E' utile precisare gli elementi differenziali tra
dispensa dalla collazione (art.
737 cod. civ.) e
dispensa dall'imputazione ex se (III comma, art.
564 cod. civ.). Occorre anzitutto chiarire che la prima serve a far venir meno il principio secondo il quale, essendo la donazione un anticipo d'eredità, deve essere riconferita nell'asse. Chi è dispensato dalla collazione (che è un obbligo e non un onere) può dunque ritenere la liberalità senza dover nè restituire il bene in natura nè riversare nell'asse il valore in denaro. La dispensa dall'imputazione
ex se (operazione che costituisce un onere e non un obbligo) invece ha quale effetto quello di far gravare il lascito sulla parte disponibile del patrimonio dell'ereditando. Ciò premesso, l'ambito soggettivo delle due dispense si palesa soltanto parzialmente sovrapponibile: tenuti alla collazione sono infatti i figli, i loro discendenti, il coniuge. L'imputazione
ex se è invece un onere per tutti i legittimari (categoria che comprende anche gli ascendenti). Beneficiari del meccanismo della collazione sono inoltre gli stessi soggetti obbligati (almeno secondo la tesi preferibile e fatta salva l'introduzione da parte del
de cuius di una collazione su basi volontarie che venga ad avvantaggiare un coerede estraneo al nucleo familiare). Beneficiari della dinamica dell'imputazione
ex se sono invece coloro che, chiamati all'eredità, non appartengono al novero dei legittimari e, conseguentemente, sarebbero pregiudicati qualora il legittimario beneficiato da liberalità donative dall'ereditando, non fosse tenuto, prima di poter esperire l'azione di riduzione, a scomputarle dalla porzione legittima spettantegli
nota1.
Sotto il profilo del funzionamento oggettivo degli istituti in considerazione, la terminologia usata dal legislatore è inoltre frutto di non pochi equivoci: la collazione infatti può talvolta eseguirsi concretamente
per imputazione ovvero
mediante conferimento in natura. L'imputazione consiste nella "trasformazione" della cosa in un valore economico rappresentato da una somma di denaro che deve essere concretamente riversata nell'asse ereditario (sia pure con l'eccezione di cui al I comma dell'art.
751 cod. civ.
nota2. La relativa scelta, in tema di immobili (art.
746 cod. civ.) compete all'erede, senza che il
de cuius possa in alcun modo vincolarne la volontà, potendo unicamente disporre la dispensa (Cass. Civ. Sez. II,
1481/79). Per di più la dispensa dalla collazione, ancorchè non possa essere desunta dalle clausole con le quali il disponente abbia regolato l'imputazione della liberalità in conto di legittima o sulla disponibile (Cass. Civ. Sez. II,
278/84), è ritraibile interpretativamente da fatti concludenti (a differenza di quanto si può dire per la dispensa dall'imputazione
ex se, la quale comporta la ben più grave conseguenza di assorbire la disponibile, precludendo al testatore la possibilità di liberamente disporre di parte dei propri beni).
Ebbene: occorre chiarire che l'imputazione, concepita come uno dei modi di adempiere all'obbligo di dar corso alla collazione, è cosa ben diversa dall'imputazione
ex se, operazione che invece costituisce un onere per il legittimario, presupposto per potere agire con l'azione di riduzione.
Quest'ultima funziona unicamente nella prospettiva del promuovimento dell'azione di riduzione, essendo finalizzata a far pervenire al dispensato la liberalità a valere sulla disponibile e, soltanto per l'eventuale supero, sulla porzione legittima
nota3.
Una possibile interferenza è stata ravvisata nell'ipotesi in cui, facendo difetto entrambe le dispense ed il donatario, pretermesso in sede di successione testamentaria, agisca in riduzione nei confronti di coloro che si gioverebbero della collazione, "l'imputazione
ex se assorbe e surroga la collazione, cioè opera anche in funzione di collazione"
nota4.
