Revoca del provvedimento tutorio, acquisto del terzo di buona fede



Gli artt. 1445 cod.civ. e 742 cod.proc.civ. disciplinano aspetti che si pongono come complementari l'uno rispetto all'altro.
L'art.742 cod.proc.civ. è norma dettata in tema di provvedimenti camerali emessi dal Tribunale in materia di giurisdizione volontaria. Essa stabilisce che "i decreti possono essere in ogni tempo modificati o revocati, ma restano salvi i diritti acquistati in buona fede dai terzi in forza di convenzioni anteriori alla modificazione o alla revoca" nota1 nota1. Giova osservare come, in seguito all'entrata in vigore della riforma del processo civile di cui al D.lgs. 149/2022, è stata introdotta una norma speculare a quella in parola, destinata a salvaguardare i diritti dei terzi per l'ipotesi in cui la modifica o la revoca riguardi l'autorizzazione emessa dal notaio al quale le parti si siano rivolte per stipulare il relativo atto. Ai sensi del VI comma dell'art. 21 del d.lgs. 149/2022 infatti i predetti provvedimenti, quando siano emessi dal notaio, possono essere in ogni tempo modificati o revocati dal giudice tutelare, "ma restano salvi i diritti acquistati in buona fede dai terzi in forza di convenzioni anteriori alla modificazione o alla revoca."

Venendo invece alla normativa sostanziale, va rilevato come l'art. 1445 cod.civ. faccia riferimento ai terzi subacquirenti da colui che abbia acquistato in base ad un titolo annullabile. E' necessario che in questa sede ci si faccia carico di questa ulteriore problematica, poichè la norma evocata fa menzione dei diritti acquistati dai terzi nell'ambito di una contrattazione che vede dall'altra parte stipulare un soggetto che, ogniqualvolta sia legalmente incapace, occorre venga debitamente autorizzato all'atto in forza di apposito provvedimento tutorio.

Che significato ha il disposto dell'art. 742 cod.proc.civ. (o l'ulteriore norma di cui all'art. 21 predetto) quando fa menzione dei diritti dei terzi acquistati in forza di convenzioni anteriori alla modificazione o alla revoca"?
Il concetto di terzo di cui alla norma del codice di rito è assolutamente diverso da quello assunto dall'art. 1445 cod.civ., ai sensi del quale l'annullamento che non dipende da incapacità legale non pregiudica i diritti acquistati a titolo oneroso dai terzi di buona fede, salvi gli effetti della trascrizione. Il terzo di cui all'art.1445 cod.civ. è l'estraneo all'originaria pattuizione tra il contraente incapace ed il di lui avente causa: più precisamente si identifica nell'avente causa da colui che ha acquistato il diritto in base ad atto annullabile nota2 .

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Terzo ex 742 cod.proc.civ. è invece il soggetto estraneo alla procedura camerale, cioè colui che contrae con l'incapace sulla base del provvedimento tutorio nota3. Egli è la parte contrattualmente parlando, mentre è terzo dal punto di vista del procedimento di volontaria giurisdizione. In altre parole, è chiaro che il terzo di cui all'art. 742 cod.proc.civ. è la parte del contratto di cui all'art. 1445 cod.civ. nota4.

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Non sarebbe invece il caso di parlare di tutela dei diritti dei terzi (tali almeno ai sensi dell'art. 742 cod.proc.civ. ) qualora non sia stata acquisita preventivamente l'autorizzazione. Con tutta evidenza si dovrebbe fare applicazione dell'art. 322 cod.civ. , con la conseguente annullabilità dell'atto secondo le regole generali del codice civile nota5. Diverso è il caso del provvedimento viziato per incompetenza territoriale o funzionale del giudice che lo abbia emesso. Vi potrebbe essere, in questi casi, uno stato soggettivo di buona fede da parte dell'avente causa ex art. 742 cod.proc.civ. nota6.

