Circolare N. 27/E, Risposte a quesiti in materia di imposta di registro


Roma, 21 giugno 2012

OGGETTO Risposte a quesiti in materia di imposta di registro- Testo unico dell’imposta di registro, approvato con Decreto del presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131

Premessa

Con istanze indirizzate alla scrivente sono state rappresentate da Direzioni centrali e regionali di questa Agenzia, alcune tematiche di natura interpretativa in materia di imposta di registro.
Con la presente circolare, al fine di eliminare alcuni dubbi interpretativi ed assicurare l’uniforme applicazione dell’imposta sul territorio nazionale, si fornisce di seguito risposta ai quesiti proposti.

1. DECRETO DI OMOLOGAZIONE DELL’ACCORDO DI RISTRUTTURAZIONE DEI DEBITI E DEL CONCORDATO PREVENTIVO
1.1 Decreto di omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti

D: Si chiede di conoscere quale sia la corretta disciplina applicabile, ai fini dell’imposta di registro, al decreto di omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti previsto dall’articolo 182-bis del RD 16 marzo 1942, n. 267 (legge fallimentare).
Il dubbio interpretativo sorge in quanto, con riferimento all’atto di omologazione del concordato preventivo, con risoluzione 31 gennaio 2008, n. 28, è stato precisato che lo stesso deve essere assoggettato ad imposta di registro in misura proporzionale.
Tuttavia, sempre con riferimento al decreto di omologazione del concordato preventivo, la Corte di Cassazione ha avuto modo di affermare che, al fine di stabilire il corretto inquadramento di tale decreto, occorre rifarsi al criterio nominalistico.
Conseguentemente, l’atto di omologazione del concordato preventivo deve essere ricondotto nell’ambito applicativo della lettera g) dell’articolo 8 della Tariffa, parte prima, allegata al Testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro, approvato con decreto del presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131 (di seguito TUR) che dispone l’applicazione dell’imposta di registro in misura fissa per gli atti di omologazione.
In considerazione dei recenti orientamenti dei giudici di legittimità, si chiede di conoscere se per la registrazione del decreto di omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti previsto dall’articolo 182-bis del RD 16 marzo 1942, n. 267 (legge fallimentare), l’imposta di registro debba essere applicata in misura fissa ovvero in misura proporzionale.
R: Con riferimento al quesito proposto appare utile ricordare che, con risoluzione 26 marzo 2012, n. 27, questa Agenzia ha fornito chiarimenti in ordine alla corretta tassazione applicabile ai decreti di omologazione del concordato preventivo.
In particolare, con la richiamata risoluzione, è stato chiarito, rivedendo le posizioni espresse con la risoluzione 31 gennaio 2008, n. 28, che i decreti di omologazione dei concordati con garanzia, così come quelli con cessione di beni devono essere assoggettati ad imposta di registro in misura fissa, ai sensi dell’articolo 8, lettera g) della Tariffa, parte prima, allegata al TUR, che disciplina la tassazione degli atti “ di omologazione”.
