Problemi fiscali dei trasferimenti immobiliari nell'ambito della crisi coniugale


1. Evoluzione normativa e giurisprudenziale.

La norma di riferimento per il trattamento tributario dei trasferimenti di beni in esecuzione di accordi di separazione e divorzio è contenuta nell’art. 19 della l. 6 marzo 1987, n. 74, ma prima di approfondirne l’analisi è utile ricordare l’evoluzione normativa e giurisprudenziale.
Fino all’entrata in vigore dell’art. 19 della legge n. 74 del 1987, la materia era regolata dall’art. 8, lett. f) della parte prima della tariffa allegata al d.p.r. n. 131 del 1986 in materia di imposta di registro.
Questa norma sottoponeva all’imposta di registro in misura fissa gli atti aventi per oggetto lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio o la separazione personale, an-corché recanti condanne al pagamento di assegni o attribuzioni di beni patrimoniali, già facenti parte di comunione fra i coniugi.
Intervenne quindi l’art. 19 della legge n. 74 del 1987, che dichiarò esenti dall'imposta di bollo, di registro e da ogni altra tassa tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili del matrimonio nonché ai procedimenti anche esecutivi e cautelari diretti ad ottenere la corresponsione o la revisione degli assegni di cui agli articoli 5 e 6 della legge 1° dicembre 1970, n. 898.
Questa norma, fino al 1992, venne ritenuta applicabile solo al procedimento di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili del matrimonio. Nel 1992, appunto, la Corte costituzionale, con sentenza n. 176 del 15 aprile 1992, la dichiaro illegittima, sia pure in riferimento alla disciplina dell’imposta di registro contenuta nel d.p.r. n. 635/1972, poi riprodotta nel testo unico del 1986, nella parte in cui non comprendeva nell'esenzione dal tributo anche le iscrizioni di ipoteca effettuate a garanzia delle obbligazioni assunte dal coniuge nel giudizio di separazione. Ciò per contrasto con i parametri della ragionevolezza e della uguaglianza di cui all'art. 3 cost., in quanto comporta una disparità di trattamento di situazioni omogenee in relazione a un profilo fiscale identico.
La disparità di trattamento rispetto non solo agli altri atti, documenti e provvedimenti ma anche rispetto al procedimento di separazione continuò fino al 1999, anno in cui venne emanata la sentenza della Corte costituzionale n. 154. In verità la Corte costituzionale si era pronunciata sulla questione già prima del 1999, e precisamente con la sentenza n.73 del 1° marzo 1995, che aveva dichiarato manifestamente inammissibile la questione di costituzionalità dell’art. 19 della legge n. 74 del 1987, per mancata estensione del trattamento tributario di favore anche agli atti, documenti e provvedimenti del procedimento di separazione, ma solo per ragioni di natura procedurale.
Affermava infatti la corte che «Il carattere alternativo della sua formulazione non consente di decidere nel merito la questione di legittimità costituzionale sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., nei confronti dell'art. 19 della legge n. 74 del 1987, in quanto esenta dalle impo-ste di bollo e di registro e da ogni altra tassa tutti gli atti e i provvedimenti relativi al procedi-mento di scioglimento del matrimonio. La norma, infatti, viene contestata non solo "nella parte in cui non estende le agevolazioni fiscali agli atti conseguenti al procedimento di separazione dei coniugi", ma anche "nella parte in cui espressamente non prevede l'esenzione dall'Imposta di registro, ipotecaria e catastale ed Invim, dei trasferimenti di immobili tra le parti, in osser-vanza delle condizioni di separazione o di divorzio", senza che vi sia stata, da parte del giudice rimettente, una presa di posizione sul dubbio di fondo dallo stesso espresso, relativamente alla attuale esenzione da imposta dell'alienazione di immobili, in ottemperanza a statuizioni di di-vorzio».
Prima della sentenza della Corte costituzionale del 1999, pertanto, agli accordi tra coniugi in sede di separazione trovava applicazione l’art. 8, lett. f) della tariffa, parte prima, allegata d.p.r. n. 131 del 1986.