In giurisprudenza è stato tuttavia deciso che la vendita di immobili ereditari appartenenti a minori autorizzata dal Pretore in funzione di giudice tutelare e non dal Tribunale è nulla (Cass. Civ. Sez. II, 2255/63 ). Con altra pronunzia la S.C. ha statuito invece, nella stessa ipotesi, che la vendita istituisce titolo astrattamente idoneo al trasferimento del diritto in seguito al decorso del termine di perfezionamento dell'usucapione decennale (Cass. Civ. Sez. II, 3255/71 ), non essendo nulla, ma semplicemente annullabile o inefficace nota7.

Non si vede, in ipotesi, come potrebbe essere nullo l'atto di alienazione: la sanzione maggiore è costituita dall'art. 322 cod. civ. che, come già visto, per la radicale inesistenza del provvedimento commina la mera annullabilità. V'è tuttavia di più: l'azione di annullabilità da un lato è relativamente esperibile, dall'altro, ai sensi del I comma art. 1442 cod. civ. , norma consonante con il n. 6 dell'art. 2652 cod. civ. , si prescrive entro cinque anni dal compimento dell'atto. Il problema è comunque attualmente ridimensionato dalla riforma che ha dato vita all'Ufficio del Giudice Unico.

Tornando alla norma di cui all'art. 742 cod.proc.civ. , la funzione del principio in essa espresso corrisponde alla considerazione dello stato soggettivo del terzo rispetto alla procedura camerale: sembra lecito concludere che, ogniqualvolta detto soggetto possa considerarsi in buona fede, nel senso che confidava nella validità dell'atto per esservi un'apparenza di (legittimo) provvedimento tutorio, l'acquisto fatto rimane integro, non essendogli opponibile l'avvenuta revoca o modificazione del decreto autorizzatorio, per qualsivoglia motivo, di legittimità o di merito nota8.

In questo senso merita attenzione la pronunzia di una Corte di merito che, ancorchè risalente nel tempo, ebbe modo di statuire che la tutela del terzo di buona fede ex art. 742 cod.proc.civ. rinviene quale unico limite l'inesistenza dell'atto di volontaria giurisdizione (Appello di Roma 21 gennaio 1950 ). Nello stesso senso si consideri la S.C. (Cass. Civ. Sez. I, 97/56 ) che ha fatto menzione di apparenza titolata, con riferimento alla situazione che si determina in capo al contraente al quale il rappresentante dell'incapace si presenta munito del provvedimento tutorio.

Ovviamente non vi può essere tutela per il terzo quando il provvedimento tutorio sia stato revocato in seguito a reclamo proposto entro i termini (Cass. Civ. Sez. I, 32/75 ).

Si noti comunque che l'acquisto del terzo di buona fede nel caso in esame non può essere considerato in senso stretto a non domino : pur riscontrandosi un vizio afferente all'atto di trasferimento, il dante causa è infatti dominus rispetto al diritto alienato.

Si parla di acquisto a non domino soltanto da un punto di vista eminentemente descrittivo, giustificando la permanenza del diritto in capo all'avente causa dall'alienante incapace pur in esito all'eliminazione retroattiva del provvedimento tutorio nota9.

Art. 742 cod.proc.civ.Immagine Giova infine ribadire che è necessario distinguere il caso in cui il provvedimento autorizzatorio sia invalido o comunque revocabile (eventualità della quale ci siamo fin qui occupati) da quello in cui il legale rappresentante abbia alienato il bene dell'incapace, prospettato al terzo come tale, in difetto totale di provvedimento tutorio. La fattispecie, disciplinata dall'art. 322 cod.civ. , sicuramente vede l'esclusione di qualsiasi buona fede nel subacquirente nota10. Si può da ultimo prospettare l'ulteriore più radicale ipotesi in cui il legale rappresentante abbia alienato il bene senza far neppure menzione dell'appartenenza all'incapace (Cass. Civ. Sez. I, 2299/78;Cass. Civ. Sez. II, 1341/81).