Tale interpretazione è stata fornita anche in considerazione dei recenti orientamenti della Corte di Cassazione (v. sentenza 7 maggio 2007, n. 10352 e sentenza 7 settembre 2010, n. 19141) che, valorizzando una lettura di carattere nominalistico della disposizione recata dall’articolo 8 della Tariffa, allegata al TUR, afferma la riconducibilità del decreto di omologa del concordato preventivo con garanzia (nonché del concordato con cessione dei beni) alla previsione recata dall’articolo 8, lettera g), che dispone l’applicazione dell’imposta di registro nella misura fissa di 168 euro per gli atti giudiziari “di omologazione”.
Nella richiamata risoluzione è stato, inoltre, chiarito che l’imposta trova applicazione in misura proporzionale nella differente ipotesi del concordato con trasferimento dei beni al terzo assuntore.
Con riferimento al decreto di omologazione degli accordi di ristrutturazione dei debiti, disciplinati dall’articolo 182-bis della legge fallimentare, si osserva che tali accordi sono caratterizzati da una prima fase a carattere stragiudiziale, nella quale il debitore e i creditori pervengono ad un accordo sul risanamento dell’impresa mediante regolamento consensuale della situazione debitoria, ed una seconda a carattere giudiziale, nella quale l’accordo raggiunto, pubblicato nel registro delle imprese al fine di consentire la formulazione di eventuali opposizioni, è soggetto alla procedura di omologazione.
Il legislatore ha lasciato ampia libertà all’autonomia privata con riferimento all’oggetto del piano di ristrutturazione dei debiti.
L’istituto in questione, difatti, può prevedere l’estinzione delle obbligazioni mediante novazione, remissione, differimento della scadenza, ‘pactum de non petendo’ o cessione dei beni ai creditori ai sensi dell’articolo 1977 e ss. del codice civile.
Ciò premesso, in ordine all’imposta di registro dovuta in fase di registrazione del decreto del Tribunale, avente ad oggetto l’omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti, si ritiene che la recente posizione espressa dalla giurisprudenza in ordine al trattamento fiscale del decreto di omologa del concordato preventivo, debba trovare applicazione anche in relazione ai provvedimenti di omologa degli accordi di ristrutturazione dei debiti.
Anche con riferimento a tali accordi, occorre far riferimento al riportato criterio di carattere nominalistico e, pertanto, ricondurli, ai fini dell’imposta di registro, nell’ambito applicativo di cui alla lettera g) dell’articolo 8 della Tariffa, parte prima, allegata al TUR, che reca la disciplina degli atti di omologazione.
Per tali decreti, trova, quindi applicazione l’imposta di registro nella misura fissa di 168 euro.
Da ultimo, si osserva che, in mancanza di una puntuale definizione da parte del legislatore del contenuto dell’accordo di ristrutturazione, non si può escludere, in linea di principio, la possibilità che detto accordo possa prevedere anche il trasferimento o la costituzione di diritti reali. In tali ipotesi, si ritiene che l’atto giudiziario di omologazione di un accordo di ristrutturazione che costituisca titolo per il trasferimento o la costituzione di diritti reali su beni immobili o su unità da diporto ovvero su altri beni e diritti reali debba essere ricondotto all’ambito della disposizione recata dall’articolo 8, lettera a), della Tariffa, parte prima, allegata al TUR, con applicazione dell’imposta di registro in misura proporzionale.

