Hai concluso un contratto di comodato di un immobile in cui esso era destinato a casa familiare? La durata di esso si stabilisce per relationem e persiste fino a quando sussistono le predette esigenze. (Cass. Civ., Sez. III, sent. n. 2506 del 9 febbraio 2016)

Il coniuge affidatario dei figli minori, oppure maggiorenni ma non autosufficienti, ove sia assegnatario della casa familiare, può opporre il provvedimento di assegnazione al comodante, il quale pretenda il rilascio dell’immobile, soltanto nel caso in cui il contratto sorto tra il comodante stesso ed almeno uno dei due coniugi abbia previsto la destinazione del bene a casa familiare.
Ne consegue che, in tale evenienza, il rapporto, riconducibile al tipo regolato dagli artt. 1803 e 1809 c.c., sorge per un uso determinato ed ha – in assenza di una espressa indicazione della scadenza - una durata determinabile per relationem, con applicazione delle regole che disciplinano la destinazione della casa familiare, indipendentemente, dunque, dall'insorgere di una crisi coniugale, ed è destinato a persistere o a venir meno con la sopravvivenza o il dissolversi delle necessità familiari che avevano legittimato l'assegnazione dell'immobile.

Commento

(di Daniele Minussi)
Allo scopo di giustificare l'opponibilità del provvedimento di assegnazione della casa coniugale che non già sia di proprietà di uno dei coniugi, bensì di un terzo (spesso dovendosi, tale terzo, individuare nei genitori di uno dei coniugi, spesso il marito), i Giudici hanno istituito un percorso logico ispirato a Cass. SSUU 2014. In sintesi, l'uso determinato specificamente a casa della coppia della cosa comodata istituisce un collegamento con il provvedimento giudiziale quanto alla durata dell'occupazione. Nel caso di specie, tuttavia, tale collegamento non sussisteva, in quanto la casa era stata comodata proprio allo scopo di consentire alla comodataria di soddisfare le proprie esegenze abitative in attesa di rinvenire un'altra abitazione.

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