nota1

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La norma fa riferimento ad un concetto, la revoca, che non rinviene nell'ambito della teorica processualcivilistica alcun referente in grado di chiarirne la valenza. A tal fine la dottrina trae spunto dall'elaborazione in materia amministrativa. Come è noto non v'è univocità di vedute circa i casi di revocabilità del provvedimento amministrativo. Si distinguono i vizi di quest'ultimo a seconda che attengano al merito o alla legittimità e, rispetto al tempo di formazione dell'atto, in originari e sopravvenuti. Ciò premesso, secondo un'autorevole opinione (Sandulli, Manuale di diritto amministrativo, Napoli, 1982, vol. I, p.610), dell'istituto potrebbe farsi corretta applicazione solo in ordine al ritiro "mosso da una rinnovata valutazione degli interessi implicati nell'atto, indipendentemente da qualsiasi difetto iniziale di questo". Si muove dall'assunto secondo il quale gli atti contrastanti ab initio con le norme relative al merito (e, si deve aggiungere, a fortiori in caso di illegittimità originaria) sono invalidi come tali, possono altresì essere annullati (Cannada Bartoli, voce Annullabilità e annullamento, in Enc. dir., p.421). La potestà di revoca, la quale trae fondamento dalla necessità che l'assetto dei rapporti disciplinati dall'atto trovi continua rispondenza con l'interesse pubblico, incontra peraltro limiti. Difatti sarebbe in contrasto con i principi di legalità ed imparzialità dell'azione amministrativa il lasciare i privati illimitatamente esposti alla possibilità che l'insindacabile valutazione di tale rispondenza porti l'Amministrazione a caducare, con effetti ab initio, i propri atti.
La caducazione pertanto non potrà operare che ex nunc, rispettando gli effetti già prodotti (Cerulli Irelli, Corso di diritto amministrativo, Torino, 1997, p.591). Non sarà dunque possibile esercitare la potestà di revoca quando l'atto da ritirare abbia originato diritti soggettivi.
Da ultimo merita attenzione il necessario collegamento tra natura discrezionale dell'atto e revocabilità del medesimo. Atti amministrativi consistenti in valutazioni tecniche o certificazioni non sono pertanto suscettibili di revoca (Cerulli Irelli, op.cit., p.594).
Poichè è la rinnovata valutazione dell'interesse pubblico che fonda il corretto esercizio del potere di revoca, ove non vi sia spazio per tale sindacato, come appunto in atti che si limitano ad una verifica della sussistenza di requisiti tecnici secondo regole prefissate, non trova spazio neppure il provvedimento di ritiro. L'opportunità di queste premesse nasce dall'utilizzo in materia di giurisdizione volontaria di concetti e terminologia propri del diritto amministrativo. E' comune il riferimento della revoca "per vizi di merito" e "per vizi di legittimità", come estrinsecazione della "discrezionalità" goduta dall'A.G..
Preliminarmente è tuttavia contestabile in radice l'uso "discrezionale" del potere di revoca da parte del giudi ce.Come ha esattamente rilevato la dottrina (Andrioli, Commento al cod. proc. civ. , vol. III, Napoli, 1947, p.494) la revoca dei provvedimenti camerali, non può essere modellata sui principi che governano la revoca degli atti amministrativi, ma ha una propria autonomia concettuale: la circostanza che questi atti rientrano "nella competenza del giudice, che, pur nell'esercizio di siffatte incombenze, è soggetto soltanto alla legge, vieta di istituire delle distinzioni tra motivi di opportunità e motivi di legittimità".
Il rilievo è importante, anche se occorre notare che, anche per quanto attiene al contenuto della discrezionalità amministrativa, la tendenza è quella di circoscrivere e connotare, in modo sempre più stringente, i poteri di cui gode la p.a. (cfr. Villata, L'atto amministrativo, in Diritto amministrativo, a cura di Mazzarolli-Pericu-Romano-Roversi Monaco- Scoca, vol. II, Bologna, 1998, p.1194).
