Le Sezioni Unite si occupano dei c.d. "usi esclusivi" in condominio. Fine di una prassi consolidata? (Cass. Civ., Sez. Unite, sent. n. 28972 del 17 dicembre 2020)

La pattuizione avente ad oggetto la creazione di c.d. "diritto reale di uso esclusivo" su una porzione di cortile condominiale, costituente, come tale, parte comune dell'edificio, mirando alla creazione di una figura atipica di diritto reale limitato, tale da incidere, privandolo di concreto contenuto, sul nucleo essenziale del diritto dei condomini di uso paritario della cosa comune, sancito dall'art. 1102 cod.civ., è preclusa dal principio, insito nel sistema codicistico, del numerus clausus dei diritto e della tipicità di essi.

Commento

(di Daniele Minussi)
Finalmente un intervento chiaro della S.C. sul dibattuto tema della ammissibilità (prima ancora che della natura giuridica) dei "diritti di uso esclusivo" relativi a specifiche parti di enti comuni di edifici in condominio. Una premessa è d'obbligo: l'esigenza sottesa alla "invenzione" di tali diritti affonda le proprie radici, invero risalenti nel tempo, nella prassi negoziale. In sede di costituzione di condominio infatti, allo scopo precipuo di risparmiare frazionamenti ed elaborazione di schede catastali, è invalsa da tempo la pratica di attribuire ai singoli condomini porzioni di enti comuni che, per la loro conformazione e prossimità rispetto alle singole unità, vengono a porsi quali pertinenze delle stesse. Si pensi all'area antistante l'appartamento a piano terra che affaccia sul terreno di proprietà condominiale. Una via economica di attribuzione di tali porzioni in fruizione esclusiva al condomino che ne fosse titolare è parsa quella di identificare l'area in questione mediante una semplice planimetria da allegare all'atto di vendita. Il tutto accompagnato dalla clausola in forza della quale, pur dandosi atto della natura condominiale della stessa, veniva specificato che essa veniva assegnata "in uso esclusivo perpetuo e trasmissibile" al titolare dell'appartamento di cui veniva a costituire pertinenza. inutile dire come questo contorcimento concettuale sarebbe stato risparmiato stralciando con apposita scheda catastale la porzione in parola, da attribuirsi in piena proprietà all'acquirente unitamente all'unità immobiliare. Ciò premesso, la natura giuridica del diritto così trasferito è sempre stata vivamente dibattuta. Servitù? Diritto reale d'uso? Pattuizione esaurentesi nell'ambito meramente obbligatorio? Le SSUU finalmente intervengono sul tema, facendo giustizia di una "strisciante" qualificazione in chiave di diritto reale. Una volta esclusa la possibilità di riconduzione della figura al diritto d’uso di cui all’art. 1021 cod.civ., se ne è parimenti eliminata la possibilità della ricomprensione della stessa al novero delle servitù prediali, non potendo essa, pur imponendo un peso sul fondo servente, spingersi fino all'esclusione della facoltà di godimento del fondo servente stesso, impedendo cioè agli altri comproprietari di godere della cosa comune. Cosa riferire poi della configurazione della pattuizione come derogatoria rispetto al disposto dell’art. 1102 cod.civ.? Sarebbe praticabile una automatica trasferibilità ai successivi aventi causa dell’unità immobiliare a cui l’uso stesso accede? La risposta è negativa. Da un lato non risulta possibile la costituzione di un uso reale atipico, esclusivo e perpetuo, dal momento che, per tale via, sarebbe del tutto svuotata la portata pratica del diritto dominicale. Dall'altro si darebbe in questo modo vita ad un diritto reale "nuovo", in palese violazione del tradizionale principio del “numerus clausus” che (pur non espressamente codificato) rinviene le proprie radici nell'esigenza di ordine pubblico di impedire che i privati incidano sul regime di circolazione dei diritti reali, creando vincoli opponibili al di fuori dei casi previsti dalla legge. In definitiva la portata delle pattuizioni in esame parrebbe esaurire la propria portata nell'ambito dei rapporti obbligatori.

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