Comunione tacita familiare. Indispensabilità dello scritto e correlativa esclusione della prova testimoniale. (Cass. Civ., Sez. VI-II, ord. n. 33844 del 12 novembre 2021)

Nella disciplina anteriore alla riforma del diritto di famiglia di cui alla l. n. 151 del 1975, il coniuge che affermi il diritto di comproprietà su un bene immobile intestato all'altro coniuge, in forza di un regime di comunione tacita familiare - idoneo ad estendersi "ipso iure" agli acquisti fatti da ciascun partecipante, senza bisogno di mandato degli altri, né di successivo negozio di trasferimento - ha l'onere di fornire la relativa prova, tenendo conto che la suddetta comunione non può essere desunta da una mera situazione di collaborazione familiare, postulando atti o comportamenti che evidenzino inequivocabilmente la volontà di mettere a disposizione del consorzio familiare determinati beni e di porre in comune lucri, perdite ed incrementi patrimoniali, e che non può avvalersi della prova testimoniale, stante la necessità dell'atto scritto ai sensi dell'art. 1350 cod.civ.

Commento

(di Daniele Minussi)
Va rammentato come il previgente art. 2140 cod.civ. (abrogato con la legge di riforma del diritto di famiglia del 1975), prevedesse la figura della comunione tacita familiare. Essa consisteva in una struttura associativa caratterizzata dalla comunanza di tetto e di mensa, dal vincolo di parentela o di affinità tra i partecipanti, dallo svolgimento di un'attività lavorativa comune diretta alla formazione di un unico peculio. Ciò premesso, è stato deciso (Cass. Civ. Sez. II, 7872/2021) come incomba sul coniuge che rivendica la pari appartenenza di un bene, nonostante la formale intestazione di esso all'altro coniuge, l'onere di dar conto della sussistenza di tutti i requisiti propri della figura. Con il provvedimento in esame la S.C. precisa ulteriormente come, venendo in considerazione diritti reali immobiliari, detta prova non possa essere raggiunta per testimoni, dovendo risultare indispensabilmente dallo scritto.

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