Beni culturali appartenenti allo stato o ad enti territoriali



Prima di esaminare la disciplina dei beni culturali appartenenti allo Stato ed agli enti pubblici territoriali è il caso di percorrere diacronicamente la normativa che si è succeduta in materia.
Gli artt. 23 e 24 della Legge 1089/39, (legge già abrogata dall'art. 166 del D.Lgs. 490/99 (a propria volta abrogato per effetto dell'entrata in vigore del Codice dei beni culturali di cui al D.Lgs. 42/04), e la cui abrogazione è stata inoltre disposta dall'art. 2 e dall'allegato 1 del D.L. 200/08) stabilivano che i beni di interesse artistico, storico e culturale appartenenti allo Stato o ad Enti pubblici territoriali fossero inalienabili, con facoltà peraltro del Ministro di autorizzarne l'alienazione purchè non ne derivasse "danno alla loro conservazione". Nella sostanza la norma stabiliva un regime analogo a quello dei beni del patrimonio indisponibile dello Stato o dei predetti enti pubblici.
Le regole concernenti i beni appartenenti allo Stato o agli enti locali potevano essere così riassunte: l'alienazione del bene abbisognava di preventiva autorizzazione ministeriale; trattandosi di alienazione a titolo oneroso avrebbe dovuto operare la prelazione a favore dello Stato, evidentemente nel solo caso che il bene appartenesse a soggetto diverso dallo Stato; la mancata osservanza dell'una o dell'altra norma avrebbe determinato la "nullità" dell'atto posto in essere in violazione della predetta disciplina.
Con gli artt. 822 e 824 cod.civ. i beni culturali appartenenti allo Stato, alle regioni ed agli altri enti pubblici territoriali sono stati dichiarati beni demaniali, per cui a partire dalla data di entrata in vigore del codice se ne è affermata l'indisponibilità assoluta e, per questa parte, la parziale modifica della Legge 1089/39 (cfr. Cass. Civ. Sez. I, 6522/03). Avvalorava questa conclusione il fatto che la giurisprudenza avesse da allora sostenuto che i beni in discorso, appartenenti al demanio pubblico, non potessero essere alienati, usucapiti, nè su di loro potesse instaurarsi alcun diritto reale parziario, al più potendosi configurarsi un utilizzo del privato in forza del rilascio di un provvedimento concessorio da parte della pubblica Amministrazione. La giurisprudenza ebbe anche a chiarire che il demanio pubblico che si instaura su un bene culturale acquisito dallo Stato determina per l'Amministrazione l'impossibilità giuridica di attribuire diritti in base a contratti di diritto privato, con la conseguenza della trasformazione in concessioni dei diritti privatistici già esistenti sul bene.
Occorre segnalare, per motivi di completezza, l'intervento in materia della c.d. "Legge Bassanini-bis" (Legge 15 maggio 1997, n. 127), la quale all'art. 12, III comma, ebbe a disporre che "alle alienazioni di beni immobili di interesse storico e artistico dello Stato, dei Comuni e delle Province si applicano le disposizioni di cui agli artt. 24 e ss. della Legge 1089/39". Pareva pertanto che detta legge avesse ripristinato la precedente normativa della Legge 1089/39, le cui norme erano state ritenute implicitamente abrogate dal codice civile che aveva qualificato come demanio artistico le cose d'arte sia per lo Stato che per i Comuni. La Legge 127/97 avrebbe avuto dunque efficacia abrogativa delle disposizioni del codice civile, venendo a stabilire che i beni culturali in discorso, ancorchè appartenenti allo Stato o agli enti locali, potevano essere alienati previa autorizzazione ministeriale intesa ad accertare che l'atto non importasse danno per la conservazione o per il godimento dei beni stessi.
