Vedute



Vedute o prospetti sono quelle aperture che consentono di affacciarsi e guardare di fronte (vedute dirette), obliquamente (vedute oblique), lateralmente (vedute laterali). Non può pertanto essere qualificata come veduta la mera finestratura non apribile dotata di un vetro opaco (Cass. Civ., Sez. II, 27413/2013). Lo è, al contrario, la porta novellamene aperta sul lastrico solare adiacente la proprietà del vicino (Cass. Civ., Sez. VI-II, 20273/2017). La facoltà per il proprietario di effettuare l'apertura di esse incontra alcuni limiti connessi al rispetto di determinate distanze nota1 . In questo senso l'art. 905 cod. civ. prescrive che non si possono aprire vedute dirette verso il fondo chiuso o non chiuso e neppure sopra il tetto del vicino, se tra il fondo di questo e la faccia esteriore del muro in cui si aprono le vedute dirette non vi è la distanza di un metro e mezzo. Non si possono parimenti costruire balconi o altri sporti, terrazze, lastrici solari e simili, muniti di parapetto che permetta di affacciarsi sul fondo del vicino, se non vi è la distanza di un metro e mezzo tra questo fondo e la linea esteriore di dette opere.

Tali divieti non operano quando tra i due fondi vicini vi è una via pubblica nota2.
Cosa dire invece della vigenza di tali regole nell'ambito di un edificio condominiale? Può essere la norma invocata per disciplinare i rapporti tra le proprietà individuali poste in un edificio condominiale? Al quesito è stata data una risposta concretamente negativa, sulla base della prevalenza del criterio di utilizzo delle parti comuni di cui all'art.1102 cod.civ. (Cass. Civ. Sez. II, ord. 13317/2022; Cass. Civ., Sez. II, 3094/2014). Nello stesso senso si è concluso quando la servitù può dirsi riconducibile ad una condizione assimilabile alla destinazione del padre di famiglia (cfr. art.1062 cod.civ.), implicita nell'aver aperto determinate finestre quando l'intero fabbricato apparteneva ad unico proprietario (Cass. Civ., Sez. II, 6923/2015).

Per quanto attiene alle vedute oblique l'art. 906 cod. civ. prevede invece il rispetto di una distanza minima di settantacinque centimetri, la quale deve misurarsi dal più vicino lato della finestra o dal più vicino sporto.

La veduta assume la denominazione di prospetto quando più che in una semplice finestra nel muro consiste in una sporgenza dal muro, come accade nel caso della veduta che si esercita da balconi e terrazze.

Quando si è acquistato il diritto di avere vedute dirette verso il fondo vicino, il proprietario di questo non può fabbricare a distanza minore di tre metri dal piano della veduta (art. 907 cod. civ.) nota3. Si faccia attenzione al fatto che l'esistenza di un muro divisorio tra due fondi, quand'anche consentisse di esercitare in fatto la veduta, non costituisce il presupposto affinchè possa essere acquisita la relativa servitù (Cass. Civ. Sez. II, ord. 6140/2022).

E' applicabile la normativa in questione nell'ambito di un edificio in condominio? La questione assume una rilevanza notevole. Se essa risultasse in toto operativa ben potrebbero sorgere tra singoli condomini liti che paralizzerebbero in concreto la possibilità di trarre dal bene comune la massima utilità, secondo il criterio di cui all'art. 1102 cod.civ.. Cosa dire ad esempio della costruzione di un balcone dal quale sia possibile esercitare una veduta secondo modalità per l'innanzi non praticabili? Al riguardo la S.C. si è pronunziata nel senso dell'applicabilità delle norme in tema di distanze anche alla fattispecie in parola, tuttavia dovendo la stessa essere subordinata ad una valutazione di compatibilità con la regole generale di cui al riferito art. 1102 cod.civ. (Cass. Civ., Sez. II, 6546/10). Questa impostazione è stata ribadita dalla di poco susseguente Cass. Civ., Sez. II, 13874/10. Non mancano pronunzie nel senso della incompatibilità: cfr. Cass. Civ., Sez. II, 20092/11.
Specialmente delicato è anche il tema della servitù di veduta. La qualificazione della stessa come apparente, ne rende possibile l'acquisto per usucapione (Cass. Civ. Sez. II, ord. 32816/2023). Dal momento che, a differenza della mera luce, la veduta consente l'affaccio, è stato inoltre deciso che colui il quale intenda agire in confessoria servitutis debba dar conto dell'insussistenza di inferriate o di grate apposte sull'apertura (Cass. Civ., Sez. II, 18890/2014).

Note

nota1

Cfr. Lojacono, Luci e vedute, in Enc. dir., pp. 59 e ss.
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nota2

Viene equiparata alla via pubblica sia la via privata gravata da servitù ad uso pubblico (c.d. vicinale), sia il corso d'acqua pubblico. V. De Martino, Beni in generale. Proprietà, in Comm. cod. civ., a cura di Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1976, p. 395.
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nota3

Il proprietario del fondo danneggiato dall'apertura di vedute abusive può richiedere la rimessione in pristino dei luoghi, ciò che non comporta necessariamente la demolizione del manufatto, ogniqualvolta sia possibile l'adozione di accorgimenti idonei a salvaguardare il suo diritto di proprietà. Cfr. Fiorani , Luci, vedute e relative servitù nel codice civile vigente, Milano, 1967; Palazzo, Massimario generale delle luci e vedute, Napoli, 1961; Di Ruzza-Scoccini, in Comm. cod. civ., diretto da Cendon, vol. III, Torino, 1997.
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Bibliografia

  • DE MARTINO, Beni in generale, proprietà (Artt. 810-956), Bologna-Roma, Comm. cod. civ., a cura di Scialoja-Branca, 1976
  • LOJACONO, Luci e vedute, Milano, Enc. dir., XXV, 1975
  • PALAZZO, Massimario generale delle luci e vedute,, Napoli, 1961

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