1.2 Decreto di omologazione del concordato fallimentare con intervento del terzo assuntore.

D: Si chiede di conoscere quale sia la corretta tassazione applicabile per la registrazione di un decreto di omologa di un concordato fallimentare, con terzo assuntore.
La proposta di concordato formulata prevede, in particolare, che il terzo assuntore si accolli tutti i debiti della procedura concorsuale, con integrale liberazione della società insolvente e contestuale assunzione, a proprio favore, dell’attivo della procedura.
Si chiede di conoscere le modalità di tassazione del decreto, anche con riferimento al trasferimento dell’attivo fallimentare.
In proposito, si rappresenta che, a seguito dell’omologazione del concordato, il terzo assuntore ha acquisito al proprio patrimonio i seguenti elementi dell'attivo della società insolvente:
1) crediti pro-soluto e pro-solvendo;
2) depositi bancari;
3) la titolarità di azioni giudiziarie pendenti, di pertinenza della massa fallimentare (azioni revocatorie, azioni per l'accertamento del passivo fallimentare, azioni di responsabilità e azioni di recupero dei crediti);
4) crediti vantati verso l'Erario.
R: Come ricordato al punto 1.1., con risoluzione n. 27 del 2012, è stato precisato che i decreti di omologazione dei concordati sia con garanzia sia aventi ad oggetto la cessione dei beni ai creditori devono essere assoggettati ad imposta di registro in misura fissa, in quanto annoverabili tra gli atti di cui all’articolo 8, lettera g) della Tariffa, parte prima, allegata al TUR, avente ad oggetto gli atti “di omologazione”.
L’imposta trova, invece, applicazione in misura proporzionale nella differente ipotesi del concordato con trasferimento dei beni al terzo assuntore.
Il concordato fallimentare con l’intervento del terzo assuntore, disciplinato dall’articolo 124 della legge fallimentare, si caratterizza in via generale per la circostanza che l’assuntore si obbliga a soddisfare i crediti concorsuali nella misura concordata, in base allo schema civilistico dell’accollo (articolo 1273 del codice civile) dietro corrispettivo della cessione delle attività fallimentari.
Contrariamente a quanto accade nella procedura di concordato con cessione di beni o in quella con garanzia, nel caso del concordato con terzo assuntore, l’atto giudiziario di omologa produce effetti immediatamente traslativi.
Pertanto, il decreto di omologa del concordato con intervento del terzo assuntore, in qualità di atto traslativo della proprietà dei beni a favore del terzo assuntore, deve essere assoggettato ad imposta di registro in misura proporzionale, in base a quanto stabilito dall’articolo 8, lettera a), della Tariffa, parte prima, allegata al TUR, che prevede l’applicazione delle “stesse imposte stabilite per i corrispondenti atti”.
Resta fermo che tali atti non devono essere assoggettati all’imposta proporzionale nel caso in cui abbiano ad oggetto operazioni incluse nell’ambito applicativo dell’IVA, nel qual caso, in virtù del principio di alternatività IVA/ Registro di cui all’articolo 40 del TUR, l’imposta di registro deve essere applicata in misura fissa.
Per quanto attiene alla determinazione della base imponibile, si ritiene che l’accollo delle obbligazioni scaturenti dal concordato da parte del terzo assuntore costituisca una disposizione intrinsecamente connessa a quella relativa al trasferimento dell’attivo fallimentare, essendo entrambe finalizzate a realizzare una vicenda giuridica unitaria ed inscindibile.
La connessione tra il trasferimento dell’attivo fallimentare in favore dell'assuntore e l’accollo delle obbligazioni scaturenti dal concordato non si realizza in maniera soltanto occasionale né trova la sua fonte nella mera volontà delle parti. Infatti, il trasferimento all'assuntore dei beni compresi nell'attivo fallimentare ha il suo titolo esclusivo nel provvedimento di omologa del concordato (cfr. sentenza Cass. Civ. 19 luglio 1982, n. 4239).
In proposito, appare opportuno sottolineare che nonostante il maggiore spazio concesso con la riforma all’autonomia negoziale nella determinazione del contenuto della proposta di concordato fallimentare, permangono limitazioni all’autonomia privata (a titolo esemplificativo, le azioni di pertinenza della massa trasferibili, i debiti del fallito che il proponente ha facoltà di non assumere ai sensi dell'articolo 124 della legge fallimentare) e, un seppur semplificato, controllo giurisdizionale.