Sembrava ragionevole ritenere che tali beni non potessero essere più considerati come appartenenti al demanio, bensì al patrimonio indisponibile. In ogni caso, comunque si qualificasse il bene culturale (vale a dire appartenente al demanio o al patrimonio indisponibile), avrebbero trovato applicazione tutte le norme previste dalla Legge 1089/39.
Con l'emanazione del D. Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490 questa interpretazione non poteva più essere sostenuta. L'art. 54 del T.U. ribadiva infatti che i beni culturali indicati nell'art. 822 cod. civ. appartenenti allo Stato, alle regioni, alle province, ai comuni costituiscono il demanio storico, artistico, archivistico e bibliografico e sono assoggettati al regime proprio del demanio pubblico. Essi dovevano pertanto ritenersi incommerciabili a meno che fossero stati oggetto di preventivo procedimento di sdemanializzazione. Secondo un'opinione tale sdemanializzazione avrebbe dovuto promanare soltanto dallo Stato, unico Ente che avrebbe potuto sancire la perdita della qualifica di bene culturale. Una volta che il bene più non avesse fatto parte del demanio, l'alienazione sarebbe stata consentita previa autorizzazione del Ministero da emanarsi ai sensi dell'art. 55 T.U. del 1999 nota1.
Premesso questo quadro ricostruttivo, è il caso di esaminare la nuova disciplina portata dal Codice dei beni culturali. L'art.53 del Codice prevede che i beni culturali appartenenti allo Stato, alle regioni e agli altri enti pubblici territoriali che rientrino nelle tipologie indicate all'art. 822 cod. civ. costituiscono il demanio culturale. Detti beni non possono essere alienati, né formare oggetto di diritti a favore di terzi, se non nei limiti e con le modalità previsti dal codice stesso. E' stato in tal modo ricondotto ad unità il sistema: ferma restando la qualifica dei beni in discorso come demaniali, sono state poste regole ai fini di valutare la cedibilità degli stessi. I beni demaniali culturali possono attualmente essere distinti tra beni inalienabili e beni alienabili previa autorizzazione. Sono beni inalienabili ai sensi dell'art.54 del Codice (come modificato dall'art.2 D.Lgs. 62/08) i beni del demanio culturale di seguito indicati:
a) gli immobili e le aree di interesse archeologico;
b) gli immobili dichiarati monumenti nazionali a termini della normativa all'epoca vigente;
c) le raccolte di musei, pinacoteche, gallerie e biblioteche;
d) gli archivi.
Ancora sono inalienabili:
a) le cose immobili e mobili appartenenti ai soggetti indicati al I comma dell'art. 10 del Codice che siano opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre cinquanta anni (settanta anni se immobili), fino alla conclusione del procedimento di verifica previsto dall'art. 12 del Codice. Se il procedimento si conclude con esito negativo, le cose medesime sono liberamente alienabili, ai sensi del IV, V e VI comma del predetto art. 12 (come modificato dall'art.2 , D.Lgs. 62/08) ;
c) i singoli documenti appartenenti ai soggetti di cui all'art. 53 del Codice , nonché gli archivi e i singoli documenti di enti ed istituti pubblici diversi da quelli indicati al medesimo art. 53.
Nonostante l'inalienabilità i beni e le cose di cui all'elencazione che precede possono comunque essere oggetto di trasferimento tra lo Stato, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali.
Anche la fruizione dei predetti beni e cose è disciplinata: ai sensi del IV comma dell'art.54 del Codice essi possono essere utilizzati esclusivamente secondo le modalità e per i fini previsti dal codice stesso.
Ai sensi del I comma dell'art. 55 del Codice invece i beni culturali immobili appartenenti al demanio culturale e non rientranti tra quelli elencati nell'art. 54 , I comma del Codice , possono essere alienati previa l'autorizzazione del Ministero.