Nella materia in esame esistono soltanto vizi di legittimità del provvedimento, intesi come qualsiasi deviazione dell'atto dalle norme che ne disciplinano l'emanazione.
Vero è che le difformità possono essere di segno molteplice (decreto promanante da giudice incompetente, difetto del prescritto parere del giudice tutelare, autorizzazione ad alienare conferita ad un soggetto cui la legge non riserva tale potere) giungendo fino alla mancanza dell'utilità evidente che vale a fondare la alienazione di un cespite di proprietà di un incapace.
Nessuna di queste possiede tuttavia le caratteristiche proprie del vizio di merito.
Un'attenzione particolare va riservata ai requisiti della necessità o dell'utilità evidente, la cui sussistenza, in via alternativa tra di essi, è prevista da numerose disposizioni di legge (cfr. artt. 320 , 783 , 54 , 169 cod.civ., 783 cod.proc.civ.).
Potrebbe in effetti ritenersi legato alla discrezionalità del giudice il sindacato sull'esistenza della necessità o dell'evidente utilità.
Non è semplice stabilire quando un atto sia indispensabile ovvero evidentemente utile, non esistendo ovviamente norme giuridiche che possano stabilire in modo aprioristico o esemplificativo quando uno stato di fatto possa consigliare di alienare un cespite. Si tratta di nozioni da attingersi all'esperienza della vita di tutti i giorni.
Dunque può discutersi se vendere un immobile sia palesemente opportuno, in dipendenza di una serie di variabili quali l'andamento del mercato, la possibilità di investire più proficuamente il ricavato, il fenomeno inflattivo et similia. Ciò tuttavia non esclude che, una volta operata la qualificazione alla stregua di questi principi di esperienza, i detti requisiti non si atteggino come attinenti alla legittimità. Si disputa poi circa l'operatività ex nunc o ex tunc del provvedimento di ritiro (Andrioli, op.cit., p.436). Relativamente a questa tematica incide non soltanto la considerazione del fatto che il vizio sia originario o sopravvenuto, bensì anche quella delle posizioni giuridiche soggettive dei terzi, con questa espressione significandosi i soggetti estranei al procedimento camerale (Satta, Diritto processuale civile, Padova, 1981, p.604). Giova innanzitutto distinguere l'efficacia della revoca nell'ambito dei procedimenti tutori da quella eventualmente intervenuta nell'ambito del controllo omologatorio societario. L'art. 742 cod.proc.civ. non consente di operare distinzioni, disponendo la modificabilità e la revocabilità in genere dei decreti pronunziati in camera di consiglio (Micheli, voce Camera di consiglio, in Enc. dir., p.998). In materia societaria si distingueva (cfr. Auciello-Badiali-Iodice- Mazzeo, La volontaria giurisdizione e il regime patrimoniale della famiglia, Milano, 2000, p.64) tra omologazione dell'atto costitutivo di società di capitali e controllo di delibera assembleare (modificativa dello statuto, introduttiva di prestito obbligazionario, deliberante la fusione o la scissione). Per la prima, una volta effettuata l'iscrizione dell'atto costitutivo nel registro delle società, sarebbe stata sancita l'impossibilità di addivenire a revoca, nonostante il tenore testuale dell'art.742 cod.proc.civ. non contenga alcuna riserva (Andrioli, op.cit., p.520). Ciò al fine di tutelare gli effetti costitutivi prodottisi ed avuto riguardo alla rilevanza esterna del fenomeno di insorgenza di nuovo soggetto dotato di personalità giuridica. Per le seconde la revoca sarebbe stata sempre possibile, salvo il limite della salvezza dei diritti dei terzi. E' appena il caso di osservare che il controllo omologatorio, in esito all'emanazione della Legge 24 novembre 2000, n.340 , ha subito una radicale trasformazione, divenendo meramente eventuale (cfr. gli artt. 2330 e 2436 cod.civ.).
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Note

nota2

Maiorca, in Comm. cod. civ., diretto da Cendon, vol. IV, Torino, 1999, p.812.
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nota3