In linea di principio, il trasferimento dei beni all'assuntore nell'ambito della proposta di concordato non consegue ad un calcolo di convenienza delle parti, ma trova la sua diretta connessione con l'accollo delle obbligazioni concordatarie, essendo i beni trasferiti funzionalmente destinati al soddisfacimento delle stesse.
Peraltro, con l'apertura del fallimento, i beni caduti nel fallimento sono gravati dal vincolo di indisponibilità determinato a carico del fallito in favore della massa dei creditori.
Il venir meno di tale vincolo e la conseguente possibilità di trasferire i beni del fallimento nella disponibilità dell'assuntore può verificarsi solo con l'omologazione del concordato fallimentare, caratterizzato dalla liberazione immediata del soggetto fallito e dalla cessione dei beni all'assuntore in corrispettivo dell'accollo da parte sua dei debiti che fanno carico al fallito.
La connessione oggettiva tra l'accollo delle obbligazioni concordatarie e il trasferimento dell'attivo fallimentare risulta tale da non consentire di ritenere ciascuna di esse espressione di un'autonoma capacità contributiva. Ne consegue che, ad avviso della scrivente, si rende applicabile la disposizione recata dall'articolo 21, secondo comma, del TUR, relativo agli atti contenenti più disposizioni che derivano necessariamente le une delle altre.
In ossequio a tale disposizione normativa, l'imposta di registro si applica come se l'atto contenesse la sola disposizione che dà luogo alla imposizione più onerosa, da determinare avendo riguardo sia all'aliquota che alla base imponibile.
Occorre, quindi, porre a confronto l'imposizione gravante sulla parte del decreto relativo all'accollo dei debiti scaturenti dal concordato, soggetti all'imposta nella misura del 3 per cento ai sensi dell'articolo 9 della Tariffa ,parte prima, allegata al TUR, e l'imposizione gravante sui beni dell'attivo fallimentare trasferiti per effetto del concordato.
A seguito dell'omologazione del concordato, infatti, il terzo assuntore ha acquisito al proprio patrimonio l'attivo della società in fallimento che comprende i seguenti elementi:
1) crediti pro-soluto e pro-solvendo;
2) depositi bancari;
3) titolarità di azioni giudiziarie pendenti, di pertinenza della massa fallimentare (azioni revocatorie, azioni per l'accertamento del passivo fallimentare, azioni di responsabilità e azioni di recupero dei crediti);
4) crediti vantati verso l'Erario.
Con riferimento alla cessione dei crediti al terzo assuntore, si rammenta che le cessioni di crediti in denaro, non aventi causa di finanziamento, sono escluse dal campo di applicazione dell'IVA ai sensi dell'articolo 2, comma terzo, lettera a) del D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633 e, pertanto, in virtù del principio di alternatività IVA/registro, le stesse sono soggette ad imposta di registro con aliquota dello 0,50 per cento ex articolo 6 della Tariffa, parte prima, allegata al TUR.
Analogamente, la cessione all'assuntore dei crediti vantati verso l'Erario, quale cessione di crediti non aventi natura finanziaria, è assoggettata all'imposta di registro in misura proporzionale con l'aliquota dello 0,50 per cento sul loro ammontare ai sensi degli articoli 49 del TUR e 6 della Tariffa, parte prima, allo stesso allegata.
Sull'ammontare dei depositi bancari si applica l'imposta di registro con l’aliquota dello 0,50 per cento, atteso che la cessione di depositi bancari costituisce una cessione del credito.
Da ultimo, circa la cessione della titolarità di azioni giudiziarie pendenti di pertinenza della massa fallimentare, si ritiene che l'oggetto di tali cessioni possa individuarsi nel diritto controverso, atteso che le stesse consentono la successione a titolo particolare dell'assuntore nel diritto stesso (ad esempio nel caso delle azioni revocatorie del diritto a far dichiarare l'inefficacia dell'atto revocato). Ne consegue che, tali cessioni abbiano solo natura strumentale non comportando alcuna cessione anticipata dei beni o diritti cui le stesse si riferiscono (in tal senso con riguardo alla cessione delle azioni revocatorie cfr. sentenze Cassazione 31 agosto 2005, n. 17590 e 21 giugno 2000, n. 8419).
Pertanto, con riferimento alla parte del decreto di omologa del concordato in questione relativa alla cessione delle azioni di massa, si ritiene che la stessa esuli dall'ambito applicativo della disposizione di cui all'articolo 8, lettera a), della Tariffa, parte prima, allegata al TUR.

