Quando una scrittura privata assume la qualifica di "testamento"? (Cass. Civ., Sez. VI-II, sent. n. 25936 del 24 settembre 2021)

Perché si abbia testamento è necessario che lo scritto contenga la manifestazione di una volontà definitiva dell’autore, compiutamente e incondizionatamente formata, diretta a disporre attualmente, in tutto o in parte, dei propri beni per il tempo successivo alla morte. Pertanto, ai fini della configurabilità di una scrittura privata come testamento, non è sufficiente il riscontro dei requisiti di forma, ma occorre altresì l’accertamento dell’oggettiva riconoscibilità nella scrittura della volontà attuale del suo autore di compiere non già un mero progetto, ma un atto di disposizione del proprio patrimonio per il tempo successivo al decesso.
Al fine di accertare se una dichiarazione scritta, con la quale un soggetto disponga in favore di altra persona di tutte o di parte delle proprie sostanze, configuri una disposizione testamentaria, è necessario indagare, ove le espressioni contenute nel documento risultino ambigue, o comunque di valore non certo, su ogni circostanza, anche estrinseca, idonea a chiarire la portata, le ragioni e le finalità perseguite con la disposizione medesima. Il giudizio espresso dal giudice di merito circa la definitività della manifestazione di volontà involge un apprezzamento di fatto che, se adeguatamente motivato, è incensurabile in cassazione.

Commento

(di Daniele Minussi)
Non basta il dato formale (olografia) a dare sostanza ad un atto di ultima volontà. Serve che di questo vi sia la sostanza, vale a dire il riscontro di un intento da parte dell'autore di essa di esprimere la propria volontà, intesa non già come semplice vago intendimento, di disporre delle proprie sostanze per il tempo in cui avrà cessato di vivere.

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