Realizzazione di un terrazzo "a tasca" sul tetto del condominio: necessaria una deliberazione assembleare? (Cass. Civ., Sez. VI-II, ord. n. 36389 del 13 dicembre 2022)

Le modificazioni per il miglior godimento della cosa comune (a differenza dalle innovazioni che vengono deliberate dall'assemblea nell'interesse di tutti i partecipanti ai sensi dell'art. 1120 cod. civ.) possono essere apportate a proprie spese dal singolo condomino con i limiti indicati dall'art. 1102 cod. civ. e non richiedono alcuna preventiva autorizzazione assembleare, salvo che tale autorizzazione non sia imposta da una convenzione contrattuale approvata dai condomini nell'esercizio dell'autonomia privata, potendo altrimenti attribuirsi all'eventuale autorizzazione alle modifiche comunque richiesta o concessa dall'assemblea il valore di mero riconoscimento dell'inesistenza di interesse e di concrete pretese degli altri condomini rispetto alla utilizzazione del bene comune che voglia farne il singolo partecipante.
In tema di impugnazione della deliberazione dell'assemblea condominiale, l'onere di provare il vizio di contrarietà alla legge o al regolamento di condominio, da cui deriva l'invalidità della stessa, grava sul condomino che la impugna; ove, tuttavia, l'assemblea neghi ad un condomino l'autorizzazione ad apportare modifiche alle parti comuni, così adottando un provvedimento non previsto dalla legge o dal regolamento, avuto riguardo alla posizione delle parti riguardo ai diritti oggetto del giudizio, spetta al condominio dimostrare il superamento dei limiti del pari uso, di cui all'art. 1102 cod. civ., che possa perciò giustificare la legittima espressione della volontà collettiva dei partecipanti a tutela delle esigenze conservative delle parti comuni.

Commento

(di Daniele Minussi)
Come è noto la copertura del tetto costituisce ente comune condominiale. Può il titolare dell'unità immobiliare posta all'ultimo piano aprire un terrazzo "a tasca" ricavandolo mediante modifica al tetto a proprie spese? Qualificando tale modica nell'ambito di quelle atte a permettere il miglior godimento del bene comune senza che vi sia violazione dei limiti di cui all'art. 1102 cod.civ., la risposta parrebbe affermativa, a prescindere da qualsiasi manifestazione da parte dell'assemblea condominiale. Nel caso di specie, essendo stata invece richiesta una tale autorizzazione, indi negata, si poneva il problema sia di qualificare la relativa espressione di volontà collegiale, sia di considerarne le conseguenze. Sotto il primo profilo la S.C. ha concluso nel senso della natura meramente ricognitiva della stessa, mentre ha parallelamente statuito nel senso che, per potersi considerare legittima una siffatta deliberazione negativa, debba essere il condominio gravato dell'onere di dar conto della violazione della regola del pari uso al fine di giustificare il diniego all'esecuzione di un'opera altrimenti liberamente eseguibile dal singolo condomino.

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