2. ACCORDI DI SEPARAZIONE E DIVORZIO
2.1 Disposizioni patrimoniali in favore dei figli effettuate in adempimento di accordi di separazione e divorzio

D: Si chiede di conoscere se per gli atti di trasferimento in favore dei figli effettuati nell’ambito dei procedimenti di separazione e divorzio possa trovare applicazione il regime di esenzione previsto dall’articolo 19 della legge n. 74 del 1987.
Tale disposizione prevede l’esenzione dall’imposta di bollo, di registro ed ogni altra tassa, tra l’altro, per “tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili del matrimonio…”.
Il quesito proposto riguarda, in particolare, il trattamento da riservare all’atto con il quale, nell’ambito di un accordo di separazione consensuale, un genitore, in qualità di proprietario della casa coniugale, dispone il trasferimento della nuda proprietà dell’immobile in favore dei figli.
R: L'articolo 19 della legge 6 marzo 1987, n. 74 dispone che “tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili del matrimonio nonché ai procedimenti anche esecutivi e cautelari diretti ad ottenere la corresponsione o la revisione degli assegni di cui agli artt. 5 e 6 della legge 1 dicembre 1970, n. 898, sono esenti dall'imposta di bollo, di registro e da ogni altra tassa".
Come precisato dalla Corte Costituzionale con sentenza 11 giugno 2003, n. 202, l’esigenza di agevolare l’accesso alla tutela giurisdizionale, che giustifica il beneficio fiscale con riferimento agli atti del giudizio divorzile, è altresì presente nel giudizio di separazione, in quanto finalizzato ad agevolare e promuovere, in breve tempo, una soluzione idonea a garantire l’adempimento delle obbligazioni che gravano sul coniuge non affidatario della prole.
Dal punto di vista oggettivo, le agevolazioni di cui al citato art. 19 si riferiscono a tutti gli atti, documenti e provvedimenti che i coniugi pongono in essere nell'intento di regolare i rapporti giuridici ed economici ‘relativi’ al procedimento di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili dello stesso.
L’esenzione recata dal citato articolo 19 della legge n. 74 del 1987 deve ritenersi applicabile ad accordi di natura patrimoniale non soltanto direttamente riferibili ai coniugi (quali gli accordi che contengono il riconoscimento o il trasferimento della proprietà esclusiva di beni mobili ed immobili all’uno o all’altro coniuge – cfr. Cass. 17 febbraio 2001, n. 2347) ma anche ad accordi aventi ad oggetto disposizioni negoziali in favore dei figli.
Al riguardo, la Corte di Cassazione, con sentenza n. 11458 del 2005, ha precisato che “la norma speciale contenuta nell'art. 19 L. 6 marzo 1987, n. 74 (…) dev'essere interpretata nel senso che l'esenzione "dall'imposta di bollo, di registro e da ogni altra tassa" di "tutti gli atti, documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti del matrimonio" si estende "a tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di separazione personale dei coniugi", in modo da garantire l'adempimento delle obbligazioni che i coniugi separati hanno assunto per conferire un nuovo assetto ai loro interessi economici (Corte costituzionale 25 febbraio 1999, n. 41), anche con atti i cui effetti siano favorevoli ai figli (in questo senso già si era pronunciata la Corte costituzionale con sentenza 15 aprile 1992, n. 176, ma ancor più chiaramente e decisamente il principio è enunciato dalla sentenza della Corte costituzionale 11 giugno 2003, n. 202)".
La richiamata interpretazione giurisprudenziale si fonda sulla considerazione che gli accordi a favore dei figli, stipulati dai coniugi nella gestione della crisi matrimoniale, oltre a garantire la tutela obbligatoria nei confronti della prole, costituiscono, talvolta, l'unica soluzione per dirimere controversie di carattere patrimoniale.
Pertanto, l'esenzione fiscale prevista dall'articolo 19 della legge n. 74 del 1987 deve ritenersi applicabile anche alle disposizioni patrimoniali in favore dei figli disposte in accordi di separazione e di divorzio a condizione che il testo dell'accordo omologato dal tribunale, al fine di garantire la certezza del diritto, preveda esplicitamente che l'accordo patrimoniale a beneficio dei figli, contenuto nello stesso, sia elemento funzionale e indispensabile ai fini della risoluzione della crisi coniugale.