Fazzalari, La giurisdizione volontaria, Padova, 1953, p.126.
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nota4

Tra le due disposizioni normative non vi è quindi contrasto perchè si riferiscono a fattispecie diverse: con l'art.1445 cod.civ. si intende tutelare coloro che abbiano acquistato sulla base di un atto negoziale successivamente annullato, con l'art. 742 cod.proc.civ. , si prevede la salvezza dei diritti di coloro che abbiano confidato nella validità di un provvedimento successivamente revocato od annullato per l'esistenza di un vizio procedimentale attinente alla sua emanazione (Colesanti, Sul rapporto tra provvedimento volontario autorizzativo e negozio autorizzato, in Giur. it, 1957, p.781).
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nota5

Iannuzzi, Manuale della volontaria giurisdizione, Milano, 2000, p.92.
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nota6

La dottrina rileva che il fondamento della disposizione sta nella tutela della buona fede del terzo, cioè in uno stato meramente subbiettivo di non conoscenza del vizio il cui rilievo ha poi portato alla revoca, alla modifica o all'annullamento del provvedimento: Andrioli, op.cit., p.380 e Colesanti, op.cit., p.782.
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nota7

Analoghe considerazioni in dottrina sono svolte da Andrioli, in Foro it., 1944-46, I, p.99.
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nota8

Conforme all'applicazione dell'art.742 cod.proc.civ. anche ai casi di annullamento per invalidità del provvedimento camerale la dottrina maggioritaria (cfr. Fazzalari, Autorizzazione e non omologazione del contratto concluso con il rappresentante legale del minore, in Giur. it., 1954, I, p.1050 e Micheli, op.cit., p.998). Contrari Stolfi, Vendita irregolarmente autorizzata di immobile ereditato dal minore, in Riv. dir. proc., 1967, p.233, per il quale l'articolo in esame si applica solo ad ipotesi in cui sussiste un "decreto regolarmente emesso dal magistrato che aveva competenza per territorio e per materia, e che si era pronunciato nei confronti della persona legittimata ad agire per il minore. [...] Il legislatore ha poi immaginato che in seguito quel magistrato si fosse convinto di avere autorizzato un atto non utile nè indispensabile per l'incapace: ha ammesso la revoca o la modificazione del decreto originario, per adeguare quest'ultimo alla realtà delle cose " nonchè Carnelutti, Quandoque bonus dormitat Homerus, in Riv. dir. proc., 1962, p.327, che rileva come nella lettera dell'articolo non si faccia alcun accenno all'annullamento, ma solo alla revoca o modificazione del provvedimento di volontaria giurisdizione.
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nota9

Così Mengoni, Gli acquisti a non domino, Milano, 1975, p.165, per il quale in questi casi la legge estende all'acquirente la tutela tipica dell'acquisto a non domino.
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nota10

Stolfi, Ancora sull'art.742 c.p.c., Milano, 1951, p.836 e Bucciante, La potestà dei genitori, la tutela e la emancipazione, in Tratt. dir. priv., diretto da Rescigno, vol. IV, Torino, 1982, p.577.
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Bibliografia

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  • CARNELUTTI, Quandoque bonus dormitat Homerus, Riv.dir.proc., 1962
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  • MICHELI, Camera di consiglio, Enc.dir.
  • SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, Napoli, I, 1982
  • SATTA, Diritto processuale civile, Padova, 1981
  • STOLFI, Ancora sull'art.742 c.p.c., 1951
  • STOLFI, Vendita irregolarmente autorizzata di immobile ereditato dal minore , Riv.dir.proc., 1967
  • VILLATA, L'atto amministrativo, Bologna, in Diritto amministrativo, 1998

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