La conversione di azioni da una categoria all'altra



Alla luce della riforma e a conclusione dell'indagine relativa alle azioni di categoria, è necessario analizzare il problema della possibilità che si faccia luogo alla conversione delle azioni di una determinata categoria in azioni di altra categoria.
Originariamente, l'istituto della conversione delle azioni non era previsto dal codice civile e fu introdotto per la prima volta in relazione alle azioni di risparmio dall'art. 1/14 della L. 216/74.
Esso inoltre fu conservato anche dopo la riforma della disciplina delle azioni risparmio operata dal D. Lgs. 58/98 (art. 145, VII comma ).
Detta normativa, peraltro, prevede espressamente solo la conversione da azioni ordinarie ad azioni di risparmio, ma nella prassi, non si dubita dell'ammissibilità dell'ipotesi contraria.
Con l'avvento della riforma nel codice civile viene per la prima volta introdotto un espresso riferimento al fenomeno della conversione all'art. 2350, II comma, cod.civ. , laddove, in relazione alle azioni fornite di diritti patrimoniali correlati ai risultati dell'attività sociale in un determinato settore, si dispone che in tal caso lo statuto stabilisce " le eventuali condizioni e modalità di conversione in azioni di altra categoria."
Nondimeno, proprio per la specificità delle previsioni sopra riportate, la dottrina ritiene che quello della conversione sia un principio generale applicabile a qualsiasi categoria di azioni nota1.

Il fenomeno della conversione volontaria ricorre quando la società attribuisce all'azionista il diritto di effettuare la conversione in azioni di risparmio o in altre categorie.
In tal caso non dovrebbe dubitarsi della ammissibilità della conversione poiché essa è rimessa alla libera determinazione degli azionisti.
Ciò posto è evidente che per procedere alla conversione occorra una delibera dell'assemblea straordinaria, perché la conversione potrebbe determinare l'introduzione di una categoria di azioni prima non prevista dallo statuto e/o modificare il numero delle azioni di categoria già emesse (cfr. art. 2328, n. 5, cod.civ. ).
La relativa delibera deve determinare il numero massimo delle azioni da convertire, il termine e le modalità di conversione e i meccanismi idonei ad assicurare il rispetto dell'art. 2351, I comma, secondo periodo, cod.civ. .
Nulla vieta inoltre di prevedere un conguaglio in denaro ai fini della conversione poiché il pagamento di tale conguaglio non è imposto al socio, ma deriva pur sempre dalla sua autonoma scelta di aderire alla conversione nota2.
Inoltre, non deve ritenersi necessaria in ogni caso la previa approvazione dell'assemblea dei soci della categoria di azioni oggetto della facoltà di conversione, laddove si aderisca alla tesi secondo cui la disciplina delle assemblee speciali si applica esclusivamente in caso di pregiudizio diretto.
Ed infatti di regola dalla delibera di conversione non può derivare ai soci che non intendano aderirvi alcun pregiudizio giuridico, diretto ed immediato, ma al limite un pregiudizio di mero fatto e potenziale.

Il fenomeno della conversione forzata ricorre quando viene disposta dalla società con assemblea straordinaria a maggioranza la trasformazione diretta di azioni di una categoria in azioni di un'altra categoria, senza subordinare tale conversione all'adesione dei singoli azionisti nota3.
L'ammissibilità di tale forma di conversione è stata negata in materia di azioni di risparmio da una parte rilevante della dottrina, sulla base della considerazione che si verificherebbe in tal caso una costrizione degli interessi delle minoranze, assoggettati al volere della maggioranza anche relativamente a modifiche assai significative delle condizioni del loro investimento.
Ma secondo altri nota4 deve valere anche in tal caso il principio generale secondo cui di regola non esistono nelle società di capitali diritti dei soci che non siano modificabili dalla maggioranza, salvo il rispetto dei principi di buona fede e di parità di trattamento tra i soci e salva l'applicazione dell'art. 2376 cod.civ. (norma che fa salve le leggi speciali nell'ipotesi in cui le azioni siano ammesse alla gestione accentrata), ove ne ricorrano i presupposti.
Ove tali limiti vengano rispettati, deve ritenersi pertanto ammissibile anche la conversione forzata.
Ciò non toglie peraltro che in tale forma di conversione non possa ritenersi lecita l'imposizione di un conguaglio in denaro a carico dell'azionista che subisca la conversione, perché ciò contrasta con il principio generale secondo cui non si possono imporre all'azionista nuove contribuzioni rispetto ai conferimenti processi al momento della sottoscrizione delle azioni.

