La ricognizione della natura culturale di un bene



Notevole questione è quella che riguarda le modalità di accertamento della natura culturale di un bene, ciò che è funzionale all'applicazione della relativa normativa di tutela.

In via di sintesi, salvi gli approfondimenti e le precisazioni di cui al proseguo, si può dire che il sistema s'imperni ancora in base alla distinzione tra beni appartenenti ad enti pubblici ed a persone giuridiche private non aventi scopo di lucro e beni appartenenti a persone fisiche ed a persone giuridiche aventi scopo di lucro.

Come per il passato, l'appartenenza soggettiva all'ente pubblico è di per sè sufficiente, in considerazione della tipologia del bene (cfr. l'art.10 del D.Lgs. 42/04 come modificato dall'art. 2 D.Lgs. 62/08) , a determinarne la ricomprensione nell'ambito dei beni culturali.

Il nodo è costituito dall'efficacia della verifica della sussistenza dell'interesse artistico, storico, archeologico od etnoantropologico di cui al II comma dell'art.12 del Codice nota1. Ai sensi di quest'ultima disposizione l e cose immobili e mobili indicate al I comma dell'art.10 del Codice che siano opera d'autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre cinquanta anni (settanta anni per gli immobili), sono sottoposte alle disposizioni del Titolo I del Codice fino a quando non sia stata effettuata la verifica predetta. Ne discende che nelle more della verifica il bene è comunque assoggettato alla disciplina propria dei beni culturali, quale vera e propria misura di salvaguardia. In altri termini, la verifica non si pone come costitutiva della natura culturale del bene, bensì semplicemente come ricognitiva della stessa, appalesandosi comunque come necessaria. Le relative operazioni vengono condotte dai competenti organi del Ministero, d'ufficio o su richiesta formulata dai soggetti cui le cose appartengono e corredata dai relativi dati conoscitivi. Detti organi (cfr. l'art.8 del D.P.R. 8 giugno 2004, n.173, ai sensi del quale la relativa competenza spetta al Direttore generale, nell'ambito dell'articolazione disposta dal predetto provvedimento normativo) verificano (secondo le disposizioni di cui al D.M. 6 febbraio 2004 ) la sussistenza dell'interesse artistico, storico, archeologico od etnoantropologico nelle cose in parola, sulla base d'indirizzi di carattere generale stabiliti dal Ministero medesimo al fine di assicurare uniformità di valutazione. Per i beni immobili dello Stato, la richiesta di cui sopra è corredata da elenchi dei beni e dalle relative schede descrittive. Soltanto nell'ipotesi in cui nelle cose sottoposte a verifica non sia stato riscontrato l'interesse culturale, le stesse sono escluse dall'applicazione delle disposizioni del Titolo I del Codice. Quando, come detto, la verifica si sia conclusa con esito negativo su cose appartenenti al demanio dello Stato, delle regioni e degli altri enti pubblici territoriali, la scheda contenente i relativi dati è trasmessa ai competenti uffici affinché ne dispongano la sdemanializzazione qualora, secondo le valutazioni dell'amministrazione interessata, non vi ostino altre ragioni di pubblico interesse. Ai sensi del VI comma della norma in commento , le cose per le quali si sia proceduto alla sdemanializzazione sono liberamente alienabili, ai fini del Codice nota2.

Il VII comma dell'art.12 del Codice precisa ulteriormente che l'accertamento dell'interesse artistico, storico, archeologico od etnoantropologico, effettuato in conformità agli indirizzi generali di cui al II comma della norma, costituisce dichiarazione ai sensi dell'art. 13 del Codice (vale a dire dichiarazione dell'interesse culturale) ed il relativo provvedimento è trascritto nei modi previsti dall'art. 15, II comma , del Codice, rimanendo i detti beni definitivamente sottoposti alle disposizioni del Titolo I del Codice stesso.

Tutte le disposizioni dell'art.12 del Codice si applicano alle cose di cui al I comma (vale a dire a quelle di cui al I comma dell'art.10 del Codice che siano opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre cinquanta o settanta anni a seconda rispettivamente se si tratti di mobili o immobili) anche nell'ipotesi in cui i soggetti cui esse appartengono mutino in qualunque modo la loro natura giuridica (si pensi alla perdita della natura pubblica di un ente).