La sentenza n. 154 del 10 maggio 1999 dichiarò costituzionalmente illegittimo, per violazio-ne degli artt. 3, 29, 31 e 53 Cost., l'art. 19 della legge 6 marzo 1987 n. 74, nella parte in cui non estende l'esenzione in esso prevista a tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di separazione personale dei coniugi, in quanto - posto che con la sentenza n. 176 del 1992 è già stata dichiarata l'illegittimità costituzionale della stessa disposizione, nella parte in cui non comprende nell'esenzione dal tributo anche le iscrizioni di ipoteca effettuate a garanzia delle obbligazioni assunte dal coniuge nel giudizio di separazione; e che le stesse ra-gioni poste a fondamento di tale decisione impongono di accogliere le questioni di legittimità costituzionale, formulate dai giudici "a quibus", in termini più ampi, in relazione alla totalità dei tributi oggetto dell'esenzione - il parallelismo, le analogie e la complementarietà funzionale dei procedimenti di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio e del procedi-mento di separazione dei coniugi portano a concludere che il profilo tributario non può ragione-volmente riflettere un momento di diversificazione delle due procedure, atteso che l'esigenza di agevolare l'accesso alla tutela giurisdizionale, che motiva e giustifica il beneficio fiscale con ri-guardo agli atti del giudizio divorzile, è con ancora più accentuata evidenza presente nel giudi-zio di separazione, sia perché in quest'ultimo la situazione di contrasto fra i coniugi (ai quali occorre assicurare una, se non più ampia, almeno pari tutela) presenta di solito una maggiore asprezza e drammaticità rispetto alla fase già stabilizzata dell'epilogo divorzile, sia in conside-razione dell'esigenza di agevolare, e promuovere nel più breve tempo, una soluzione idonea a garantire l'adempimento delle obbligazioni che gravano, ad esempio, sul coniuge non affidata-rio della prole.
A seguito dell’emanazione di detta sentenza ne dovrebbe discendere come naturale conse-guenza una regolamentazione della materia interamente affidata all’art. 19 della legge n. 74 del 1987, con l’ulteriore effetto dell’implicita abrogazione dell’art. 8, lett. f) della tariffa, parte prima, allegata al d.p.r. n. 131/1986.
La dichiarazione di incostituzionalità non ha risolto tutti i problemi tributari perchè rimane da stabilire come occorre interpretare l’inciso dell’art. 19 «tutti gli atti, documenti ed i provvedi-menti relativi al procedimento …» nonchè il termine «tasse».
L’Agenzia delle Entrate, nella circolare n. 49/E del 16 marzo 2000, aveva affermato che il trattamento di favore potesse essere applicato solo agli atti posti in essere in esecuzione degli accordi assunti in sede di separazione e a essa connessi, limitando quindi l’esenzione al caso in cui gli accordi che si pongono alla base dei successivi atti di trasferimento «risultino formalizza-ti nel provvedimento di separazione», con la conseguente esclusione delle intese a latere.
Questa tesi non convince, ed è possibile argomentare in senso contrario sia dalla lettera del-la norma, che non prevede questo requisito, sia dalla ratio della stessa, vòlta evidentemente ad agevolare le intese tra i coniugi.
Appare più corretto ritenere che la norma intenda privilegiare tutti gli atti, siano essi conte-nuti nel verbale presidenziale che in sentenze che in atti autenticati o redatti da notaio, che in scritture private, a condizione che la loro causa sia connessa alla separazione e al divorzio, an-corchè i relativi procedimenti non siano ancora processualmente radicati o siano già conclusi.
Nondimeno, la giurisprudenza successiva alla sentenza della Corte costituzionale, in parte seguita dall’Agenzia delle Entrate, continua inspiegabilmente a ritenere applicabile, in alcuni casi, il già citato art. 8, lett. f), con particolare riguardo alla parte di esso che fa riferimento agli atti aventi a oggetti beni già facenti parte della comunione legale.
Va segnalata, in primo luogo, una prima pronuncia della Corte di cassazione, la n. 2347 del 17 febbraio 2001, che ha ritenuto applicabile il trattamento fiscale privilegiato di cui all’art. 19 della legge n. 74 del 1987 in relazione a una divisione di beni già oggetto di comunione legale contenuta in un verbale di conciliazione nell’ambito del procedimento di divorzio.
La sentenza giustifica l’applicabilità del trattamento tributario in questione in quanto la divi-sione “in concreto” dei beni derivava da accordi comunque raggiunti in sede giudiziale dai co-niugi, collegati allo scioglimento del matrimonio ma, pur concludendo per l’applicabilità in en-trambi i casi del trattamento tributario di favore, pare adottare un “distinguo” tra divisione convenzionale in quanto attualizzata con accordi separati rispetto alla pronuncia di divorzio e divisione legale quale effetto automatico della sentenza di separazione. Questa distinzione non convince, perchè mi sembra confonda lo “scioglimento” della comunione con la “divisione“ dei beni oggetto della stessa. La divisione, infatti, è pur sempre convenzionale, mentre è lo scio-glimento della comunione legale che può essere sia l’effetto di un mutamento di regime e, quindi, in tal senso convenzionale, che l’effetto del passaggio in giudicato della sentenza che pronuncia la separazione personale o, secondo la tesi prevalente, dell’emanazione del decreto di omologazione della separazione consensuale.