Allo scopo di meglio delineare la distinzione occorre rammentare il fondamento ed il modo di operare della collazione. Se la
ratio di essa deve essere rinvenuta nel qualificare la liberalità donativa
come semplice anticipazione della quota d'eredità determinata dal testatore o dalla legge ed il funzionamento ordinariamente postula il concreto riversamento nell'asse o di una somma di denaro (imputazione)
o del bene donato (restituzione in natura), appare evidente come
la dispensa dalla collazione possa avere soltanto occasionalmente quale effetto quello di un incremento quantitativo della quota dei beni ereditari lasciati al donatario rispetto al lascito donativo. L'unica efficacia costante che la detta dispensa sortisce è dunque quello di evitare che il coerede coniuge o discendente (il quale ben potrebbe raggiungere lo stesso risultato, abbandonando l'eventuale parte di eredità lasciatagli) debba effettuare nei fatti l'imputazione mediante il versamento di denaro o la restituzione in natura dell'immobile donato, ferma restando la porzione assegnatagli per testamento o, in difetto, dalla legge. La dispensa della collazione non aumenterebbe (Cass. Civ., Sez. II,
13660/2017) ed automaticamente di per sè sola la porzione spettante al coerede (dovendosi presumere, in difetto di indicazioni, che essa sia fatta
in conto di legittima e, caso mai, solo per l'eccedenza, a valere sulla disponibile
nota5 ) a differenza di quanto si può osservare nell'ipotesi di dispensa dall'imputazione
ex se (Cass.Civ. Sez. II,
1521/80), la quale produce invece costantemente l'effetto di far gravare il lascito donativo sulla porzione disponibile (e, soltanto per l'eccedenza sulla quota di legittima). Come si cercherà di chiarire di seguito può capitare che, in concreto, gli effetti delle due dispense vengano a coincidere.
Ipotizziamo (esempio A) che Tizio abbia ricevuto in donazione dal padre, successivamente defunto senza lasciare disposizioni (ovvero, prescindendo dalla riserva di cui meglio in seguito si dirà con riferimento al problema della revoca della dispensa, nominando in un testamento i propri discendenti eredi in pari misura), beni immobili per 100 a fronte di un asse ereditario di 50 e che alla successione siano chiamati ex art.
566 cod. civ. .
Tizio ed il fratello Caio (dunque due coeredi che rivestono la parallela veste di legittimari). Salvo che il
de cuius non avesse dispensato il donatario dalla collazione ai sensi dell'art.
737 cod. civ., Tizio dovrà conferire tutto ciò che ha ricevuto dal defunto per donazione direttamente o indirettamente. A sua scelta la collazione potrà essere fatta trasferendo il bene già ricevuto in donazione ovvero imputando alla massa attiva l'intero valore del cespite. Come appare evidente, la collazione non è direttamente funzionale al mantenimento di una presunta parità di posizioni tra i coeredi, quanto piuttosto a determinare l'operatività del principio in base al quale ogni donazione fatta a determinati soggetti vale come anticipazione d'eredità. Quale effetto avrà dunque la dispensa dalla collazione fatta contestualmente alla donazione? Essa avrà quale conseguenza quella di evitare che il conferimento abbia luogo, materialmente o anche contabilmente. Secondariamente si può riferire anche di un effetto incrementativo della porzione del coerede donatario. Costui infatti avrà diritto di ritenere quanto donato, che dovrà essere computato in conto di legittima (Cass. Civ. Sez. II,
4381/82; Cass. Civ. Sez. II,
2633/69). Al fratello spetterà invece l'intero
relictum, di valore pari alla porzione legittima.
In definitiva sembrerebbe che la dispensa dalla collazione abbia quale effetto secondario ed eventuale quello di far conseguire al coerede donatario l'intera disponibile.
Si tratta tuttavia, per l'appunto, di un effetto eventuale che, in quanto tale, non tanto dipende dalla dispensa, quanto autonomamente dal contenuto pratico della disposizione liberale cui la dispensa accede. Si pensi al caso (esempio B) degli stessi fratelli Tizio e Caio, che succedano
ab intestato in via paritetica ai sensi dell'art.
