Rilevabilità di ufficio della nullità



Ai sensi dell'art. 1421 cod.civ. la nullità di un atto può essere rilevata d'ufficio dal giudice (a differenza di quanto si osserva in tema di annullabilità, la quale può esser fatta valere solo ope exceptionis). Si tratta di una deroga al c.d. principio dispositivo, secondo cui, nel giudizio civile, il giudice può emettere pronunce solo a condizione che una parte gliene abbia fatta richiesta (art.112 cod.proc.civ.).

La regola, che costituisce un completamento o meglio un ulteriore corollario di quella della assolutezza della legittimazione ad agire, va interpretata nel senso che può essere dichiarata la causa invalidante, pur in difetto di una specifica domanda diretta delle parti. Essa va comunque temperata dal principio in base al quale occorre comunque che le parti abbiano portato all'attenzione del giudice il contratto o l'atto viziato nella sua globalità (Cass. Civ. Sez. II, 1903/87 ) nota1.

Il giudice non potrebbe dunque pronunziare la nullità dell'atto ove la questione non gli venisse quantomeno implicitamente posta, dovendo il principio della rilevabilità ex officio esser temperato con quello della domanda . Secondo un'opinione, non sarebbe pertanto possibile pronunziare la nullità quando fosse stata domandata la caducazione del contratto per un vizio importante la risolubilità o l'annullabilità (Cass. Civ. Sez. II, 117/99). E' stato tuttavia deciso più recentemente in senso contrario (Cass. Civ., Sez. III, 1036/2019); addirittura si è deciso nel senso della opponibilità della nullità dichiarata in un diverso giudizio tuttavia intercorso tra le medesime parti (Cass. Civ., Sez. II, 3308/2019).
Quando una delle parti propone azione di risoluzione, di annullamento o di rescissione del contratto il giudicante non può pronunziarsi sulle stesse (rigettandole) se non incidentalmente conoscendo della nullità dell'atto negoziale (Cass. Civ. Sez.III, 6170/05 ). Quando inoltre si facesse questione dell'applicazione o dell'esecuzione di un atto la cui validità rappresenta un elemento costitutivo della domanda, ovvero si trattasse di una causa di nullità non risultante dal tenore dei documenti prodotti (Cass. Civ. Sez. II, 5276/93 ), il giudice sarebbe parimenti tenuto a rilevarne la nullità. La questione non è pacifica, dal momento che la II sezione della S.C. ha successivamente statuito in senso opposto (riprendendo il primo tra i citati orientamenti), stabilendo che la rilevabilità d'ufficio della nullità possa operare solo quando si domandi l'adempimento del contratto e non già quando ne sia stata richiesta la risoluzione o l'annullamento (Cass.Civ. Sez.II, 21632/06).

Tenuto conto di questo invero non lineare percorso, è rimarchevole notare come l'intervento della Cassazione a Sezioni Unite possa finalmente mettere un punto fermo.
E' stato infatti deciso che il giudice abbia sempre il potere di rilevare dai fatti allegati o provati agli atti ogni forma di nullità (ad eccezione di quelle relative), indipendentemente dalla natura delle domande giudizialmente poste dalle parti, eventualmente anche rigettando la domanda di risoluzione del contratto (Cass. Civ., Sez. unite, 14828/12). Il principio posto parrebbe effettivamente più congruo ad attuare il precetto normativo di cui all'art. 1421 cod.civ., altrimenti ridotto a mero simulacro. Questo indirizzo è stato successivamente ribadito e rafforzato, sempre dalle SSUU, le quali hanno pure indicato la via maestra nelle ipotesi di nullità "di protezione", sancendo che il Giudice debba comunque indicare le relative cause alla parte nel cui interesse esse sono poste, pur senza potersi sostituire alla parte stessa (Cass. Civ., Sez. Unite, 26242/2014). I nodi problematici non finiscono tuttavia pur in esito al consolidarsi dell'orientamento appena riferito. Infatti rimane pur sempre da chiarire la sorte delle ulteriori attribuzioni che scaturiscono dal contratto dichiarato nullo che non abbiano formato oggetto di specifica domanda giudiziale delle parti. Se dunque è chiaro che potrà essere pronunziata la nullità di un contratto di vendita immobiliare di cui fosse stata domandata la mera risoluzione, non lo è altrettanto per quanto attiene alla restituzione del prezzo pagato in difetto di domanda (cfr. Cass. Civ. Sez. II, ord. 10917/2021 che per l'appunto statuisce nel senso che tale restituzione non possa essere disposta).

E' anche stato deciso nel senso che, se la domanda prescindesse da qualsiasi analisi sul punto validità, come nel caso in cui l'attore richiedesse di accertare lo scioglimento del vincolo contrattuale in seguito all'esercizio della facoltà di recesso, limitandosi il convenuto a resistere su tale punto, non vi sarebbe la possibilità di pronunziarsi circa la nullità del contratto: una sentenza che la dichiarasse non potrebbe sottrarsi alla censura di ultrapetizione.
Al contrario, nel corso del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, il Giudice ben può rilevare la causa di nullità che inficia il contratto in forza del quale venne azionato il credito con la procedura monitoria (Cass. Civ., Sez. I, 24483/13)

Note

nota1

In tal modo prevarrebbe l'orientamento restrittivo della giurisprudenza (Cass.Civ.Sez.II, 7402/86) secondo il quale il giudice sarebbe tenuto a compiere tali rilevazioni solo se del negozio nullo ne venga richiesta in giudizio l'esecuzione. La dottrina prevalente (Amato, Risoluzione, rescissione, annullamento di un contratto nullo?, in Giur.it., vol.I, 1971, p.444; Filanti, Nullità , in Enc.giur.Treccani, p.9) contesta, invece, tale indirizzo, reputando ammissibile una deroga al principio dispositivo, in considerazione della ratio della nullità, posta in funzione dei valori fondamentali del sistema.
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Bibliografia

  • AMATO, Risoluzione, rescissione, annullamento di un contratto nullo?, Giur. it., vol. I, 1971
  • FILANTI, Nullità, Enc.giur.Treccani

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