Nullità della divisione che comprende anche la quota appartenente ad un soggetto ancora in vita. (Cass. Civ., Sez. II, ord. n. 32855 dell'8 novembre 2022)

L'art. 458 cod. civ., nel disciplinare il divieto dei patti successori, dispone testualmente che "è del pari nullo ogni atto col quale taluno dispone dei diritti che possono spettare su una successione non ancora aperta, o rinunzia ai medesimi" (cd. patto successorio dispositivo). Il divieto si spiega col fatto che, vincolando il de cuius, i patti successori gli toglierebbero quella libertà di disporre che la legge riconosce ad ogni persona fino al momento della morte (secondo un antico brocardo, "ambulatoria est voluntas testanti usque ad vitae supremum exitum").
È per questo che l'ordinamento riconosce ad ognuno la libertà di disporre delle proprie sostanze mediante quel negozio unilaterale, non recettizio, che è il "testamento" (art. 587 cod.civ.); e garantisce la revocabilità e modificabilità del testamento in ogni tempo, stabilendo espressamente che "Non si può in alcun modo rinunziare alla facoltà revocare o mutare le disposizioni testamentarie", aggiungendo che "ogni clausola o condizione contraria non ha effetto" (art. 679 cod.civ.).
Ai sensi del I comma dell'art. 458 cod.civ., seconda parte, sono patti successori le convenzioni che abbiano per oggetto la costituzione, trasmissione o estinzione di diritti relativi ad una successione non ancora aperta e facciano, così, sorgere un vincolo iuris, di cui la disposizione ereditaria rappresenti l'adempimento. Per stabilire, quindi, se una determinata pattuizione ricada sotto la comminatoria di nullità di cui all'art. 458 cod.civ., occorre accertare: 1) se il vincolo giuridico con essa creato abbia avuto la specifica finalità di costituire, modificare, trasmettere o estinguere diritti relativi ad una successione non ancora aperta; 2) se la cosa o i diritti formanti oggetto della convenzione siano stati considerati dai contraenti come entità comprese nella futura successione; 3) se i disponenti abbiano contrattato o stipulato come aventi diritto alla successione stessa; 4) se l'assetto negoziale convenuto debba aver luogo "mortis causa".

Commento

(di Daniele Minussi)
Nel caso di specie la S.C. ha dichiarato la nullità della divisione intercorsa tra fratelli in relazione a beni ereditati dal padre, ma ricomprendente anche la quota della madre, tuttavia ancora in vita. Non v'è chi non veda come una siffatta pattuizione non possa non contrastare con il divieto dei patti successori di cui all'art. 458 cod.civ., con specifico riferimento ai patti dispositivi. L'alternativa sarebbe stata quella di configurare l'atto come divisione di beni parzialmente altrui. Giova rammentare come la giurisprudenza abbia elaborato una serie di indici in base ai quali operare la valutazione circa la violazione del divieto in parola, allo scopo di discernere tra pattuizioni valide e invalide. In particolare è necessario acclarare i seguenti aspetti: 1) se il vincolo giuridico creato con la negoziazione abbia avuto la specifica finalità di costituire, modificare, trasmettere o estinguere diritti relativi ad una successione non ancora aperta; 2) se la cosa o i diritti formanti oggetto della convenzione siano stati considerati dai contraenti come entità della futura successione o debbono comunque essere compresi nella stessa; 3) se il promittente abbia inteso provvedere in tutto o in parte della propria successione, privandosi, così dello "jus poenitendi" ; 4) se l'acquirente abbia contrattato o stipulato come avente diritto alla successione stessa; 5) se il trasferimento del diritto dal promittente al promissario debba aver luogo mortis causa, ossia a titolo di eredità o di legato (così Cass. Civ. Sez. II, 1683/95).

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