566 cod. civ. (ovvero che siano stati nominati sempre eredi in pari misura dal padre). Tizio ha ricevuto in donazione dal padre immobili per un valore pari a 500 con dispensa dalla collazione. Il
relictum è pari a 1000. Cosa importerà la dispensa dalla collazione? Semplicemente l'effetto primario di escludere che Tizio debba conferire il bene in natura ovvero versare nell'asse il valore in denaro ad esso corrispondente. Per il resto non si assiste ad alcun incremento della quota spettante a Tizio. Infatti
relictum 1000 +
donatum 500 = 1500. Porzione legittima spettante a ciascun figlio 500 (1/3 di 1500), disponibile pari a 500. Tizio imputerà alla propria porzione legittima quanto donatogli con dispensa dalla collazione (500) avendo il diritto di percepire ulteriormente 250 a valere sul
relictum, spettando il residuo valore di 750 al fratello Caio.
Diversamente sarebbe andata qualora il padre avesse dispensato (esempio C) il figlio Tizio non già dalla collazione, quanto dall'imputazione
ex se ai sensi del III comma dell'art.
564 cod. civ.. In questa ipotesi infatti il valore della liberalità sarebbe stato da imputare alla disponibile e, soltanto per l'eventuale supero, alla porzione legittima. Nell'esempio fatto, Tizio avrebbe avuto il diritto di ritenere quanto donato interamente a valere sulla disponibile di pari valore (500), venendo per di più alla successione per l'intera legittima, pari ad un valore di 500, salva la legittima del fratello Caio per le residue 500.
Giova altresì precisare come di per sè non pare che la dispensa dall'imputazione in parola possa sortire l'effetto di escludere la collazione, avendo la prima (a differenza della seconda: cfr.
Cass. Civ. Sez. II, ord. n. 14193/2022) quale mero effetto quello di incrementare la parte di eredità in favore del legittimario. Tizio, dispensato dall'onere di imputare alla propria porzione legittima quanto donato, dovrà dunque conferire nell'asse l'immobile o l'equivalente in denaro, a meno che non sia stato parallelamente dispensato dalla collazione. La cosa non è irrilevante ogniqualvolta il
relictum sia composto da beni in natura e non da liquidità. In quest'ultimo caso infatti la collazione perde rilevanza, essendo per lo più sostituita nella prassi da una partita di giro avente natura compensativa, almeno in tutti i casi in cui il coerede donatario non preferisca conferire l'immobile in natura. Nel primo caso invece non è senza importanza rilevare come il donatario sia tenuto comunque ad effettuare il conferimento, all'esito del quale diventano praticabili le opportune operazioni divisionali.
Ancora più complessa è l'ipotesi in cui alla successione vengano, oltre a coeredi legittimari, anche soggetti estranei. Si faccia l'ipotesi (esempio D) in cui alla successione del padre vengono i figli Tizio, al quale il de cuius aveva donato in vita con dispensa dalla collazione 500, Caio, nonchè l'amico Sempronio, istituito erede per la quota di un terzo. Il
relictum è pari a 1000.
Quid juris? Anzitutto occorre riferire che la porzione disponibile è pari a 500, vale a dire ad un terzo di
relictum (1000) + donatum (500). Tizio dovrà imputare quanto ricevuto per donazione interamente in conto di legittima. Al fratello Caio andrà interamente la quota di legittima pari a 500 e il residuo valore di 500 dovrà essere destinato all'amico Sempronio. Qualora, nell'esempio appena svolto, il disponente avesse dispensato il figlio Tizio non già dalla collazione, bensì dall'imputazione
ex se il risultato sarebbe stato ben diverso: Tizio infatti avrebbe avuto il diritto di imputare quanto ricevuto in donazione all'intera disponibile, mantenendo ovviamente il diritto di conseguire anche la porzione legittima a valere sul
relictum, per un totale di 1000. All'altro figlio Caio spetteranno i residui 500, pari alla quota di riserva, mentre a Sempronio non resterà nulla.
