Particolari limiti
nei rapporti fra proprietari di fondi confinanti riguardano la facoltà di costruire sul proprio suolo con riferimento alle distanze tra le edificazioni (cfr.
Cass. Civ. Sez. II, 7044/04 nonché
Cass. Civ. Sez. II, 6546/10 che hanno reputato la relativa normativa applicabile
anche nei rapporti tra proprietari di singole unità in edificio condominiale, sia pure subordinatamente alla compatibilità con le norme particolari relative alle cose comuni. Cfr., per un caso di incompatibilità,
Cass. Civ. Sez. II, 20092/11)
nota1. Si tratta di prescrizioni variabili in dipendenza della natura, della destinazione della costruzione
nota2, nonché della normativa regolamentare comunale. A questo riguardo occorre chiarire che l'eventuale rilascio di titoli abilitativi a costruire in modo tale da condurre alla violazione delle regola in esame non legittima l'attività edificatoria, dal momento che concessioni o permessi vengono sempre rilasciati sotto la clausola "salvi i diritti di terzi" (
Cass. Civ. Sez. II, 25637/2014; cfr. nel senso che il rilascio del condono non preclude la fondatezza della domanda di ripristino delle distanze tra le costruzioni
Consiglio di Stato Sez. II, 1766/2020). Quanto poi alla possibilità di emanare permessi di costruire in deroga, essa è limitata al tempo antecedente l'attività edificatoria, essendone escluso il rilascio susseguente ad essa (
Cass. Civ. Sez. II, 18499/2020).
Dette norme, dettate nell'interesse generale
nota3, sono anche poste a presidio dell'interesse dei vicini: risulta conseguentemente possibile farle valere in un giudizio civile. Legittimato attivamente a far valere il mancato rispetto delle distanze è, evidentemente, il proprietario della costruzione vicina. Dalla natura di
negatoria servitutis (
Cass. Civ. Sez. II, 22348/09) della relativa azione è stato desunto che anche l'usufruttuario possa agire per la denunzia della violazione in parola.
La norma fondamentale in materia è contenuta nell'
art. 873 cod. civ., in base al quale,
al fine di evitare intercapedini fra costruzioni poste sul confine delle proprietà, dette costruzioni devono essere unite o aderenti ovvero, in alternativa, distanti almeno tre metri una dall'altra, salve le maggiori (mai minori: cfr.
Cass. Civ. Sez. II, 19554/09 con la quale è stato stabilito che la nozione di "costruzione" sia rimessa esclusivamente alla legge e non già alla normativa secondaria) distanze eventualmente prescritte dai
regolamenti locali. La vigenza di essi non è peraltro retroattiva (cfr.
Cass. Civ. Sez. II, 14915/2015).
Ma cosa deve intendersi con il termine "costruzione"? Non lo è, secondo la giurisprudenza, il muro che adempia alla mera funzione di contenimento del dislivello naturale del terreno (
Cass. Civ. Sez. II, 14710/2019). La regola relativa alle distanze non si applica agli ampliamenti delle costruzioni preesistenti che non producano modifiche della precedente sagoma in altezza o in larghezza sul fronte verso il confine (cfr.
Cass. Civ. Sez. II, 14543/04; cfr. tuttavia
Cass. Civ. Sez. II, 18272/07 nella direzione potenzialmente contraria, nell'eventualità di costruzione in sopraelevazione che sia allineata in senso verticale rispetto all'altrui sottostante proprietà preesistente, nell'ipotesi in cui quest'ultima appartenga allo stesso soggetto proprietario dell'area confinante, nonché
Cass. Civ. Sez. II, 15390/2014 sempre in materia di modifica della falda della copertura). In tema di ricostruzione di fabbricato preesistente, cfr. invece
Cass. Civ. Sez. II, 28297/2021: essa si applica invece anche in relazione alle costruzioni che possano essere reputate accessorie (
Consiglio di Stato Sez. IV, 836/2019).
