Mancanza del certificato di abitabilità e rifiuto del promissario acquirente di stipulare il contratto definitivo. (Cass. Civ., Sez. II, ord. n. 9226 del 20 maggio 2020)

Il rifiuto del promissario acquirente di stipulare la compravendita definitiva di un immobile privo dei certificati di abitabilità o di agibilità e di conformità alla concessione edilizia (anche ove il mancato rilascio dipenda da inerzia del Comune, nei cui confronti è obbligato ad attivarsi il promittente venditore) è da ritenersi giustificato perché l’acquirente ha interesse ad ottenere la proprietà di un immobile idoneo ad assolvere la funzione economico-sociale e a soddisfare i bisogni che inducono all’acquisto, e cioè la fruibilità e la commerciabilità del bene, per cui i predetti certificati devono ritenersi essenziali. Premesso questo, il promissario acquirente di un immobile può recedere dal preliminare anche quando è al corrente che il bene non ha l’agibilità. L’inadempimento del venditore, infatti, è di non scarsa importanza perché la sola conoscenza dell’anomalia non equivale a rinuncia al requisito della regolarità urbanistica del bene.
Il termine stabilito per la stipulazione del contratto definitivo non costituisce normalmente un termine essenziale, il cui mancato rispetto legittima la dichiarazione di scioglimento del contratto, precisandosi, tuttavia, che tale termine può ritenersi essenziale, ai sensi dell’art. 1457 c.c., solo quando, all’esito di indagine istituzionalmente riservata al giudice di merito, da condursi alla stregua delle espressioni adoperate dai contraenti e, soprattutto, della natura e dell’oggetto del contratto (e, quindi, insindacabile in sede di legittimità se logicamente ed adeguatamente motivata in relazione a siffatti criteri), risulti inequivocabilmente la volontà delle parti di considerare ormai perduta l’utilità economica del contratto con l’infruttuoso decorso del termine.

Commento

(di Daniele Minussi)
Il tema dell'assenza dell'assenza di certificazione di abitabilità è tormentato. Da un lato infatti va riferito come da tempo, ai sensi delle disposizioni di legge vigenti, il conseguimento dell'abitabilità è il frutto di un percorso "interpretativo" assai tortuoso, che si forma all'esito di produzioni documentali (certificazione di conformità degli impianti, dichiarazione di fine lavori, richiesta di licenza d'uso) e del susseguente decorso di termini che non siano seguiti da accessi tecnici con esito negativo. Non esiste più, in buona sostanza, un certificato che sia rilasciato da un'autorità competente (come avveniva un tempo una volta che l'ufficiale sanitario del Comune avesse accertato l'intervenuto "prosciugamento delle mura"). Ciò premesso, va osservato come l'insussistenza di un "certificato di abitabilità" non sia decisiva per concludere che l'immobile sia o meno abitabile, in quanto non mancano certo immobili perfettamente abitabili, tuttavia privi della relativa certificazione. La valutazione di tale aspetto dunque è frastagliata: un conto è parlare di un immobile in relazione al quale si sarebbe potuto conseguire un certificato che non è stato ottenuto; altra cosa di un fabbricato di recente costruzione in relazione al quale non sia stato seguito l'iter che porta al conseguimento "automatico" dell'abitabilità per carenze inemendabili della documentazione ovvero del manufatto.
Ciò premesso, quid juris nell'ipotesi di perfezionamento di contratto preliminare?
Se è stato deciso come la mancata consegna del certificato (che, come si è detto, neppure esiste più, nè viene comunemente rilasciato) non soltanto non determina l'automatica risoluzione del contratto preliminare, ma che la stessa non può essere pronunziata quando sia successivamente accertata la sussistenza in concreto di tutti i requisiti necessari ai fini dell'abitabilità e che le difformità edilizie erano state sanate con la presentazione della domanda di sanatoria sulla quale si era formato il silenzio assenso (Cass. Civ., Sez. II, sent. n. 29090/2017), però va anche segnalato come, indipendentemente dalla negligenza degli uffici comunali, la mancata produzione del certificato di abitabilità richiesto dal promissario acquirente legittimi quest'ultimo a rifiutarsi di stipulare il contratto definitivo di vendita (Cass. Civ., Sez. VI-II, 622/2019). La pronunzia in esame, che si inserisce in questo filone, giunge a stabilire come in siffatta situazione il promissario acquirente possa legittimamente recedere dal contratto, quand'anche avesse conosciuto tale condizione al tempo della conclusione del vincolo preliminare.

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