III - Rinuncia alla relazione degli esperti sulla congruità del rapporto di cambio in caso di fusione e scissione


Massima

6 febbraio 2001

Non è necessaria la relazione dell'esperto sulla congruità del rapporto di cambio, ai sensi dell'art. 2501-quinquies cod. civ., allorché tutti i soci delle società partecipanti alla fusione o alla scissione vi abbiano rinunciato, e di ciò si faccia constare nei relativi verbali assembleari, ferma restando l'eventuale applicabilità dell'art. 2343 cod. civ..

Motivazione

La massima recepisce un recente decreto della Corte d'Appello di Milano (Corte Appello Milano, decr. 12 gennaio 2001, in Vita not., 2001, p. 896), specificandone alcuni profili sistematici ed applicativi, estesi anche all'istituto della scissione.

La competenza a stabilire il rapporto di cambio, in caso di fusione e scissione, spetta all'organo amministrativo, che provvede a darne illustrazione e giustificazione ai soci a mezzo della propria relazione.

L'intervento dell'esperto che redige la relazione peritale prevista dall'art. 2501-quinquies cod. civ. (richiamato in tema di scissione dall'art. 2504novies cod. civ.) consiste quindi nel fornire ai soci un parere sulla congruità delle valutazioni e determinazioni dell'organo amministrativo.

I soci, così come possono approvare l'operazione straordinaria nel caso l'esperto rilasci giudizio sfavorevole, possono validamente rinunciare alla redazione stessa della relazione peritale, in quanto unici titolari - come affermato in giurisprudenza - del "potere di valutazione dell'idoneità dei mezzi prescelti a presidio degli interessi di cui sono portatori", in coerenza con l'indirizzo che considera derogabili, sempre per volontà esclusiva della compagine sociale, i termini di cui agli artt. 2501-bis e 2501-sexies cod. civ..

L'ordinamento infatti tutela diversamente l'interesse dei terzi, consentendo ai creditori sociali di interporre opposizione all'operazione in corso (art. 2503 c.c.) e disponendo addirittura - in tema di scissione - la responsabilità solidale di ciascuna delle società coinvolte nel procedimento, secondo quanto previsto dall'art. 2504-decies, comma 2 cod. civ..

Né sembra possibile pervenire a diversa conclusione avuto riguardo a paventati pregiudizi di altre categorie di terzi - i creditori particolari del socio e l'erario - dipendenti da eventuali inadeguatezze del rapporto di cambio formato dagli amministratori.

A questo proposito è opportuno richiamare, in via preliminare, l'opinione giurisprudenziale secondo cui l'entità della partecipazione assegnata con il rapporto di cambio dipende "anche da valutazioni inerenti a nuovi equilibri aziendali o a prospettive legate al diverso assetto, che non possono trovare, necessariamente, riscontri di natura contabile - estimativa" (App. Milano, decr. 12 gennaio 2001, cit.).

Per quanto più specificatamente attiene alla posizione delle due categorie sopra indicate, la stessa giurisprudenza opportunamente nota che "a) i creditori particolari del singolo socio, come nelle più disparate possibili ipotesi in cui questi compia atti di disposizione su partecipazioni sociali di cui è titolare, troveranno tutela in forza degli istituti generali volti ad eliminare gli effetti di atti comportanti pregiudizio e lesione del patrimonio del debitore; b) eventuali spostamenti di ricchezza a titolo gratuito perseguiti con la fusione determinano - in presenza di effetti elusivi od evasivi - l'esercizio del potere accertativo dell'amministrazione finanziaria, ma non si riflettono sulla validità della deliberazione".

Sotto quest'ultimo profilo l'opinione dei giudici acquista ulteriore credito avuto riguardo alla nuova regolamentazione che la recente legislazione fiscale ha introdotto in relazione alla traslazione di utilità attuata per via indiretta.

La possibilità di rinunciare alla relazione degli esperti sul rapporto di cambio, del resto, appare consentita dalla disciplina comunitaria, contenuta nella III dir. CE in materia societaria, come risulta implicitamente dall'art. 28 della stessa direttiva (laddove si rende superflua la relazione anche contro il consenso di una minoranza dei soci, in presenza del riconoscimento del diritto a vendere le proprie azioni loro accordato) e come viene altresì confermato dalla legislazione tedesca, che prevede espressamente la rinuncia alla relazione degli esperti sulla congruità del rapporto di cambio, col consenso unanime di tutti i soci (§ 12, Abs. 3, Umwandlungsgesetz).

Il diritto dei soci di apprezzare autonomamente l'operato degli amministratori, prescindendo dal conforto peritale, ha tuttavia natura individuale, restando sottratto al principio maggioritario.

Pertanto la volontà di rinunciare alla relazione degli esperti dovrà essere dichiarata da tutti i soci e - più in generale - dai portatori di diritti anche parziali sulle partecipazioni sociali, ed essere attestata, nel verbale assembleare, da parte del presidente della riunione.

Le considerazioni di cui sopra lasciano impregiudicato il problema dell'eventuale necessità della stima ai sensi dell'art. 2343 cod. civ., volta alla tutela di interessi anche di terzi non soci.

Pur escludendo che la fusione e la scissione richiedano in ogni caso la redazione della stima prevista dall'art. 2343 cod. civ., rimane comunque da valutare se e quando - anche tenuto conto dei noti orientamenti giurisprudenziali, con specifico riferimento alle massime del Tribunale di Milano del novembre 1989, in Riv. soc., 1989, 1118 ss., del 30 settembre 1994, in Riv. soc., 1995, 278 ss., nonché del 27 marzo 1996, in Riv. soc., 1996, 69 ss. - le modalità di attuazione dell'operazione impongano la redazione della stima, a prescindere dall'unanime rinunzia dei soci alla relazione degli esperti sulla congruità del rapporto di cambio.

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