Questa distinzione viene invece valorizzata nella fattispecie oggetto di altra sentenza della Cassazione, la n. 15231 del 3 dicembre 2001, che nega il trattamento tributario di cui all’art. 19 in un caso di trasferimento tra coniugi in regime di separazione dei beni, sulla base di due considerazioni:
1) che nella fattispecie è stato diviso un bene acquistato in regime di separazione dei beni, quindi in comunione ordinaria;
2) che per tale ragione lo scioglimento della comunione è solo occasionalmente generato dall’atto di separazione personale, potendo i coniugi legittimamente mantenere i regime di co-munione ordinario pur se separati;
3) che l’art. 8, lett. f), della tariffa, parte prima, allegata al d.p.r. n. 131 del 1986 si riferisce ai soli beni facenti parte della comunione legale;
4) che la negazione del trattamento tributario di favore si impone in quanto in caso contrario si presterebbe facilmente a intenti elusivi.
Anche questa sentenza mi pare rechi un vizio concettuale laddove non distingue tra “scio-glimento” e “divisione” di beni in comunione.
Che il contenuto patrimoniale della separazione personale sia lo scioglimento della comunio-ne non è affatto vero se con l’espressione “scioglimento” la sentenza intende riferirsi alla “divi-sione”.
Come già detto, a seguito della separazione personale si scioglie la comunione ma certo non si dividono i beni, per cui non pare dubbio che, qualunque sia il regime patrimoniale di parten-za, è ben possibile che i coniugi, pur separati, mantengano la comproprietà dei beni.
Occorreva invece valorizzare, a mio avviso, il fatto che, probabilmente, nel caso di specie, l’atto non era da ritenere connesso alla sistemazione dei rapporti patrimoniali tra i coniugi. Nel-la parte “in fatto” della sentenza si dice infatti che nel verbale di separazione la moglie “cedeva e vendeva” al marito la sua quota di proprietà di un bene dietro corrispettivo. Se, allora, si trattava di una vera e propria vendita e non di un trasferimento giustificato dalla sistemazione dei rapporti economici tra i coniugi, l‘inapplicabilità del trattamento tributario di favore sarebbe stata in re ipsa, trattandosi di atto non relativo al procedimento di separazione.
Distinguere, per applicare il trattamento tributario di favore, tra coniugi in regime di separa-zione e coniugi in regime di comunione legale appare integrare un’irragionevole disparità di trattamento. Questa sentenza, comunque, è rimasta isolata, sebbene, l’Agenzia delle Entrate l’abbia citata come precedente in una risoluzione, la n. 373 del 14 dicembre 2007, con cui ha negato l’applicabilità dell’art. 19 in un caso di trasferimento immobiliare in favore dei figli. Ma su questa risoluzione torneremo più avanti.
A questa sentenza fa seguito Cass. 22 maggio 2002, n. 7493, che in una fattispecie relativa a un trasferimento in sede di divorzio pone invece la giusta distinzione tra atti che definiscono rapporti patrimoniali conseguenti al divorzio o alla separazione (la sentenza parla di “causalità necessaria”), cui si applica l’art. 19, e atti che sono occasionalmente da essi generati, cui l’art. 19 non si applica. Sparisce quindi la tesi secondo cui l’applicabilità o meno del trattamento tri-butario di favore è legata al regime patrimoniale in cui si trovavano i coniugi al momento dell’instaurazione del procedimento.
Il punto rilevante diviene quindi la connessione causale con il procedimento. Non avrebbe in-fatti alcuna giustificazione né logica né strutturale né tanto meno sistematica concedere l’esenzione a contratti tipici che abbiano una loro causa ben determinata: a essi non si atta-gliano le motivazioni che la Corte costituzionale ritiene sottostare alla norma agevolativa e tan-to meno da essi può escludersi la valutazione della capacità contributiva. Un tale atteggiamen-to costituirebbe solo un incentivo ad una facile elusione fiscale e assumerebbe connotati di in-costituzionalità, risolvendosi in un favor ingiustificato ed estraneo alla ratio della norma agevo-lativa, fondata sulla tutela della famiglia e dei figli.
In altre parole, come sottolineato dalla dottrina, gli accordi in questione debbono costituire condizioni della separazione o del divorzio, secondo le varie alternative ricostruttive che si sono prima esposte. In altri termini l’accordo deve essere stipulato in contemplazione della crisi co-niugale, e con l’intenzione delle parti di considerare tale pattuizione alla stregua di una condi-zione della separazione e del divorzio e dunque come un elemento la cui presenza viene dai coniugi ritenuta essenziale al fine di acconsentire ad una definizione non contenziosa della crisi.
Questo spiega perché i negozi dotati di una loro causa autonoma (per esempio una normale compravendita) non possano essere inseriti nel verbale e, corrispondentemente, godere delle agevolazioni in discorso, neppure se stipulati con atto notarile, qualora risultassero privi della connessione con il procedimento.