2.2 Trasferimento, nell’ambito degli accordi di separazione o divorzio, dell’immobile acquistato fruendo delle agevolazioni ‘prima casa’ anteriormente al decorso del quinquennio

D: Si chiede di conoscere se si verifica la decadenza dall’agevolazione ‘prima casa’, fruita in sede di acquisto dell’immobile, nel caso di trasferimento della casa coniugale, effettuato in adempimento di accordi di separazione e divorzio, da parte di uno o di entrambi i coniugi.
In particolare, viene chiesto di conoscere se si verifica la decadenza dall’agevolazione nel caso in cui, nell’ambito dell’accordo omologato dal tribunale, venga previsto che:
a) uno dei coniugi trasferisca all’altro, prima del decorso del termine di cinque anni dall’acquisto, la propria quota del 50% della casa coniugale, acquistata con i benefici ‘prima casa’;
b) in alternativa che entrambi i coniugi vendano a terzi la propria casa coniugale, prima del decorso di cinque anni dall’acquisto, con rinuncia da parte di uno dei coniugi a favore dell’altro all’incasso del ricavato della vendita.
R: La nota II –bis) all’articolo 1 Tariffa, parte prima, allegata al TUR dispone, al comma 4, la decadenza dalle agevolazioni ‘prima casa’ qualora si proceda al “… trasferimento per atto a titolo oneroso o gratuito degli immobili acquistati con i benefici … prima … del decorso del termine di cinque anni dalla data del loro acquisto”.
Al verificarsi della decadenza, l’Agenzia delle entrate provvede al recupero della “differenza fra l'imposta calcolata in assenza di agevolazioni e quella risultante dall'applicazione dell'aliquota agevolata”, nonché all’irrogazione della sanzione amministrativa pari al 30 per cento e degli interessi di mora.
In caso di vendita dell’immobile nel quinquennio, la decadenza dall’agevolazione può essere evitata, in base a quanto previsto dalla citata nota II- bis), comma 4, dell’articolo 1, della Tariffa, parte prima, allegata al TUR, qualora, entro un anno dall’alienazione, si proceda all’acquisto di un nuovo immobile da adibire ad abitazione principale.
In linea generale, pertanto, qualora si trasferisca l’immobile acquistato con le agevolazioni ‘prima casa’ e non si proceda all’acquisto entro l’anno di un nuovo immobile, da destinare ad abitazione principale, si verifica la decadenza dall’agevolazione fruita.
Con riferimento al quesito proposto, appare utile rilevare, tuttavia, che l’atto di trasferimento della quota del 50 per cento della casa coniugale, da parte di uno dei due coniugi all’altro, è effettuato in adempimento di un accordo di separazione o divorzio.
In relazione a tale trasferimento trova, quindi, applicazione il regime di esenzione previsto dall’articolo 19 della legge 6 marzo 1987, n. 74, secondo cui sono esenti dall’imposta di bollo, di registro e da ogni altra tassa “Tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili del matrimonio …”.
La giurisprudenza della Corte di Cassazione (cfr. sentenza n. 7493 del 22 maggio 2002 che richiama la sentenza n. 2347 del 2001) è ferma nello statuire che le agevolazioni in questione “… operano con riferimento a tutti gli atti e convenzioni che i coniugi pongono in essere nell’intento di regolare sotto il controllo del giudice, i loro rapporti patrimoniali conseguenti allo scioglimento del matrimonio, ivi compresi gli accordi che contengono il riconoscimento o il trasferimento della proprietà esclusiva di beni mobili ed immobili all’uno o all’altro coniuge”.
Come affermato dalla Corte Costituzionale (cfr. sentenza n. 202 dell’11 giugno 2003), il regime di esenzione disposto dall’articolo 19 risponde all’esigenza “… di agevolare l’accesso alla tutela giurisdizionale che motiva e giustifica il beneficio fiscale con riguardo agli atti del giudizio divorzile…” e “… di separazione, anche in considerazione dell’esigenza di agevolare e promuovere, nel più breve tempo, una soluzione idonea a garantire l’adempimento delle obbligazioni che gravano, ad esempio sul coniuge non affidatario della prole”.
