Clausola risolutiva espressa e preliminare di vendita di cosa altrui. (Cass. Civ., Sez. II, sent. n. 787 del 16 gennaio 2020)

Il promittente venditore, che non sia ancora titolare del bene, non può avvalersi della clausola risolutiva espressa eventualmente pattuita per il caso di inutile decorso del termine, perché manca l’essenziale condizione dell’inadempimento del promissario. Invero, i promissari acquirenti ignari dell’altruità del bene, non sono inadempienti se, nonostante la maturazione del termine previsto per la stipula del contratto, il promittente venditore non è ancora proprietario.

Commento

(di Daniele Minussi)
Inutile che chi si è obbligato a vendere un immobile appartenente ad altri si dolga dell'infruttuoso decorso del termine previsto per la stipula del contratto definitivo quando non abbia nel frattempo acquisito dal terzo la proprietà del bene. Questa è la conclusione della S.C. che ha respinto le doglianze di chi pretendeva l'attivazione a proprio favore della clausola risolutiva espressa apposta al contratto preliminare, a sanzione della condotta inerte della parte promissaria acquirente. In primo grado, dopo essere stato accertato che il promittente alienante era divenuto proprietario del bene solo dopo l’iscrizione della causa a ruolo, la domanda di risoluzione proposta dal promittente era stata respinta. Decisione capovolta in grado d'appello. Ancora ribaltando l'esito della controversia, la S.C. ha osservato come fosse determinante considerare il momento di effettiva acquisizione della proprietà del bene da parte del promittente venditore. Se da un lato il promissario acquirente di un bene che non sia a conoscenza della altruità dello steso non può chiedere la risoluzione del contratto prima della scadenza del termine, va simmetricamente statuito nel senso che neppure il promittente possa fondatamente proporre analoga domanda quando non sia ancora titolare del bene, quand'anche il termine sia scaduto.

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