Vendita di cosa altrui venduta come propria



L'art. 1479 cod.civ. contempla il caso in cui il venditore faccia alienazione di una cosa senza manifestarne l'altruità all'acquirente, il quale pertanto ignori questa situazione giuridica di difetto di titolarità. In tale ipotesi la condotta negoziale del venditore, che non può certo reputarsi ispirata a principi di correttezza e lealtà, legittima una reazione del compratore soltanto quando il venditore non sia riuscito in qualche modo (lecito, si intende: cfr. Cass. Civ. Sez. II, 6626/88 ) a farlo divenire proprietario. La legge ha optato per una soluzione "economica" dal punto di vista giuridico, concedendo azione al compratore soltanto quando il risultato avuto di mira non sia stato conseguito.

Ipotizzando che l'alienante non sia riuscito nell'intento di far divenire proprietario l'acquirente, il I comma della norma citata prevede che quest'ultimo possa domandare la risoluzione del contratto (per inadempimento). A differenza della vendita di cosa altrui venduta come tale (art.1478 cod.civ.), nella quale corrisponde all'intento delle parti perfezionare un vincolo i cui effetti reali saranno differiti al tempo in cui verrà acquisita la proprietà della cosa da colui che ne è il proprietario, nella fattispecie il venditore che abbia sottaciuto all'altra parte l'altruità della cosa venduta non può non essere considerato inadempiente nota1. Ne segue che nella vendita di cui all'art.1479 cod.civ. la risoluzione potrà essere domandata dall'acquirente immediatamente (tranne che il venditore non sia comunque riuscito a procurare la proprietà della cosa al compratore) nota2, mentre in quella prefigurata dall'art.1478 cod.civ., quando dovesse manifestarsi l'impossibilità di acquisire il bene dal terzo proprietario, il vincolo contrattuale potrà appalesarsi addirittura inutile.

L'acquirente che abbia domandato la risoluzione del contratto ai sensi dell'art. 1479 cod.civ. può altresì chiedere anche il risarcimento del danno secondo le regole generali evocate esplicitamente dalla norma citata (con speciale riferimento all'art. 1223 nota3). Ciò ad eccezione del caso (invero raro) in cui la condotta del venditore non possa essere considerata colposa. Ai sensi del II comma dell'art.1479 cod.civ., all'esito della risoluzione il venditore deve restituire all'acquirente il prezzo pagato anche se la cosa è diminuita di valore o è deteriorata; deve inoltre rimborsargli le spese e i pagamenti legittimamente fatti per il contratto. Se la diminuzione di valore o il deterioramento deriva da un fatto del compratore, a detto ammontare deve essere detratto l'utile che il compratore ne ha ricavato. Infine il III comma della norma in commento obbliga il venditore ad effettuare il rimborso in favore del compratore delle spese necessarie ed utili fatte per la cosa e, se era in mala fede, anche quelle voluttuarie nota4 .

Cosa dire dell'eventualità in cui l'acquirente dovesse essere considerato in mala fede, vale a dire fosse consapevole della alienità della cosa al tempo del perfezionamento del contratto, nonostante il contegno omissivo tenuto dal venditore? Secondo l'opinione preferibile nota5 il compratore non rimarrebbe comunque privo di tutela, ben potendo trovare applicazione l'art.1479 cod.civ. qui in esame. A differenza di quanto detto, in tale ipotesi il compratore non potrebbe tuttavia domandare subito la risoluzione del contratto, sospendendo i pagamenti concordati. A tal fine occorrerebbe quantomeno la fissazione di un termine entro il quale il venditore dovrebbe provvedere ad acquistare la cosa dal terzo proprietario (Cass.Civ. Sez. II, 9112/87 ; Cass.Civ. Sez. II, 960/86 ).

Note

nota1

Così Rubino, La compravendita, in Tratt. dir.civ. e comm., diretto da Cicu-Messineo, vol.XXIII, Milano, 1971, p.89 e Greco-Cottino, Della vendita, in Comm.cod.civ., a cura di Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1981, p.132, per i quali l'inadempimento deriva dalla impossibilità di operare di una attribuzione patrimoniale ad effetto reale immediato a favore del compratore.
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nota2

Il compratore, cioè, quando sia in buona fede, ha diritto alla risoluzione sic et simpliciter, per il puro e semplice fatto che la cosa non apparteneva al venditore: cfr. Rubino, op.cit., p.360.
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nota3

Il richiamo alla norma può essere interpretato anche nel senso della possibilità per il compratore di restringere la propria pretesa al solo risarcimento dei danni: cfr. Cass.Civ. Sez. II, 1600/93 . Si ritiene che l'inesecuzione della vendita porti al risarcimento tanto del mero interesse negativo, quanto dell'interesse positivo, solo nel caso in cui si constati la colpa del venditore: cfr. Mirabelli, Dei singoli contratti, in Comm.cod.civ., libro IV, Torino, 1991, p.58 e Rubino, op.cit., p.369.
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nota4

Sono considerate (Matteo, in Comm.cod.civ., diretto da Cendon, vol.IV, Torino, 1999, p.903) spese necessarie quelle che in generale devono essere erogate per evitare la perdita o il deterioramento della cosa; spese utili quelle volte ad apportare miglioramenti al bene; voluttuarie infine quelle che non sono volte a migliorare il bene, ma semplicemente a modificarlo secondo i gusti dell'acquirente.
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nota5

Matteo, op.cit., p.903. Contra Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale, vol.III, Milano, 1950, p.59, il quale ritiene che, in questo caso, la vendita debba essere considerata a rischio e pericolo del compratore.
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Bibliografia

  • GRECO, COTTINO, Della vendita (Artt.1470-1547), Bologna-Roma, Comm. cod.civ. a cura di Scialoja-Branca, 1981
  • MATTEO, Torino, Comm.cod.civ. dir. da Cendon, 1999
  • MIRABELLI, Dei singoli contratti, Torino, Comm. cod. civ., vol. IV, 1968
  • RUBINO, La compravendita , Milano, Tratt.dir.civ. e comm. già dir. da Cicu-Messineo, e continuato da Mengoni vol.XVI, 1971

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