Di fatto, a parere della Corte, con la richiamata disposizione, il legislatore ha inteso escludere da imposizione gli atti del giudizio divorzile (o di separazione), al fine di favorire una rapida definizione dei rapporti patrimoniali tra le parti.
In considerazione di tale principio, si ritiene, pertanto, che tale regime di favore possa trovare applicazione anche al fine di escludere il verificarsi della decadenza dalle agevolazioni ‘prima casa’ fruite in sede di acquisto, qualora in adempimento di un obbligo assunto in sede di separazione o divorzio, uno dei coniugi ceda la propria quota dell’immobile all’altro, prima del decorso del termine quinquennale.
Il trasferimento al coniuge concretizza, infatti, un atto relativo “al procedimento di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili del matrimonio…”.
Si precisa che la decadenza dall’agevolazione è esclusa a prescindere dalla circostanza che il coniuge cedente provveda o meno all’acquisto di un nuovo immobile.
Tale interpretazione trova conferma in diverse sentenze delle Commissioni Tributarie. Si ricorda, in particolare la sentenza del 2 febbraio 2011 n. 8, con la quale la Commissione Trib. Centrale di Vicenza - sez. V ha ritenuto non applicabile il regime di decadenza previsto dalla citata nota II bis, comma 4, nel caso di trasferimento dell’immobile all’altro coniuge “… al fine di dare esecuzione agli accordi presi in sede di separazione consensuale tra i coniugi”.
La Commissione chiarisce che tale cessione “costituisce atto emanato in stretta esecuzione del decreto giudiziale di omologazione della separazione tra i coniugi, e le caratteristiche assolutamente peculiari del negozio ‘de quo’, che non ubbidisce a un ‘animus donandi’ ma alla volontà di definire i rapporti patrimoniali in seguito alla risoluzione del rapporto matrimoniale, sotto l’egida del Tribunale, giustifica la non riconducibilità della fattispecie nell’alveo della disposizione di cui al citato n. 4”.
A parere della scrivente, la decadenza dall’agevolazione ‘prima casa’ può essere esclusa anche nel diverso caso in cui l’accordo omologato dal tribunale preveda che entrambi i coniugi alienino a terzi la proprietà dell’immobile, con rinuncia da parte di uno dei coniugi a favore dell’altro, all’incasso del ricavato della vendita; in tal caso, tuttavia, la decadenza può essere esclusa solo nel caso in cui il coniuge - al quale viene assegnato l’intero corrispettivo derivante dalla vendita - riacquisti, entro un anno dall’alienazione, un altro immobile da adibire ad abitazione principale.
Infatti, ancorché in relazione all’atto di trasferimento dell’immobile a terzi non trovi applicazione il regime di esenzione previsto dall’articolo 19 della legge 6 marzo 1987, n. 74, (in quanto il contratto di compravendita non trova la propria causa nel procedimento di separazione e divorzio), occorre comunque considerare che, nel caso in esame, il coniuge tenuto a riversare le somme percepite dalla vendita all’altro coniuge non realizza, di fatto, alcun arricchimento dalla vendita dell’immobile. Il ricavato della vendita è, infatti, percepito interamente dall’altro coniuge in capo al quale resta fermo, conseguentemente, l’onere di procedere all’acquisto di un altro immobile, da adibire ad abitazione principale.
Si rileva, inoltre, che il coniuge cedente, sia nel caso in cui trasferisca la propria quota dell’immobile all’altro coniuge sia nel caso in esame in cui ceda a terzi l’immobile e riversi il ricavato della vendita all’altro coniuge, si priva del bene posseduto a favore dell’altro e, pertanto, non appare coerente un diverso trattamento fiscale delle due operazioni. Tale soggetto non è, quindi, tenuto ad acquistare un nuovo immobile per evitare la decadenza.
Come chiarito, sull’altro coniuge che percepisce l’intero corrispettivo della vendita incombe l’obbligo di riacquistare, entro un anno dall’alienazione, un altro immobile da adibire ad abitazione principale, secondo le regole ordinarie.
Solo in tale ipotesi, non si verifica la decadenza dal regime agevolativo ‘prima casa’ fruito in relazione all’acquisto della casa coniugale.