Per tali ragioni sembra da escludere l’applicabilità del trattamento tributario di favore al caso in cui uno dei coniugi, nell’ambito degli accordi di separazione o di divorzio, si obblighi ad ac-quistare un bene da un soggetto terzo per poi trasferirlo all’altro coniuge. Il trattamento di fa-vore non sarà applicabile al primo acquisto, ma solo al successivo negozio di trasferimento che costituisce l’adempimento dell’obbligo assunto. Sembra, infatti, irrilevante ai fini del beneficio che il contratto che il coniuge ed il terzo stipulano fra loro sia “finalizzato” a conseguire la “in-testazione” del bene al figlio (o al coniuge), rinvenendo esso la sua causa tipica nello scambio della cosa con il prezzo, ed evidenziando capacità contributiva.
Certo, sostenere la non esenzione delle compravendite porterebbe i coniugi separandi a ef-fettuare trasferimenti atipici, senza controprestazione, che in realtà simulano delle vere e pro-prie vendite, al solo scopo di non fare figurare il pagamento del prezzo ed ottenere così l’esenzione fiscale.
Ma allora, qualora la separazione non sia utilizzata quale strumento di evasione o elusione fiscale, si potrebbe ipotizzare che anche il trasferimento di un bene di proprietà comune dei co-niugi in favore di un terzo (diverso dai figli) goda dell’esenzione fiscale qualora ciò costituisca il meccanismo più agevole per i coniugi per addivenire alla separazione. Si pensi al caso di un immobile molto grande, rispetto al quale i coniugi non riescono (perché non vogliono o non possono) a trovare un accordo e che, venduto, consentirebbe loro di risolvere agevolmente la loro situazione personale e patrimoniale.
Deve affermarsi che in effetti la sentenza della Corte Costituzionale non si limita a giustifica-re l’esenzione con la mancanza di capacità contributiva in capo ai coniugi, ma essa considera anche l’esigenza di agevolare e promuovere nel più breve tempo una soluzione idonea a garan-tire l’adempimento delle obbligazioni che gravano, ad esempio, sul coniuge non affidatario della prole.
Quanto all’espressione «esenzione dall’imposta di bollo, di registro e da ogni altra tassa», è sufficiente segnalare che la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 6605 del 12 maggio 200, ha chiarito, con interpretazione condivisa dagli uffici interessati (Agenzia delle Entrate e Agenzia del Territorio), che essa si estende a ogni tipo di "tassazione", indipendentemente dalla natura di "imposta" o "tassa" in senso proprio del tributo concretamente in discussione, posto che il riferimento, presente nella norma, ad ogni altra "tassa", identifica di tutta evidenza un uso a-tecnico del termine il quale pertanto ricomprende nel suo ambito anche tipi di imposta ulteriori rispetto a quelle di registro e di bollo.

2. - I trasferimenti in favore dei figli

Nell’ambito delle soluzioni adottabili dai coniugi in crisi, è di frequente previsto il trasferi-mento di beni o diritti in favore dei figli, soluzione che permette, in taluni casi, anche di evitare commistioni di beni fra eredi del coniuge che generi altri figli da una seconda unione.
La Corte Costituzionale, quando ha esteso anche ai trasferimenti relativi alla separazione personale il beneficio di cui all’art. 19 della legge sul divorzio, fa evidentemente riferimento a una qualificazione di tali negozi quali strumenti idonei a realizzare una sistemazione complessi-va dei rapporti patrimoniali, non solo tra i coniugi, quindi, ma anche nei confronti dei figli: il richiamo agli artt. 29 e 31 della Costituzione è significativo al riguardo.
Tale riconoscimento costituisce un punto di fondamentale rilievo nell’economia dei procedimenti, con riferimento ai soggetti e all’oggetto dei trasferimenti a essi relativi.
Va però ribadito che condizione essenziale per usufruire del trattamento di favore è che gli atti stipulati trovino la loro ragione giustificativa nella tutela della famiglia e dei figli e che i presupposti delle imposte non siano indicativi di capacità contributiva (la Corte Costituzionale si riferisce anche all’art. 53 Cost., che riguarda appunto la capacità contributiva).
Sembra quindi scontato affermare che gli atti che i coniugi, nell’ambito della sistemazione degli interessi familiari nati dalla crisi del matrimonio, pongano in essere in favore dei figli, sono posti a tutela di questi e per essi è esclusa ogni valutazione della capacità contributiva, e che essi debbano accedere al beneficio tributario come ogni e qualsiasi altro atto che sia destinato a tal fine e, perciò stesso, «relativo al procedimento».
La particolare attenzione che la sentenza ha posto nell’evidenziare le ragioni del beneficio nell’interesse dei figli, trova riscontro anche in una successiva decisione della stessa Corte, la n. 202 del 3 giugno 2003 che, chiamata a decidere circa la costituzionalità dell’art. 8, lett. b) della tariffa, parte prima allegata al d.p.r. 131/86 con riferimento ai provvedimenti emessi in applicazione dell’art. 148 c.c., afferma che «L’esenzione tributaria disposta in tema di atti re-canti condanna al pagamento di somme in materia di procedimenti relativi ai giudizi di separa-zione e divorzio ricomprende anche i provvedimenti relativi alla prole, come è dimostrato dal richiamo, nell’art. 19 della legge n 74 del 1987, all’art. 6 della legge n. 989 del 1970».
