiti necessari ai fini dell'abitabilità e che le difformità edilizie erano state sanate con la presentazione della domanda di sanatoria sulla quale si era formato il silenzio assenso (Cass. Civ., Sez. II, sent. n. 29090/2017). Va peraltro segnalato come, indipendentemente dalla negligenza degli uffici comunali, la mancata produzione del certificato di abitabilità richiesto dal promissario acquirente legittimi quest'ultimo a rifiutarsi di stipulare il contratto definitivo di vendita (Cass. Civ., Sez. VI-II, 622/2019). Questo orientamento è stato ribadito (Cass. Civ. Sez. II, ord. 9226/2020), essendo stato reputato in siffatta situazione pienamente legittimo il recesso del promissario acquirente.

Tema diverso da quello in esame è l'idoneità all'uso specifico che i locali siano destinati ad avere in relazione alla conclusione di un contratto di locazione di un immobile adibito ad uso diverso da quello abitativo. Si pensi ai requisiti specifici che possono essere imposti dall'amministrazione per poter svolgere attività come ad esempio l'esercizio di una palestra, di un laboratorio clinico, di attività artigianali, quali ad esempio l'officina meccanica, etc.. Al riguardo va rilevato come, al di fuori dell'inserimento nel contratto di specifiche pattuizioni aventi ad oggetto propriamente una garanzia di fruizione per uno specifico uso, non può essere ritenuto inadempiente il locatore quando il conduttore non possa conseguire il risultato desiderato, gravando su quest'ultimo l'onere di controllare che le caratteristiche dei locali siano idonee a svolgere l'attività che si intende esercitare (Cass. Civ., Sez. III, 1735/11).

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