Responsabilità degli amministratori verso la società (società per azioni)




L'art. 2392 cod.civ. recita testualmente: "Gli amministratori devono adempiere i doveri ad essi imposti dalla legge e dallo statuto con la diligenza richiesta dalla natura dell'incarico e dalle loro specifiche competenze (cfr. Tribunale di Milano, 24 agosto 2011 che ha messo a fuoco come sia insindacabile il merito delle scelte di gestione; cfr. anche Tribunale di Milano, 26 maggio 2011 in senso analogo per quanto attiene all'operato dei liquidatori). Essi sono solidalmente responsabili verso la società dei danni derivanti dall'inosservanza di tali doveri, a meno che si tratti di attribuzioni proprie del comitato esecutivo o di funzioni in concreto attribuite ad uno o più amministratori. In ogni caso gli amministratori, fermo quanto disposto dal III comma dell'art. 2381 cod.civ. , sono solidalmente responsabili se, essendo a conoscenza di fatti pregiudizievoli, non hanno fatto quanto potevano per impedirne il compimento o eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose. La responsabilità per gli atti o le omissioni degli amministratori non si estende a quello tra essi che, essendo immune da colpa, abbia fatto annotare senza ritardo il suo dissenso nel libro delle adunanze e delle deliberazioni del consiglio, dandone immediata notizia per iscritto al presidente del collegio sindacale".

La posizione dell'amministratore è indubbiamente quella dell'organo rispetto all'ente nel cui ambito svolge la relativa funzione. In ogni caso la natura giuridica della sua responsabilità è variamente qualificabile. In relazione al promuovimento dell'azione di responsabilità che la curatela fallimentare della società abbia instaurato nei confronti dell'amministratore per mala gestio (indipendente dalla violazione di specifiche disposizioni di legge) è stata evocata la disciplina del mandato (Cass. Civ., Sez.I, 18231/09). In tema di opponibilità della modificazione statutaria consistente nell'introduzione della clausola simul stabunt, simul cadent all'amministratore che fosse stato nominato successivamente all'adozione della detta modifica, ma prima della pubblicazione della stessa preso il Registro delle imprese, viceversa si è focalizzata l'immedesimazione organica che contrassegna il nesso tra l'ente e il suo organo (Cass. Civ., Sez.I 18597/08). I predetti orientamenti sono soltanto apparentemente contradditori. Un conto infatti è l'azione della curatela, intesa a proteggere anche gli interessi della società fallita, ciò che postula l'affermazione di una dualità soggettiva tra ente e organo, altra cosa è che l'organo possa, nei rapporti interni con l'ente, avvalersi delle norme che sono orientate a proteggere i terzi in relazione al difetto di pubblicazione di vicende rilevanti (art. 2193 cod.civ.).

Il legislatore della riforma del 2003 ha introdotto alcune fondamentali novità che hanno completamente modificato i principi ai quali si ispirava la previgente normativa in tema di responsabilità degli amministratori.

In primo luogo, il legislatore ha aggravato il rigore della disciplina relativa al conflitto di interessi, sia a livello preventivo e di trasparenza nella gestione, sia a livello sanzionatorio. L'obbligo di informazione incombente sull'amministratore ha ad oggetto qualunque interesse lo stesso possa avere nell'operazione, a prescindere dal fatto che si tratti di interesse in conflitto, ovvero convergente con quello della società. In tal senso appare chiara la relazione alla legge di riforma del 2003 che, al punto 6.III.3 rileva che "il maggior rigore di questa disciplina vuole sottolineare non solo che qualsiasi amministratore, essendo un gestore di un patrimonio altrui, non può approfittare della sua posizione per conseguirne diretti o indiretti vantaggi, ma, soprattutto, il valore della trasparenza nella gestione della società".

In secondo luogo, è stata attenuata la responsabilità degli amministratori senza deleghe, in virtù dell'eliminazione, rispetto al previgente testo dell'art. 2392, II comma, cod.civ. , dell'obbligo di vigilanza sul generale andamento della gestione. Da esso discendeva infatti una responsabilità solidale in capo ai componenti del consiglio d'amministrazione. Questa in effetti è rimasta, tuttavia non è più collegata all'obbligo di vigilanza, cosicché il legislatore della riforma ha evitato "sue indebite estensioni che, soprattutto nell'esperienza delle azioni esperite da procedure concorsuali, finiva per trasformarla in una responsabilità sostanzialmente oggettiva, allontanando le persone più consapevoli dall'accettare o mantenere incarichi in società o in situazioni in cui il rischio di una procedura concorsuale le esponeva a responsabilità praticamente inevitabili" (Relazione alla legge di riforma del 2003, punto 6.III.4). In ogni caso va rilevato come il dovere di vigilanza permanga anche quando il membro del consiglio di amministrazione non appartenga al comitato esecutivo, sia cioè privo di deleghe (Cass. Civ., Sez. I, 9384/11).

Come si approfondirà in sede di disamina dell'art.2381 cod.civ. , il legislatore della riforma ha inoltre preso atto che l'amministratore delegato ha una posizione sostanzialmente diversa da quella degli amministratori senza delega, imponendo ai primi obblighi ben più pregnanti rispetto ai secondi. Si è pertanto eliminato il precedente e diffuso problema delle indiscriminate condanne solidali di tutti gli amministratori e di tutti i sindaci. Come correttamente affermato dalla relazione sulla riforma, la responsabilità prevista in capo agli organi societari, seppur solidale, resta comunque una responsabilità per colpa e per fatto proprio e conseguente alla violazione di diversi obblighi, ben differenziati a seconda che si tratti di organi delegati o di amministratori senza delega.

Come infine si vedrà partitamente il legislatore della riforma ha consentito che l'azione sociale di responsabilità venga esperita ad iniziativa della minoranza. Uno dei maggiori problemi della previgente disciplina era infatti rappresentato dalla circostanza che ben difficilmente la maggioranza assembleare intraprendeva una azione di responsabilità nei confronti degli amministratori, dalla stessa nominati ed alla stessa sostanzialmente soggetti nel recepire le direttive sulle modalità e circa gli obiettivi da perseguire nella gestione sociale. Vi era quindi una carenza di tutela della minoranza e dei singoli azionisti, i quali erano costretti sostanzialmente a subire, impotenti, le scelte della maggioranza e degli amministratori da questa espressi.

A questa carente tutela della minoranza si è posto rimedio con il novellato art. 2393 bis cod.civ. , il quale dà diritto a tanti soci che rappresentino almeno il 20% del capitale sociale, o il 5% nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, di esercitare l'azione sociale di responsabilità, chiedendo agli amministratori il risarcimento, a vantaggio della società, dell'intero danno a quest'ultima causato dal loro operato.

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