Alla costante giurisprudenza della Corte Costituzionale cui si è fatto cenno, si è adeguata an-che la Corte di Cassazione, la quale, con la sentenza n. 11458 del 30 maggio 2005, ha affer-mato che il trasferimenti di beni ai figli, relativo alla separazione personale, è esente da ogni imposta e tassa, ai sensi dell’art. 19 della legge n. 74 del 1987, in base alla sentenza 10 mag-gio 1999, n. 154 della Corte Costituzionale, per la quale il beneficio si estende anche agli atti i cui effetti siano favorevoli ai figli.
Nonostante l’autorevolezza degli organi giudicanti, l’Agenzia delle Entrate, fino al 2012, ha sempre negato la spettanza del beneficio tributario.
In verità, nella Circolare n. 49 del 16 marzo 2000, a commento della sentenza della Corte Costituzionale del 1999, l’Agenzia, pur non occupandosi direttamente dei trasferimenti a favore dei figli, concludeva nel senso di ritenere applicabile il beneficio tributario anche agli atti posti in essere in esecuzione degli accordi assunti in sede di separazione, purchè tali accordi risultino formalizzati nel provvedimento di separazione e a esso connessi. Da tale conclusione sembra ricavarsi de plano il riconoscimento implicito della spettanza del trattamento tributario di favore anche agli atti che i genitori pongano in essere a favore dei figli in relazione alla crisi del loro matrimonio.
Tale circolare era stata però seguita da due risoluzioni che avevano negato l’estensibilità del tratta-mento tributario favorevole ai trasferimenti in favore dei figli.
Con la prima risoluzione, la n. 151 del 19 ottobre 2005, emanata - si badi - dopo la senten-za della Cassazione del 2005, bellamente ignorata dall’Agenzia (probabilmente perchè non pro fisco) si nega il beneficio in un caso in cui, secondo quanto risulta dalla risoluzione, nel corso della procedura di divorzio, le parti intendevano regolare lo scioglimento della comunione me-diante la cessione della quota della madre al figlio minore, cessione da stipularsi nel corso dell’accordo giudiziale.
L’Agenzia ritiene di negare l’esenzione assumendo - in maniera del tutto immotivata - che il trasferimento non sembra trovare causa giuridica nella sistemazione dei rapporti patrimoniali fra i coniugi al momento dello scioglimento del matrimonio, bensì in un intento di liberalità nei confronti di un soggetto terzo (nella fattispecie uno dei figli), circostanza che non appare stret-tamente e funzionalmente collegata allo scioglimento del matrimonio e che, peraltro, avrebbe potuto essere realizzata in qualunque momento.
Come faccia l’Agenzia a ritenere che si tratti di trasferimento a titolo di liberalità e non tra-sferimento funzionalmente collegato con lo scioglimento del matrimonio appare, invero, un mi-stero. Ispe disxit, verrebbe da dire.
Con la seconda risoluzione, la n. 372 del 14 dicembre 2007, l’Agenzia nega l’applicabilità dell’art. 19 in un caso di trasferimento programmato dai coniugi, in sede di cessazione degli effetti civili del matrimonio, della nuda proprietà di un immobile a favore dei figli, adducendo in primo luogo la ridicola (non saprei definirla diversamente) motivazione secondo cui l’esenzione di cui all’art. 19 riguarderebbe solo gli oneri relativi al procedimento giudiziale in senso stretto e non gli accordi di natura economico-patrimoniale tra i coniugi, così smentendo sè stessa e ribadendo una motivazione già dichiarata del tutto infondata della giurisprudenza della Cassa-zione nella sentenza n. 2347 del 2001. In secondo luogo l’Agenzia richiama, riportandone te-stualmente alcuni passi nella risoluzione, la sentenza della Cassazione n. 15231 del 2001, che abbiamo già prima commentato, che distingue tra atti che trovano la loro ragione giustificativa nell’intento di sistemazione economica dei rapporti patrimoniali tra coniugi in sede di separa-zione o divorzio e atti che in tali procedure trovano solo la loro occasione.
Conclude, infine, affermando che l’accordo raggiunto tra i coniugi in sede di procedimento di cessazione degli effetti civili del matrimonio, di cui prende atto il tribunale, non è un accordo che trova la sua “causa essenziale” nello scioglimento del rapporto patrimoniale ma è un “atto dispositivo del proprio patrimonio”, così confondendo gli effetti dell’atto con la sua causa!