Si può inoltre riferire che la regola del rispetto delle distanze in parola si applica analogamente alle
c.d. "ricostruzioni" di fabbricati preesistenti (distrutti per eventi umani o naturali). Ogni variazione della sagoma rispetto a quella precedente darebbe vita ad una costruzione che potrebbe essere qualificata come "nuova". Ciò, si badi bene, non soltanto in relazione alle parti eccedenti in altezza, larghezza e profondità quelle preesistenti,
dovendo l'intera edificazione essere considerata come tale (
Cass. Civ. Sez. II, 17176/08). Successivamente la S.C. è tuttavia intervenuta, specificando che tali gravi conseguenze si producano soltanto nel caso in cui lo strumento urbanistico specificamente consideri una siffatta disciplina per l'ipotesi della ricostruzione, altrimenti dovendosi considerare "nuova" soltanto le porzioni eccedenti per volume e sagoma rispetto a quelle originarie (cfr.
Cass. Civ. Sez. II, ord. 12196/2022).
Deve considerarsi "costruzione" qualsiasi manufatto non completamente interrato che possieda caratteristiche di stabilità ed immobilizzazione anche mediante collegamento a corpo di fabbrica preesistente (quale un balcone o una scala esterna) che non possieda funzione semplicemente ornamentale (
Cass. Civ. Sez. II, 20574/07), con la quale è stato deciso che la distanza deve essere misurata dal limite dell'aggetto che detto manufatto abbia creato verso la proprietà vicina).
Ai fini del computo delle distanze di cui alla norma in esame, il muro di cinta e ogni altro muro isolato che non abbia un'altezza superiore ai tre metri non viene considerato (
art. 878 cod. civ.). Per converso vengono considerati i muri aventi altezza superiore (
Cass. Civ Sez. II, 3037/2015). I cortili non contano (
Cass. Civ. Sez. II, ord. n. 4025/2023).
Occorre notare che, per effetto dell'intervento di ulteriore normativa di carattere urbanistico, in concreto i regolamenti comunali possono, in quanto meno restrittivi rispetto a queste norme, risultare inapplicabili, valendo le prescrizioni speciali del codice come misure di salvaguardia proprio in quanto più rigorose (
Cass. Civ. Sez. II, 6695/94). Vi sono inoltre elenchi di Comuni in relazione ai quali viene disposta la inapplicabilità delle prescrizioni della legge urbanistica (
L. n. 1150/42) così come modificata dalla c.d.
"Legge ponte" n. 765/67 (
Cass. Civ. Sez. II, 4623/93). Se poi si considera che in tanto rinvengono efficacia le norme regolamentari, in quanto in concreto prescrivano limiti più severi rispetto a quelli di cui all'
art. 873 cod. civ., ritenendosi che, in difetto di concerta prescrizione, quest'ultima norma comunque mantenga la propria efficacia (pur tenendo conto del modo di disporre dell'
art. 41 quinquies della L. n. 1150/1942 come modificata dalla
L. n. 765/67: cfr.
Cass. Civ. Sez. II, 7804/91), diviene dunque evidente che l'
art. 873 cod. civ. conserva una propria sfera di applicazione di grande importanza, pur contenendo un importante rinvio alla normativa secondaria.
Premesso, quanto sopra, occorre tuttavia considerare che l'
art. 9 del D.M. 2 aprile 1968 n. 1444, emanato in esecuzione della predetta norma sussidiaria di cui all'
art. 41 quinquies della L. n. 1150/42,
ha imposto una distanza minima inderogabile di dieci metri tra pareti finestrate e quelle di edifici antistanti, direttamente incidendo sui regolamenti edilizi comunali, vale a dire imponendo tali limiti ai Comuni nella adozione o nella revisione degli strumenti urbanistici. Per la nozione di "parete finestrata" si veda
Cass. Civ. Sez. II, 11048/2022. Non era del tutto chiaro il limite di operatività di siffatta norma: se cioè essa vincolasse soltanto l'amministrazione comunale (così
Cass. Civ. Sez. II, 3371/01 ed anche
Cass. Civ. Sez. II, 633/03)
ovvero se venisse direttamente ad incidere nei rapporti interprivati (in questo senso, cfr.