3. CESSIONE DI AREA GRAVATA DA VINCOLO DI INEDIFICABILITA’ ASSOLUTA ALLA QUALE RISULTA CONNESSO UN DIRITTO DI CUBATURA
3.1 Cessione di area gravata da vincolo di inedificabilità assoluta, in relazione alla quale sarà concesso da un Comune un diritto di cubatura su area ubicata in altri comprensori urbani.

D: Si chiedono chiarimenti in ordine al trattamento fiscale applicabile ad un atto pubblico avente ad oggetto il trasferimento tra società di capitali di un’area gravata da vincolo di inedificabilità assoluta, che l’acquirente trasferirà successivamente al Comune a fronte del riconoscimento, da parte del comune stesso, di un diritto di cubatura di valore corrispondente all’area ceduta, collocato su un’area ubicata in altro comprensorio urbano.
R: L’articolo 36, comma 2, del DL 4 luglio 2006, n. 223, convertito con modificazioni dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, dispone che, ai fini dell’applicazione, tra l’altro, dell’IVA, dell’imposta di registro e delle imposte sui redditi “….un’area è da considerare fabbricabile se utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale adottato dal comune, indipendentemente dall’approvazione della regione e dall’adozione di strumenti attuativi del medesimo”.
L’articolo 2, terzo comma, del DPR 26 ottobre 1972, n. 633, nell’elencare le operazioni non considerate cessioni di beni ai fini dell’applicazione dell’imposta sul valore aggiunto (per mancanza del presupposto oggettivo), individua, alla lettera c), “le cessioni che hanno per oggetto terreni non suscettibili di utilizzazione edificatoria a norma delle vigenti disposizioni”.
Sulla base del combinato disposto delle norme citate, l’imponibilità ai fini IVA è collegata alla destinazione edificatoria che il terreno possiede al momento della cessione.
Ai fini della determinazione del trattamento fiscale applicabile all’atto di trasferimento in esame, occorre tener conto del fatto che l’atto di cessione tra le due società non ha ad oggetto esclusivamente l’area gravata da vincolo di inedificabilità ma, altresì, l’aspettativa connessa alla futura “compensazione edificatoria”, in virtù della quale la società proprietaria, a fronte della successiva cessione dell’area non edificabile – in favore del comune – riceverà da quest’ultimo una cubatura di valore corrispondente, collocata su un’area ubicata in altri comprensori urbani.
Pertanto, nell’ipotesi in cui il contratto di compravendita consenta di distinguere la parte di corrispettivo ascrivibile alla cessione del terreno non suscettibile di utilizzazione edificatoria dalla parte riconducibile alla cessione della futura cubatura nella nuova localizzazione, si ritiene applicabile il seguente trattamento tributario.
La parte di corrispettivo ascrivibile alla cessione di terreni non edificabile va assoggettata ad imposta di registro nella misura proporzionale dell’8 per cento, come previsto dall’articolo 1, comma 1, della Tariffa, parte prima, allegata al TUR, mentre il residuo importo del corrispettivo, riconducibile alla cessione dei diritti edificatori nella nuova localizzazione, rientra, in base all’articolo 2 del DPR n. 633 del 1972, nel campo di applicazione dell’IVA e sconta, pertanto, l’imposta con applicazione dell’aliquota ordinaria del 21 per cento.
Laddove le parti, invece, non operino alcuna distinzione nell’ambito del corrispettivo dovuto, l’intera operazione deve essere assoggettata ad imposta di registro nella misura ordinaria dell’8 per cento, come previsto dal citato articolo 1 della Tariffa, parte prima, allegata al TUR.
Le Direzioni regionali vigileranno affinché le istruzioni fornite e i principi enunciati con la presente circolare vengano puntualmente osservati dalle Direzioni provinciali e dagli Uffici dipendenti.

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