Nel 2012, con la circolare n. 27/E del 21 giugno 2012, dedicata anche ad altri temi, sancisce l'estensione dell'esenzione fiscale prevista dall'articolo 19 della legge n. 74 del 1987 anche alle disposizioni patrimoniali in favore dei figli disposte in accordi di separazione e di divorzio. Si prevede però una condizione: «che il testo dell'accordo omologato dal tribunale, al fine di garantire la certezza del diritto, preveda esplicitamente che l'accordo patrimoniale a beneficio dei figli, contenuto nello stesso, sia elemento funzionale e indispensabile ai fini della risoluzione della crisi coniugale».
Questa "condizione" pone evidenti limiti operativi. Anzitutto perchè impone, al fine di ottenere l'esenzione che l'accordo patrimoniale sia necessariamente contenuto nel testo dell'accordo omologato dal tribunale. Tale condizione anzitutto va oltre il testo dell'art. 19 il quale fa riferimento a tutti gli atti, i documenti e i provvedimenti "relativi al procedimento" di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili del matrimonio e non agli atti "del procedimento". Non sarebbero quindi esenti nè gli accordi stipulati prima e subordinati (sospensivamente o risolutivamente) all'omologazione nè quelli stipulati dopo, a modifica di quanto stabilito nell'accordo (caso esemplare: i coniugi si accordano nel senso di alienare un immobile a terzi, successivamente cambiano idea e si prevede il trasferimento di tale immobile ai figli; secondo l'Agenzia delle Entrate tale trasferimento non è esente in quanto non contenuto nel testo dell'accordo). In secondo luogo l'Agenzia delle Entrate ignora l'ormai consolidata giurisprudenza che ritiene valide le intese tra i coniugi anche se stipulate al di fuori dell'accordo omologato, purchè esse non interferiscano con quanto stabilito nell'accordo medesimo. Alla luce di tale giurisprudenza è pertanto da ritenersi ammissibile un accordo formalizzato con una semplice scrittura privata e, ovviamente, in atto notarile e non si vede per quale ragione l'atto esecutivo di tale accordo non debba godere dell'esenzione tributaria prevista dall'art. 19. Secondo l'orientamento dell'Agenzia delle Entrate, invece, i coniugi dovrebbero nuovamente rivolgersi al tribunale per ottenere una sorta di "nuova omologazione" dell'accordo. Se ciò, probabilmente, è da ritenere necessario nel caso in cui uno dei figli sia minorenne non si vede sulla base di quale norma occorra una nuova omologazione dell'accordo in presenza di figli maggiorenni. Non è pertanto da escludere che il giudice, investito di una tale richiesta da parte dei coniugi, non assuma alcun provvedimento al riguardo, trattandosi di fattispecie estranea al suo campo di intervento. E' evidente che ciò determina disparità di trattamento, dal punto di vista tributario, tra accordi successivi stipulati in favore di figli minorenni e accordi successivi stipulati in favore di figli maggiorenni. Questi ultimi, non essendo e non potendo essere contenuti nel "testo dell'accordo omologato", non potrebbero godere di alcuna esenzione tributaria. Per tacere del fatto che il ricorso al tribunale determina un aggravio di costi, dovendo i coniugi necessariamente rivolgersi a un avvocato.
Quanto al requisito per cui il trasferimento in favore dei figli deve essere «elemento funzionale e indispensabile ai fini della risoluzione della crisi coniugale», esso è letteralmente "inventato" dall'Agenzia che, così opinando, si arroga il potere di verificare scelte che rientrano nel dominio esclusivo dell'autonomia privata, almeno nel caso in cui i figli destinatari del trasferimento siano minori. D'altro canto, persino il giudice non ha il potere di verificare l'esistenza di tale requisito, stabilendo l'art. 155 c.c. che egli "prende atto, se non contrari all'interesse dei figli, degli accordi intervenuti tra i genitori".
Peraltro, alla fin fine, dal punto di vista del notaio che dovesse ricevere un atto, esecutivo dell'accordo omologato, che preveda un trasferimento in favore dei figli, sarà sufficiente che i coniugi dichiarino che il trasferimento in favore dei figli è «elemento funzionale e indispensabile ai fini della risoluzione della crisi coniugale».
Quanto, infine, il richiamo dell'Agenzia delle Entrate alla "certezza del diritto" esso è una sorta di "segno dei tempi". Non credo si vada lontano dal vero nel ritenere che l'Agenzia delle Entrate con tale richiamo sottintenda una sorta di presunzione di elusione fiscale da parte dei coniugi in crisi che compiono trasferimenti in favore dei figli. Non fidandosi, l'Agenzia impone che il trasferimento debba risultare dall'accordo omologato.

3. - Decadenza dalle agevolazioni “prima casa”; imposta sulle plusvalenze.

Si innestano nell’ambito delle modalità applicative dell’art. 19 più volte citato due ulteriori problemi, quando i trasferimenti avvengono nel quinquennio dall’acquisto (o anche a prescin-dere da tale termine in caso di terreni edificabili):
1) quello della decadenza dalle agevolazioni fiscali “prima casa”;
2) quello del pagamento dell’imposta sulle plusvalenze.
