I soggetti della divisione ereditaria



La divisione dei cespiti che ricadono nella comunione incidentale ereditaria vede la indispensabile partecipazione di tutti i coeredi nonchè di coloro che a questi ultimi succedano, tanto a titolo universale, quanto a titolo particolare nota1.

Relativamente ai soggetti incapaci di agire, occorre distinguere a seconda della specie di incapacità e fare riferimento alla disciplina specificamente applicabile. Così, trattandosi di minori d'età, la divisione vedrà la partecipazione dei genitori esercenti la responsabilità genitoriale nota2, i quali interverranno debitamente autorizzati. Per i minori sottoposti a tutela provvederà il tutore (o, in caso di impedimento di costui, il protutore). I minori emancipati o gli inabilitati saranno assistiti dal curatore. Giova al riguardo operare una distinzione tra la divisione che intervenga in relazione a cespiti ricadenti in una qualsiasi comunione e divisione che intervenga relativamente a beni di provenienza ereditaria. Mentre nel primo caso si applicano le norme ordinarie (art. 320, III comma, cod.civ. per i minori sottoposti a responsabilità genitoriale, n. 6 dell'art. 374, cod.civ. per minori sottoposti a tutela o chi si trovi in stato di interdizione giudiziale (cfr. l'art. 424 cod.civ. che si riferisce espressamente alle regole stabilite in materia di tutela dei minori; l'art. 394, III comma, cod.civ. per i soggetti relativamente incapaci), nel secondo la determinazione della competenza non appare scontata. A fronte infatti di chi ritiene immutata la questione della competenza, v'è chi reputa l'indispensabilità di fare riferimento al giudice delle successioni: l'autorizzazione onde procedere alla divisione dovrebbe essere richiesta, ai sensi dell'art. 747 cod.proc.civ., con ricorso rivolto al giudice del luogo in cui si è aperta la successione, sentito il giudice tutelare ogniqualvolta i beni appartengono a soggetti incapaci.

I fautori della prima opinione fanno leva sul fatto che l'atto divisionale non ha nulla a che vedere con la vendita dei beni ereditari, ciò che precisamente evoca l'art. 747 cod.proc.civ.. La divisione infatti possiede natura meramente dichiarativa (art. 757 cod.civ. ) nè, d'altronde, si può dire che i creditori, i cui interessi ispirano il giudice competente a provvedere ex art. 747 cod.proc.civ., possano subire un qualche pregiudizio in esito alla ripartizione dei beni tra coeredi, dal momento che essi rimangono pur sempre garantiti da tutti i beni ereditari nota3. A queste notazioni si è ribattuto sottolineando come la norma da ultimo citata debba rinvenire applicazione tutte le volte in cui vengano in considerazione atti di straordinaria amministrazione concernenti beni ereditari, non rilevando unicamente la vendita nota4. Questa impostazione è stata recepita anche in giurisprudenza ( Cass.Civ. Sez. I, 2994/97). Se quest'ultimo argomento è vero, come è convincente pure l'osservazione secondo la quale la divisione corrisponde ad un atto di straordinaria amministrazione, modificando il patrimonio del condividente ed esponendolo al rischio di essere apporzionato con beni di minor valore rispetto alla quota di diritto al medesimo spettante nota5, sembra tuttavia non essere stato colto il punto nodale. L'interesse del singolo condividente in relazione ad una quota di fatto proporzionata ed adeguata rispetto a quella di diritto viene già assunto in considerazione dalle singole norme che proteggono gli interessi degli incapaci. L'art. 747 cod.proc.civ. è stato piuttosto dettato allo scopo di tutelare i diritti dei creditori ereditari, dei legatari. Sotto questo profilo l'unico pregiudizio che costoro potrebbero risentire per effetto della divisione sarebbe quello di subire l'anomalo concorso dei creditori del coerede apporzionato con beni di valore maggiore rispetto alla quota di diritto. Se Tizio, oberato di debiti personali, ricevesse una quota di valore esorbitante rispetto a quella cui aveva diritto, è infatti chiaro che i creditori ereditari potrebbero risentire un danno. A questa situazione tuttavia si addice un differente strumento: la separazione dei beni dell'eredità che i creditori ereditari ben possono praticare. In definitiva, nonostante gli autorevoli pareri contrari, non si vede perchè la divisione dei beni ereditari debba essere autorizzata secondo l'art.747 cod.proc.civ., apparendo più ragionevole che vengano in esame unicamente gli interessi dei soggetti incapaci che avessero a prendervi parte. Non si vede infine come possa invocarsi l'art.1113 cod.civ. , norma ai sensi della quale i creditori possono intervenire nella divisione e farvi opposizione per sostenersi la tesi che qui si contesta. Chi sono infatti i creditori legittimati a proporre opposizione? Non certo i creditori ereditari: si tratta infatti dei creditori dei singoli condividenti, i quali potrebbero sicuramente subire un danno per effetto del riferito meccanismo in forza del quale il condividente fosse apporzionato di beni di valore minore rispetto alla quota di diritto. Si osservi infatti che la norma in discorso viene dettata nell'ambito della divisione in generale. A differenza di quanto si può dire in riferimento alla divisione che intervenga in relazione ad una comunione ordinaria, nella divisione afferente a beni di provenienza ereditaria i creditori dell'eredità hanno quale riferimento tutti i beni dell'asse, non semplicemente i beni di un singolo partecipe.