Il nodo di fondo è dunque costituito dall'incidenza della dispensa dalla collazione sull'eventuale supero del valore della donazione rispetto alla porzione legittima. Se è chiaro che in prima battuta il valore della liberalità donativa andrà in conto di legittima, cosa accadrà quando detto valore ecceda la legittima? Se le esemplificazioni che precedono sono corrette, salva anche la possibilità che il testatore faccia revoca del beneficio della dispensa (ciò che appare praticabile, conformemente alla natura della dispensa
nota6 e che pone un ulteriore problema di natura interpretativa), è possibile concludere che la dispensa dalla collazione possa avere quale effetto secondario quello di incrementare la porzione spettante al coerede. Così, in relazione all'esempio che precede sub A) se Tizio è stato dispensato dalla collazione dal padre che gli ha donato 100 e, successivamente, quest'ultimo muore ab intestato lasciando i due figli Tizio e Caio ed un asse ereditario di 50, Tizio conseguirà complessivamente 100 mentre al fratello non andrà altro che la porzione legittima pari a 50 (pari altresì all'intero
relictum).
La dispensa in tal caso avrà, quale effetto ulteriore rispetto a quello di evitare il conferimento materiale di quanto donato, quello di valere ad imputare anzitutto il valore del
donatum in conto di legittima (per 50) e, per il supero, alla disponibile (sia pure nei limiti di questa, nel nostro esempio cioè fino ad esaurirla del tutto).
Note
nota1
Sottolineano queste differenze Casulli, voce Collazione delle donazioni, in N.mo Dig.it., vol. III, 1959, p. 460 e Gazzara, voce Collazione, in Enc.dir., p. 350.
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Il punto non è comunque pacifico, essendosi osservato in dottrina ed in giurisprudenza come l'imputazione prescinda dalla concretezza, risolvendosi in una operazione logica: si veda Cass. Civ. Sez. II,
2163/98 la quale parla di fictio juris; Capozzi, Successioni e donazioni, t.2, Milano, 2002, p.715. Cfr. anche Torrente, Manuale di diritto privato, Milano, 1985, p.1048. Venendo al modo di disporre dell'art.
751 cod. civ. , la norma propone una dinamica che dà ragione dell'equivocità del modo di operare della collazione per imputazione. E' infatti evidente come la collazione del denaro proponga una sorta di circolo tautologico. Imputare il denaro alla massa e poi riprenderlo è operazione giuridicamente antieconomica e questo è il motivo per cui il I comma del riferito articolo prevede che, ogniqualvolta nell'asse vi siano sufficienti liquidità, la collazione si fa semplicemente prelevando una minor somma. La sintesi viene a configurare una sorta di compensazione, degradando la collazione per imputazione ad una mera operazione concettuale priva di materialità, materialità che tuttavia è semplicemente latente, come dimostra il prosieguo della norma. Se infatti i denari non bastano ecco che scatta l'obbligo per il donatario coerede di riversare denaro.
top2nota3
Cfr. Cassisa, Sui rapporti fra la dispensa dalla collazione e la dispensa dalla imputazione ex se, nel diritto successorio, in nota a Cass. Civ. 16 luglio 1969 n. 2633 in Giust.civ., 1970, pp. 926 e ss..
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Mengoni, cit. p. 155, con speciale riferimento alla nota 74, ove viene ripresa una esemplificazione proposta dal Betti. Viene fatto il caso di un soggetto che, morendo, lasci un asse del valore di 250, avendo donato in vita al figlio Tizio 50 senza dispensa alcuna, nominando proprio erede universale l'altro figlio Caio. E' palese che si abbia violazione della legittima toccante a Tizio, porzione riservatagli nella misura di 100 (1/3 di 300). Tizio dovrà in primo luogo imputare ex se, cioè alla porzione legittima quanto ricevuto per donazione (pari a 50), dovendo prendere le residue 50 dal relictum (cioè riducendo la disposizione testamentaria a favore del fratello). Ebbene: in tal caso l'imputazione