Per gli altri soggetti (persone fisiche e persone giuridiche private aventi scopo di lucro) il discorso è diverso: ai sensi dell'art. 13 del Codice (come già ai sensi dell'abrogato art. 6 del t.u. 490/99) occorre infatti la dichiarazione dell'interesse particolarmente importante effettuata dal Ministero e notificata ai sensi del I comma dell'art. 15 del Codice (già art. 8 del t.u. 490/99). Essa è attributiva della qualifica "culturale" del bene, di guisa che, in difetto, il bene è sicuramente alienabile senza che si imponga il rispetto della speciale procedura nota3.

Note

nota1

Nel sistema previgente, l'art. 5 del t.u. 490/99, a questo proposito, prevedeva al I comma che le regioni, le province, i comuni, gli altri enti pubblici e le persone giuridiche private senza fine di lucro presentassero al Ministero l'elenco descrittivo delle cose indicate all'art. 2 , I comma, lettera a) (cioè i beni culturali per natura) di loro spettanza.Tali enti avevano l'obbligo di denunciare le cose non comprese nella prima elencazione nonché quelle che in seguito fossero venute ad aggiungersi per qualsiasi titolo al loro patrimonio, inserendole nell'elenco.Peraltro l'efficacia di questa comprensione del bene nell'elenco era alquanto relativa: ai sensi del V comma dell'art. 5 in esame "i beni elencati nell' art. 2 , I comma, lettera a) che appartengono ai soggetti indicati al I comma sono comunque sottoposti alle disposizioni anche se non risultano compresi negli elenchi e nelle denunce previste dal I e dal II comma". In definitiva il fatto che il bene fosse compreso nell'elenco costituiva uno strumento per conoscerne con sicurezza la natura di bene culturale, mentre l'eventuale assenza nell'elenco non legittimava automaticamente l'opinione contraria. Poteva essere infatti che, stante la natura meramente ricognitiva dell'elencazione, il bene in questione fosse comunque connotato dalla natura culturale, che ad esso deriva intrinsecamente dalla natura che possiede. Più che altro la ricomprensione (ovvero, in negativo) la mancata comprensione nell'elenco di un bene intrinsecamente culturale non poteva non generare una responsabilità nei soggetti competenti alla compilazione dell'apposita elencazione. Tale responsabilità avrebbe potuto palesarsi soprattutto in relazione all'eventuale alienazione del bene non preceduta dall'autorizzazione (ovvero, nei casi più gravi, dall'antecedente perdita espressa della demanialità). Giova a questo proposito rammentare che l'Avvocatura dello Stato per prassi soleva rimanere inerte (non procedendo pertanto a far valere la nullità dell'atto di disposizione) ogniqualvolta il bene non fosse stato inventariato, non si fossero rinvenuti atti della amministrazione che avessero in precedenza definito il bene come culturale e si potesse ritenere che la speciale natura di esso non fosse avvertibile da soggetti privi di particolari competenze. Attualmente le cose sono mutate essendosi rimosso ogni dubbio circa la disciplina interinale del bene non ancora "verificato".
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nota2

Da ciò si comprende come l'angolo visuale del Codice sia anche quello di coordinarsi con la normativa codicistica per quanto attiene alla possibilità di alienare i beni appartenenti al demanio.
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nota3

Se si pensa al fatto che, ex I comma art. 2 lettera a) del T.U. 490/99 erano beni di per sè culturali "le cose immobili e mobili che presentano interesse artistico, storico", etc. indipendentemente da un provvedimento di "notifica", si comprende come per il passato si poneva in concreto una questione di conoscenza pratica della peculiare natura del bene.
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Prassi collegate

  • Focus 2/2015, La circolazione dei beni culturali
  • Quesito n. 615-2011/C, Ristrutturazione edilizia e presunzione di culturalità del bene
  • Risoluzione N. 47/E, Compravendita di bene immobile soggetto a vincolo culturale
  • Imposta di registro: nella compravendita di immobili culturali l’aliquota del 3 per cento è sempre subordinata alla trascrizione del vincolo
  • Quesito n. 69-2007/C, Interpretazione dell'ultimo comma dell'art. 12 del codice dei beni culturali: il valore del silenzio

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