Il primo è un caso tutt’altro che infrequente.
Non esiste sul punto giurisprudenza di legittimità ma solo alcune pronunce di Commissioni Tributarie e precisamente delle Commissioni Provinciali di Treviso e Torino e della Commissione Tributaria Regionale del Lazio.
Di queste tre sentenze l’unica che pare significativa ai fini della soluzione del problema in esame è quella di Torino, che tra l’altro è la più recente (CTP Torino, sez. XIII, 12 gennaio 2010, n. 1).
Dall’esame di tale sentenza risulta infatti che un coniuge aveva trasferito gratuitamente all’altro, nell’ambito degli accordi di natura economica assunti e formalizzati nel provvedimento di separazione, la metà della proprietà di un immobile.
Avendo posto in essere il trasferimento prima del decorso del quinquennio dall’acquisto e senza avere proceduto al riacquisto di altro immobile entro un anno, l’Agenzia delle Entrate contestava la decadenza dalle agevolazioni fiscali.
La CTP accoglie il ricorso, ritenendo applicabile, se pur con motivazione abbastanza sbrigati-va, l’art. 19 della legge n. 74 del 1987.
Le altre due sentenze, invece, a leggere le massime, come riportate nella banca dati in cui le ho reperite, hanno deciso in modo opposto: Roma ha affermato la decadenza, Treviso l’ha ne-gata.
Tuttavia la lettura integrale delle sentenze mostra, a mio avviso, una superficialità di analisi. La sentenza della CTR del Lazio, inoltre, conclude in modo difforme dalla massima.
In questa sentenza (CTR Lazio Roma, sez. XX, 10 marzo 2008, n. 12) si parla di una “vendi-ta” avvenuta nel quinquennio dall’acquisto. Quindi di atto di trasferimento immobiliare conse-quenziale allo “scioglimento del matrimonio” e alla “cessazione degli effetti civili dello stesso” (ma, com’è noto, scioglimento e cessazione degli effetti civili del matrimonio individuano situa-zioni diverse...), in seguito ad atto giudiziale del Tribunale Civile di Roma per separazione con-sensuale dei coniugi. Si cita, ancora, la sentenza della Corte cost. n. 154 del 1999 e si continua affermando che il contribuente decade dal beneficio prima casa e deve pagare le imposte di registro e ogni altra tassa in termine fisso, in seguito a sentenza del giudice del Tribunale Civile di Roma. Infine, colpo di scena, si conclude rigettando l’appello del contribuente, per la perdita del beneficio prima casa in seguito a sentenza del giudice del Tribunale Civile di Roma per la separazione consensuale e ... lo assoggetta a tassa fissa imposta registro! Grande è la confu-sione sotto il cielo, direi...
Infine, il caso trevigiano (CTP Veneto Treviso, sez. IX, 4 dicembre 2007, n. 98).
Anche questa sentenza accoglie il ricorso del contribuente ritenendo prevalente l’art. 19 del-la legge 74 del 1987, sulla norma generale che commina la decadenza dalle agevolazioni in ca-so di rivendita infraquinquennale non seguita da riacquisto entro un anno, tuttavia alla base della sentenza non c’è un atto la cui causa è la sistemazione dei rapporti patrimoniali conse-guente alla separazione consensuale, bensì una “donazione” tra coniugi. La sentenza si richia-ma al verbale di separazione consensuale, da cui risulta che il coniuge “si impegnava a trasferi-re mediante donazione” la sua quota di comproprietà di un bene immobile in nuda proprietà ai figli e in usufrutto al coniuge. E anche l’atto notarile citato nella sentenza è definito come atto pubblico di donazione. Continua ancora la sentenza, nel motivare l’applicabilità dell’art. 19, così annullando l’avviso di liquidazione dell’ufficio, che non è revocabile in dubbio che nella specie l’atto di trasferimento è un atto con cui il ricorrente dava adempimento agli obblighi assunti in sede di separazione consensuale a favore della moglie e dei figli senza alcuna forma di corri-spettivo.
Al di là dell’inconciliabilità tra “impegno a trasferire” e “donazione” di cui si è discusso in precedenza che potrebbe condurre a ritenere l’atto in oggetto estraneo al contenuto degli ac-cordi e quindi autonomamente valutabile sia sotto il profilo fiscale che, indubbiamente, anche civilistico, la sentenza assume rilievo sotto due profili:
1) in quanto ritiene applicabile l’art. 19 anche ai trasferimenti in favore dei figli, così con-formandosi alla giurisprudenza della Corte di cassazione;
2) in quanto ritiene che i trasferimenti in questione siano sottratti alla normativa generale che disciplina i trasferimenti immobiliari (ance sotto il profilo dell’applicabilità delle norme che comminano decadenze), in quanto sussistono interessi pubblici ritenuti preminenti dal legisla-tore.
