La rottura della promessa formale di matrimonio non costituisce illecito civile ma comporta la previsione, a carico del recedente ingiustificato, di un’obbligazione ex lege a rimborsare l’importo delle spese sostenute. (Cass. Civ., Sez. VI, n. 9 del 2 gennaio 2012)

La rottura della promessa di matrimonio formale e solenne - cioè risultante da atto pubblico o scrittura privata, o dalla richiesta delle pubblicazioni matrimoniali - non può considerarsi comportamento lecito allorché avvenga senza giustificato motivo. Questo comportamento non genera l'obbligazione civile di contrarre il matrimonio, ma il recesso senza giustificato motivo configura pur sempre il venir meno alla parola data ed all'affidamento creato nel promissario, quindi la violazione di regole di correttezza e di autoresponsabilità, che non si possono considerare lecite o giuridicamente irrilevanti. Ma non costituisce illecito extracontrattuale, essendo espressione della fondamentale libertà matrimoniale, né responsabilità contrattuale o precontrattuale, poiché la promessa di matrimonio non è un contratto e neppure crea un vincolo giuridico tra le parti.
In siffatti casi si configura una speciale obbligazione ex lege che pone a carico del recedente ingiustificato l'obbligo di rimborsare alla controparte quanto meno l'importo delle spese affrontate e delle obbligazioni contratte in vista del matrimonio. Non sono risarcibili voci di danno patrimoniale diverse da queste e men che mai gli eventuali danni non patrimoniali.

Commento

(di Daniele Minussi)
Del tutto condivisibile la decisione della S.C., direttamente discendente dalla considerazione della natura giuridica della promessa di matrimonio. Non già negozio giuridico, bensì mero atto, al quale la legge riconnette gli effetti di una condotta quando la stessa sia stata cosciente e volontaria.

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