Cass. Civ. Sez. II, 4413/01). Quest'ultimo è l'orientamento attualmente prevalente, sancito anche dalle Sezioni Unite della Cassazione (
Cass. Civ. Sez. Unite, 14953/2011) che hanno stabilito la prevalenza della detta normativa sui regolamenti comunali, operando un fenomeno di sostituzione automatica delle regole eventualmente contrastanti, cui seguirebbe l'indispensabilità di un adeguamento anche della condotta interprivata.
E' notevole osservare che, quando il predetto art. 9 diviene in concreto applicabile (ciò che è possibile anche in esito alla disapplicazione delle disposizioni degli strumenti urbanistici contrastanti con il medesimo, disapplicazione che ben può essere operata dal giudice civile:
Cass. Civ. Sez. II, 21899/04),
norme regolamentari assurgono al rango di fonte primaria proprio in relazione al rinvio recettizio contenuto nella norma in esame. Né appare possibile, nell'ipotesi di violazione, evitare la sanzione ripristinatoria semplicemente eliminando la caratteristica di "veduta" dell'apertura finestrata della parete, degradando tale apertura a mera "luce" (in questo senso cfr.
Cass. Civ. Sez. II, 4834/2019).
Quali siano le conseguenze di una siffatta normativa in riferimento alla possibilità di agire per il risarcimento del danno non è del tutto perspicuo. Se infatti si può dire che normalmente la violazione della normativa in tema di distanza tra le costruzioni configura di per sé un pregiudizio per il vicino, suscettibile di risarcimento, non altrettanto si può dire per quanto attiene per l'invocazione di un danno generico, di per sé scaturente dalla sopraelevazione (
Cass. Civ. Sez. II, 7752/13). Rimane da capire che cosa possa dirsi delle ipotesi in cui, intervenuto tra i confinanti un preciso accordo derogatorio rispetto alle distanze legali (da qualificarsi in chiave di servitù: da costituirsi contrattualmente: cfr.
Cass. Civ. Sez. II, 3684/2021 in relazione all'insufficienza di una mera dichiarazione unilaterale), lo stesso debba qualificarsi come concluso in violazione della riferita normativa. Secondo l'opinione preferibile dovrebbe essere precluso al privato
venire contra factum proprium, pur rimanendo aperta la possibilità di valutare la violazione dal punto di vista amministrativo, dal momento che si imporrebbe la cennata immediata operatività del predetto limite dei dieci metri.
La regola generale di cui all'
art. 873 cod. civ. può dar luogo ad una variegata casistica, disciplinata anche dagli artt.
874,
875,
876 e
877 cod. civ.:
- nei pressi del confine non esistono costruzioni, né da una parte né dall'altra che siano poste a distanza inferiore di metri tre computati dal confine stesso;
- soltanto da una parte del confine esiste una costruzione posta a distanza variabile da un minimo di meno di tre metri ad un massimo di un metro e mezzo dal confine;
- da una parte sola del confine v'è una costruzione non posta sulla linea di confine stessa, ma comunque distante da tale linea meno di un metro e mezzo;
- da una parte sola del confine v'è una costruzione posta sulla linea di esso.
Nel primo dei casi elencati, il proprietario confinante può effettuare (o anche estendere) qualsiasi costruzione sulla sua proprietà fino alla linea di confine, dal momento che, in ogni caso, risulta rispettata la misura minima della distanza legale pari a tre metri (ovvero quella, maggiore, di dieci metri di cui si è detto sopra).
Viene in considerazione al riguardo il c.d.
principio o criterio di "prevenzione", in base al quale la scelta (di costruire sul confine o in arretramento) spetta a chi costruisce per primo (il c.d. preveniente). Al prevenuto non resta se non adeguarsi all'attività già posta in essere dal preveniente, fermo restando che l'attività edificatoria del primo, a propria volta non potrà non influire sugli sviluppi delle eventuali ulteriori edificazioni che il preveniente potrebbe attuare (
Cass. Civ. Sez. II, 8125/04).
Nella seconda ipotesi, il proprietario del fondo che intende edificare deve tenere la sua costruzione arretrata in misura tale da mantenere l'intervallo di tre metri dalla costruzione posta oltre il confine (se, per es., questa è a un metro e ottanta centimetri dal confine, l'altra può distare fino a un metro e venti dallo stesso).
