L'art.
art.2118 cod.civ. rispecchia una disciplina del contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato che non si può dire rispondente alla realtà normativa ormai da parecchi anni, in esito all'intervento della relativa legislazione speciale (cfr. la legge 15 luglio 1966 n.
604 sui licenziamenti individuali , la legge 20 maggio 300/70 art.
18, sullo statuto dei lavoratori, la legge 11 maggio 1990 n.
108).
Alla stregua di dette norme, in generale, si può dire che il recesso da parte del datore di lavoro, vale a dire il licenziamento del prestatore di lavoro, non può avvenire se non per giusta causa ai sensi dell'art. 2019 cod.civ. ovvero per giustificato motivo nota1. Giova rilevare come quest'ultima norma (per effetto della riforma introdotta dal
D. Lgs. 14/2019), sia pure a far tempo dal 15 agosto 2020, contenga la previsione in base alla quale gli effetti della liquidazione giudiziale sui rapporti di lavoro sono regolati dal codice della crisi e dell'insolvenza.
Ai sensi dell'art.
2118 cod.civ. ciascuno dei contraenti poteva recedere dando preavviso. Datore e prestatore di lavoro si trovavano in una apparente posizione paritaria ai fini dell'esercizio del recesso unilaterale ad nutum
nota2 . Questa regola è tuttora applicabile nell'ambito dei rapporti di lavoro dei dirigenti e, più in generale, in quelli nei quali specifiche norme (di legge, regolamentari o afferenti alla contrattazione collettiva) così prescrivono a favore del prestatore di lavoro nei casi di recesso del datore. In queste ipotesi, difettando il preavviso, colui che recede è tenuto, nei confronti dell'altra parte, alla corresponsione di una indennità equivalente all'importo della retribuzione correlata al periodo di (mancato) preavviso.
Note
nota1
Brollo, in Comm.cod.civ., dir. da Cendon, vol.V, Torino, 1997, p.397.
top1nota2
Mancini, Il recesso unilaterale e i rapporti di lavoro, Milano, 1962, p.1965.
top2Bibliografia
- BROLLO, Torino, Comm.cod.civ.Cendon, V, 1997
- MANCINI, Il recesso unilaterale e i rapp. di lav., Milano, 1962