La conversione automatica ricorre quando essa sia prevista in origine, sin dal momento dell'emissione delle azioni, al verificarsi di una data o di un evento.
Nelle azioni di risparmio, in particolare, si è discusso se fosse possibile da parte di una società non quotata l'emissione di azioni ordinarie destinate ad essere convertite automaticamente in azioni di risparmio al momento della quotazione della società in borsa.
Ma tale problema inerisce evidentemente al fatto che le azioni di risparmio possono essere emesse solo da società quotate in borsa, onde il problema dell'ammissibilità della conversione automatica non dovrebbe nemmeno porsi con riferimento a categorie di azioni tutte astrattamente emettibili dalla società.
Semmai la fattispecie in esame pone il problema di assicurare che la conversione automatica non determini una violazione del principio di cui all'art. 2351, I comma, cod.civ. , secondo cui le azioni a voto limitato non possono superare la metà del capitale sociale, tenuto conto che la verifica di tale limite va effettuata con riferimento al tipo ed al numero di azioni in circolazione al momento della conversione automatica; detti dati, infatti, potrebbero subire variazioni nelle more tra l'emissione delle azioni suscettibili di conversione automatica ed il verificarsi dell'evento cui detta conversione sia subordinata.
In tal caso potrebbe dunque accadere che possano essere assoggettate a conversione automatica solo un numero di azioni tale da non condurre alla violazione di detto limite.
A fronte di tale problematica si è peraltro ritenuto, già sotto il vigore della precedente normativa, che l'individuazione delle azioni da convertire potesse essere effettuata solo con sistemi atti a garantire il rispetto della parità di trattamento tra i soci e quindi mediante riparto proporzionale ovvero mediante sorteggio.

Note

nota1

Del resto, nessuna norma vieta in linea di principio la possibilità che le azioni una volta emesse possano subire delle modificazioni strutturali, salvo i limiti a tale proposito desumibili dall'ordinamento. Il problema diviene quindi quello di individuare ed analizzare detti limiti. A tale proposito peraltro deve rilevarsi che il fenomeno della conversione non si presenta sempre in termini univoci, ma assume a seconda dei casi varie configurazioni in relazione a ciascuna delle quali si pongono diversi problemi di compatibilità con i principi normativi. Cfr. Magliulo, Le categorie di azioni e strumenti finanziari nella nuova s.p.a., Milanofiori-Assago, 2004, p. 122.
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nota2

Cfr. Bione, Le azioni, in Tratt. delle società per azioni, diretto da Colombo-Portale, vol. II, t.1, Torino, 1994, p. 74.
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nota3

Cfr. Nobili, La disciplina delle azioni di risparmio, in Riv. Soc., 1984, pp. 67 e ss.
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nota4

Cfr. Magliulo, op.cit., p. 124.
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Bibliografia

  • BIONE, Azioni, gruppi, Torino, Tratt. delle società per azioni diretto , da Colombo-Portale, 1994, vol. 2, t. 1
  • MAGLIULO, Le categorie di azioni e strumenti finanziari nella nuova s.p.a., Milanofiori-Assago, 2004
  • NOBILI, La disciplina delle azioni di risparmio, in Riv. Soc.

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