Nel caso sub 3), il proprietario al di qua del confine è posto di fonte ad una triplice scelta:
3a) può edificare a distanza di tre metri dalla costruzione oltre confine: in questo modo finirà per porre la costruzione ad una distanza maggiore di un metro e mezzo dal proprio confine;
3b) può saldare la propria fabbrica a quella posta al di là del confine, ottenendo (anche coattivamente) da un lato la
comunione del muro posto al di là del confine, dall'altro la
proprietà del tratto di terreno che corre fra il confine stesso e il muro della costruzione del vicino. Ricorrendo questa eventualità sarà dovuto il pagamento della metà del valore del muro e l'intero valore del suolo;
3c) può infine costruire
in aderenza al muro del vicino, vale a dire senza utilizzarlo come struttura portante, ma eliminando ogni distanza interposta: sarà dovuto solo il valore del terreno occupato fra il confine e il muro (artt.
875 e
877 cod. civ.).
Infine nella quarta ed ultima ipotesi, sussistendo sul confine una costruzione del vicino, il proprietario del fondo confinante ha analoghe possibilità, cioè o tenersi a tre metri dalla costruzione preesistente, dal confine o costruire
in unione o costruire
in aderenza (artt.
874 e
877 cod. civ.).
Tali regole parrebbero derogabili soltanto quando vi fossero norme dettate dai regolamenti locali che fissino un distacco obbligatorio rispetto al confine (mentre quando non vi fossero prescrizioni relative al distacco minimo, esse rimarrebbero applicabili: cfr.
Cass. Civ. Sez. II, 26713/2020). Al riguardo si sono espresse le SSUU della Cassazione, che hanno reputato comunque operativo il criterio della prevenzione. L'equo contemperamento degli interessi delle parti sarebbe garantito dalla possibilità, offerta al prevenuto, di domandare la comunione forzosa del muro o di costruire in aderenza alla fabbrica eretta dal preveniente sul confine o a distanza dallo stesso inferiore alla metà del distacco fissato dalla norma regolamentare. Potrebbe dunque ben applicarsi il principio di prevenzione quando il regolamento edilizio del Comune prescrive una distanza fra le costruzioni superiore a quella prevista dall'art. 873 cod. civ. e non anche un distacco minimo dei fabbricati dal confine né vieta in modo esplicito la costruzione in appoggio o in aderenza.
Giova precisare la natura delle conseguenze giuridiche che si producono in esito alla violazione delle prescrizioni in tema di distanze minime tra le costruzioni. A questo proposito si badi al tenore del II comma dell'
art. 872 cod. civ., in base al quale, prescindendo dal risarcimento del danno, è fatta salva la facoltà di chiedere la riduzione in pristino, quando si tratta della violazione delle norme contenute nelle norme successive.Per effetto di questa importante regola è possibile distinguere due casi:
- se il regolamento comunale viene a integrare il codice in quanto è da una norma di esso richiamato, ciò che avviene ex art. 873 cod. civ. in tema di distanze tra edifici, il vicino può agire, oltre che per il risarcimento del danno, anche per la riduzione in pristino (Cass. Civ. Sez. II, ord. 13624/2021), vale a dire per la rimozione dell'opera abusivamente costruita;
- se il regolamento non integra le disposizioni del codice civile, il proprietario danneggiato in conseguenza della violazione del regolamento può agire per il risarcimento ed avvalersi dei rimedi stabiliti amministrativamente, ma non ha la possibilità di chiedere la rimozione dell'opera abusiva (art. 872 cod. civ.) nota4.
Occorre inoltre rilevare come la domanda giudiziale intesa a denunziare la violazione delle distanze legali tra le costruzioni e ad ottenere il ripristino dello
status quo ante, sia stata qualificata in chiave di
negatoria servitutis, come tale soggetta a trascrizione ai sensi del
n. 3 dell'art. 2653 cod. civ. (
Cass. Civ. Sez. Unite, 13523/06).
Inversamente la pattuizione con la quale i proprietari di fondi posti a confine si accordano (ma di accordo deve pur sempre trattarsi, non essendo sufficiente l'espressione unilaterale di intento: cfr.