Rimane da dare cenno della partecipazione al fenomeno divisionale dei nascituri. Al riguardo l'art. 715 cod.civ. prescrive che, come si riferirà partitamente, qualora tra i chiamati alla successione vi sono nascituri, la divisione non può aver luogo prima della nascita, salvo l'autorizzazione del giudice.

Note

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Si tratta infatti di un contratto indispensabilmente plurilaterale (ovviamente con il limite dell'ipotesi dell'esistenza di due condividenti soltanto) in relazione al quale l'eventuale difettosa partecipazione di uno dei contitolari non può che condurre alla nullità (cfr. l'art.735 cod.civ.) (cfr. Burdese, La divisione ereditaria, in Tratt.dir.civ.it., diretto da Vassalli, Torino, 1980, p.118). Una conferma del detto schematismo si rinviene, sotto il profilo processuale, dalla lettura dell'art. 784 cod.proc.civ. , norma che configura il litisconsorzio come necessario. Il tema sarà oggetto di specifica disamina. Non contraddice questa impostazione Cass. Civ., Sez. II, 22977/13, secondo la quale è valido il contratto con il quale alcuni soltanto degli eredi fissano le modalità di ripartizione del patrimonio ereditario, determinando altresì l'estromissione di uno dei coeredi dalla comunione ereditaria. Una volta chiarito che tale accordo è suscettibile di adesione successiva da parte dei coeredi che non l'avessero originariamente sottoscritto e che soltanto allora avrebbe potuto sortire gli effetti di un atto divisionale, la soluzione appare accettabile.
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nota2


A seguito del D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154 le parole “potestà dei genitori” o "potestà genitoriale" sono sostituite dalle parole “responsabilità genitoriale”.
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nota3

Burdese, voce Comunione e divisione ereditaria, in Enc.giur. Treccani, p.6.
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nota4

Jannuzzi, Manuale della volontaria giurisdizione, Milano, 2000, p.326 e Cantelmo, Brevi note sulla rilevanza della qualifica "bene ereditario", in Giur.it., 1974, p.275.
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nota5

Capozzi, Successioni e donazioni, t.2, Milano, 2002, p.684.
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Bibliografia

  • BURDESE, Comunione e divisione ereditaria, Enc. giur. Treccani, VII, 1988
  • BURDESE, La divisione ereditaria, Torino, vol. XX, 1980
  • CANTELMO, Brevi note sulla rilevanza della qualifica "bene ereditario", Giur. it., 1974
  • CAPOZZI, Successioni e donazioni, Milano, 2002
  • JANNUZZI, Manuale della volontaria giurisdizione, Milano, 2000

Prassi collegate

  • Quesito n. 168-2006/C, Divisione ereditaria fra coeredi con attribuzione di quota di comproprietà di un bene immobile

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