Il II comma dell'art. 55 del Codice prescrive che la relativa richiesta debba essere corredata:
a) dalla indicazione della destinazione d'uso in atto;
b) dal programma delle misure necessarie ad assicurare la conservazione del bene;
c) dall'indicazione degli obiettivi di valorizzazione che si intendono perseguire con l'alienazione del bene e delle modalità e dei tempi previsti per il loro conseguimento;
d) dall'indicazione della destinazione d'uso prevista, anche in funzione degli obiettivi di valorizzazione da conseguire;
e) dalle modalità di fruizione pubblica del bene, anche in rapporto con la situazione conseguente alle precedenti destinazioni d'uso.
La detta autorizzazione, secondo il III comma dell'art. 55 del Codice (come modificato dall'art.2 , D.Lgs.62/08) viene rilasciata su parere del soprintendente sentita la regione e, per suo tramite, gli altri enti pubblici territoriali interessati.
Il provvedimento, in particolare:

a) detta prescrizioni e condizioni in ordine alle misure di conservazione programmate;
b) stabilisce le condizioni di fruizione pubblica del bene, tenuto conto della situazione conseguente alle precedenti destinazioni d'uso;
c) si pronuncia sulla congruità delle modalità e dei tempi previsti per il conseguimento degli obiettivi di valorizzazione indicati nella richiesta.
Notevole è il nuovo III comma quinquies dell'art. 55 del Codice in considerazione: l'autorizzazione ad alienare comporta infatti la sdemanializzazione del bene cui essa si riferisce. Tale bene resta comunque sottoposto a tutte le disposizioni di tutela di cui al titolo I del Codice.
L'art. 56 del Codice prevede infine che anche l'alienazione dei beni culturali appartenenti allo Stato, alle regioni e agli altri enti pubblici territoriali e diversi da quelli di cui agli artt.54, I e II comma nonchè dell'art. 55, I comma , del Codice sia soggetta ad autorizzazione ministeriale.
I commi successivi prevedono ulteriori misure di salvaguardia.
Giova da ultimo osservare che, pur in esito all'ottenimento dell'autorizzazione, occorrerà pur sempre attivare la speciale procedura intesa ad esercitare il diritto di prelazione del Ministero dei beni culturali, secondo le regole che esamineremo partitamente.

Note

nota1

E' vero che detta norma stabiliva espressamente come autorizzabile l'alienazione dei beni culturali appartenenti allo Stato, alle regioni, alle province, ai comuni che non facessero parte del demanio storico e artistico; ma si poteva ritenere che ciò non fosse preclusivo di una autorizzazione che si ponesse come successiva rispetto al procedimento che avesse sancito espressamente (dunque con l'esclusione di una sdemanializzazione tacita) la perdita del carattere demaniale del bene. Una volta che il bene non fosse più appartenuto al demanio il Ministero avrebbe potuto autorizzarne l'alienazione qualora esso non avesse rivestito interesse per le raccolte pubbliche e sempre che dalla alienazione stessa non fosse derivato danno alla loro conservazione e non ne fosse menomato il pubblico godimento (art. 55 , II comma T.U.). In ogni caso gli archivi degli enti pubblici ed i singoli documenti dello Stato, delle regioni, degli enti territoriali e degli altri enti pubblici dovevano essere considerati inalienabili (art. 55 , IV comma T.U.). Il problema di maggior spessore era tuttavia costituito dalla ricognizione della natura culturale del bene appartenente all'ente pubblico. Se si pensa al fatto che, ex I comma, art. 2, lettera a) del T.U. 490/99 erano beni di per sé culturali "le cose immobili e mobili che presentavano interesse artistico, storico..." etc. indipendentemente da un provvedimento di "notifica", si poneva la questione di conoscenza in concreto della peculiare natura del bene. Come era possibile stabilire se un palazzo, una villa appartenente ad un ente pubblico è bene culturale? Oggi la questione ha perso di pratica rilevanza, dal momento che, in ogni caso, anche prima del procedimento di verifica, i detti beni sono comunque assoggettati cautelativamente alla disciplina più rigoristica ai sensi dell'art.12 del Codice.
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