ex se assorbirebbe e surrogherebbe la collazione, dal momento che la finalità di essa sarebbe già soddisfatta dalla prima. Dunque Tizio non sarebbe tenuto alla collazione di quanto ricevuto in donazione nei confronti del fratello Caio. Queste conclusioni non possono essere condivise se non a patto di considerare la collazione come posta esclusivamente a presidio di una porzione quantitativa. Se invece si configura l'obbligo ex collazione come reciprocamente a favore ed a carico di ciascuno dei coeredi anche nella propria accezione qualitativa, una volta che il donatario abbia vittoriosamente esperito l'azione di riduzione, ben potrà essere considerato come obbligato a conferire quanto ricevuto in donazione dall'ascendente. Ritenere il contrario (una volta che siasi aderito alla tesi secondo la quale il legittimario pretermesso sia erede in esito al vittorioso esperimento dell'azione di riduzione) in difetto di chiari indici normativi rischia di sostanziarsi in una mera petizione di principio. L'A. prosegue (p.156 e s.) ipotizzando l'eventualità inversa rispetto a quella prospettata per prima: che cioè sia la collazione ad assorbire l'imputazione ex se. Viene fatto il caso del discendente (che per comodità appelleremo Primo) il quale, avendo in precedenza ricevuto una donazione senza alcuna dispensa pari a 150, avente valore superiore alla porzione spettantegli quale riservatario (pari a 100), venga successivamente chiamato all'eredità ( relictum = 150) come semplice legittimario, "avendo il testatore istituito un altro discendente o il coniuge nella disponibile". In questa ipotesi a Caio sarebbe destinata una quota pari a 2/3 dell'asse, essendo Primo obbligato a conferire alla massa quanto donatogli non semplicemente imputandone il valore alla propria quota fino a concorrenza con la stessa, ma concretamente conferendo il bene in natura (se immobile: art.
746 cod. civ.) ovvero per imputazione (cioè riversandone l'equivalente pecuniario). La questione appare tuttavia più che altro nominalistica: dato infatti il modo di operare dell'imputazione
ex se, che si traduce in un semplice calcolo sulla carta, è chiaro che essa non potrebbe se non venire surrogata dalla dinamica della collazione, che invece implica un concreto riversamento o del valore in denaro o del bene in natura.
Non si può invece non concordare con il Mengoni quanto alla erroneità della opposta soluzione che l'A. riferisce esser stata data dalla giurisprudenza (Cass. Civ.,
1521/38 , Cass. Civ.,
1679/48 ), la quale ha negato al discendente istituito nella disponibile il diritto di integrarla mercè la collazione delle donazioni fatte ai fratelli non dispensati. La soluzione, che poteva al più giustificarsi in relazione al modo di disporre dell'art. 1014 cod. civ. del
1865, non può certo accogliersi secondo il diritto vigente.
top4nota5
Cfr. Mengoni, Successione necessaria, in Tratt. dir. civ. e comm., dir. da Cicu e Messineo, Milano, 1984, p. 154. L'A. rileva come, sotto il vigore del codice civile del 1865, si fosse sostenuto che la dispensa dalla collazione potesse valere anche come dispensa dall'imputazione alla legittima, con la conseguenza di portare la donazione dispensata a valere sulla porzione disponibile. Già tuttavia il previgente art.1026 cod.civ. del 1865 disciplinava l'imputazione alla porzione legittima in maniera autonoma rispetto alla collazione. Il II comma dell'attuale art.
564 cod. civ. è in questa direzione ancora più chiaro, essendo stato eliminato nella norma ogni riferimento all'istituto della collazione. Ne segue che la dispensa dalla collazione non possa attualmente valere ad "esonerare il legittimario dall'imputazione della liberalità alla sua porzione legittima; e viceversa, la dispensa (espressa) dall'imputazione non implica di per sè sola dispensa dalla collazione" (Mengoni, cit. pp.154 e 155).
top5nota6
La quale è qualificabile, secondo l'opinione preferibile (De Michel, Il fondamento della collazione e la dispensa di cui all'art.737 c.c., in Giur. it., 1996, vol. I, p. 273), come atto a causa di morte, sia pure eccezionalmente veicolabile da un negozio inter vivos come la donazione.
top6Bibliografia
- CASSISA, Sui rapporti fra la dispensa dalla collazione e la dispensa, Giust.civ., 1970
- CASULLI, Collazione delle donazioni, N.mo Dig.it.
- DE MICHEL, Il fondamento della collazione, Giur. it., I, 1996
- GAZZARA, Collazione, Enc. dir.
- MENGONI, Successioni per causa di morte. Successione necessaria,, Milano, Trattato Cicu-Messineo, 1984