Le conclusioni cui giunge questa pronuncia ci sembrano da condividere, atteso in primo luo-go che l’art. 19, così come estensivamente interpretato dalla giurisprudenza, fa riferimento a qualsiasi tributo, e quindi non può che essere comprensivo anche della maggiore imposta do-vuta per effetto della decadenza da agevolazioni fiscali. In secondo luogo pare convincere il ri-lievo secondo cui è proprio lo spirito dell’art. 19, norma intesa a favorire, attraverso un regime fiscale privilegiato, la soluzione delle crisi coniugali, che la rende prevalente sulle norme che comminano decadenze in dipendenza di comportamenti negoziali del contribuente.
Naturalmente, come più volte riferito nel corso della relazione, si deve trattare effettivamen-te di trasferimenti che trovano la loro ragione d’essere nella sistemazione dei rapporti economi-ci nel contesto della definizione della crisi coniugale e non di trasferimenti rispetto ai quali la crisi coniugale appare essere esclusivamente il fatto storico che conduce al trasferimento. In tale prospettiva anche una compravendita tra coniugi potrebbe rientrare nel trattamento di fa-vore, laddove sia inquadrabile nel contesto di tali rapporti. Sarà allora importante fare atten-zione al profilo redazionale, avendo cura di esplicitare la ragione giustificativa del trasferimen-to, da non ricondurre, appunto, a quella - per così dire - “secca” della compravendita, ma fa-cendo emergere il suo innestarsi nell’ambito della definizione dei rapporti economici, per esem-pio qualificando la controprestazione in denaro non come ”prezzo” ma come “corrispettivo”, così sottolineandone la sua riconducibilità a una causa diversa da quella della compravendita in senso stretto. Tra l’altro spesso accade che tale corrispettivo non sia corrispondente al valore di mercato del bene, ma sia stata concordato in misura ridotta, ciò che giustifica la riconducibilità del trasferimento, pur oneroso, a una causa diversa da quella della compravendita in senso stretto.
Per quanto riguarda il pagamento dell’imposta sulla plsuvalenza, va anzitutto precisato che tale problema sembra porsi solo nel caso in cui il trasferimento è a titolo oneroso dietro corri-spettivo e sempre che si tratti di trasferimento che trova la sua ragione giustificativa nella si-stemazione dei rapporti patrimoniali tra coniugi in crisi.
In presenza dei presupposti richiesti dalla norma (art. 67 del Tuir) è dovuta l’imposta sulla differenza tra prezzo di vendita e prezzo di acquisto (con possibilità di optare per il pagamento dell’imposta sostitutiva del 20% nel caso in cui il trasferimento abbia a oggetto fabbricati).
Il problema non è risolto nè dal legislatore nè da documenti di prassi dell’Agenzia delle En-trate (per quanto questi ultimi rilevino).
Per le ragioni fin qui esposte sembrerebbe pacifico ritenere che le plsuvalenze sorte per ef-fetto di trasferimento tra coniugi che rinvengono la loro ragione nella crisi, non siano imponibili, sia perchè in questi casi è assente qualsiasi intento speculativo (ciò che, in definitiva, è la ratio della norma) sia perchè, come riconosciuto dalla Corte Costituzionale, tali trasferimenti non manifestano capacità contributiva.
In considerazione della ratio della norma, volta a colpire i trasferimenti c.d. speculativi, pare potersi sostenere anche per questa fattispecie la prevalenza dell’art. 19 della legge n. 74 del 1987, purchè, ancora una volta, il trasferimento immobiliare si giustifichi quale strumento di sistemazione dei rapporti economici tra i coniugi in crisi.
La ricordata Circolare n. 27/E del 21 giugno 2012 interviene solo su uno di questi problemi, escludendo la decadenza dall'agevolazione "prima casa" sia nel caso di trasferimento infraquinquennale da parte di un coniuge nei confronti dell'altro sia nel caso di alienazione dell'immobile acquistato con le agevolazioni "prima casa" da parte di un coniuge a terzi con trasferimento del ricavato all'altro coniuge.
La Circolare non si occupa, quindi della questione dell'imposta sull'eventuale plusvalenza. Tuttavia, se è vero che, nel caso di rivendita dell'immobile agevolato a terzi con riversamento del prezzo ricavato all'altro coniuge non si determina alcuna decadenza dall'agevolazione "prima casa" in quanto, afferma l'Agenzia «il coniuge tenuto a riversare le somme percepite dalla vendita all’altro coniuge non realizza, di fatto, alcun arricchimento dalla vendita dell’immobile», analogo principio dovrebbe applicarsi anche in relazione all'eventuale plusvalenza realizzata e riversata all'altro coniuge.

Documenti collegati

Trasferimenti immobiliari in funzione della separazione personale o del divorzio

Circolare N. 27/E, Risposte a quesiti in materia di imposta di registro

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