Cass. Civ., Sez. II, 14711/2019) derogando alla normativa in tema di distanze minime tra le costruzioni
da origine ad una servitù prediale avente il corrispondente contenuto. La natura reale di questo diritto da conto di come esso possa anche scaturire in esito alla maturazione del termine per l'usucapione (
Cass. Civ. Sez. II, 18888/2014; si veda anche
Cass. Civ. Sez. II, 24014/2014). Ma è sempre possibile fare pattiziamente deroga alla normativa in tema di distanze minima tra costruzioni? La risposta dei Giudici è affermativa soltanto per quanto attiene alla regola del codice civile, non per le regole contenute nei piani regolatori e nei regolamenti edilizi (
Cass. Civ. Sez. II, ord. 24827/2020). In questo senso si è espressa anche la susseguente
Cass. Civ. Sez. II, ord. n. 3304/2023.
Note
nota1
La prescrizione dell'art.
873 cod. civ. concerne i "fondi finitimi". Questo significa che la norma si riferisce a tutte le costruzioni che si fronteggiano, anche se non confinanti. Quand'anche fosse interposta tra i fondi una striscia di terreno altrui, le distanze minime tra gli edifici andrebbero ugualmente rispettate. V. Galletto,
Distanze fra costruzioni, in Dig. disc. priv., pp. 452 e ss.; Branca G.,
Distanze legali e reciprocità. Ragionevolezza, in Studi in onore di Scaduto, vol. I, Padova, 1970.
top1nota2
Per costruzione si intende ogni manufatto che sia stabilmente infisso nel suolo e che abbia perciò carattere di stabilità e permanenza. Cfr. Messineo,
Manuale di diritto civile e commerciale, vol. II, Milano, 1965, p. 360; De Martino,
Beni in generale. Proprietà (artt. 810-956), in Comm. cod. civ., a cura di Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1976, pp. 269 e ss..
top2nota3
Dibattuta è la questione se queste norme siano o meno derogabili. Per lo più (cfr. Bianca,
Diritto civile, vol. VI, Milano, 1999, p. 255) la derogabilità è contestata in vista dell'asserita sussistenza di un interesse pubblico all'osservanza di esse. Peraltro non sembra possa negarsi la possibilità che i privati vi facciano deroga in forza di convenzioni costitutive di servitù. Si pensi alla servitù (talvolta reciproca) consistente nel diritto di costruire e mantenere l'edificio a distanza minore di quella legale. Si vedano, tra gli altri, Albano,
La proprietà fondiaria. Le limitazioni legali della proprietà, in Tratt. dir. priv., diretto da Rescigno, Torino, 1982, p. 572; Paoloni, in Comm. cod. civ., diretto da Cendon, vol. III, Torino, 1997, p. 165. In giurisprudenza la qualificazione in chiave di servitù della convenzione derogatoria in parola è invero pacifica. Si è giunti addirittura a concludere nel senso della acquisibilità per usucapione della stessa (Cass. Civ., Sez. II,
4240/10).
top3nota4
In ogni caso l'azione di risarcimento del danno, al pari di quella di riduzione in pristino, va ricollegata ad un
'obbligazione propter rem: il proprietario attuale dell'edificio è legittimato passivo anche se l'edificio stesso è stato in precedenza realizzato da altri. Cfr. Paoloni, op. cit., p. 162 e Bianca, op. cit., p. 261.
top4Bibliografia
- ALBANO, La proprietà fondiaria. Le limitazioni legali della proprietà, Torino, Tratt. dir. priv. diretto da Rescigno, vol. 7, t. I, 1982
- BIANCA, Diritto Civile, Milano, VI, 1999
- BRANCA, Distanze legali e reciprocità. Ragionevolezza, Padova, Studi in onore di Scaduto, I, 1970
- DE MARTINO, Beni in generale, proprietà (Artt. 810-956), Bologna-Roma, Comm. cod. civ., a cura di Scialoja-Branca, 1976
- GALLETTO, Distanze fra costruzioni, Dig. disc. Priv, VI, 1992
- PAOLONI, Torino, Commentario al codice civile, di Cendon, III, 1997
Prassi collegate
- Quesito n. 478-2012/C, Deroga pattizia alle distanze tra costruzioni
- Consiglio di Stato: vincolo di inedificabilità anche per i parcheggi interrati