Differenze tra nullità ed annullabilità, rescindibilità, risolubilità, revocabilità e riducibilità




Nullità, annullabilità, risolubilità, rescindibilità, revocabilità, riducibilità sono condizioni giuridiche patologiche contrassegnate da specifiche peculiarità. Può essere utile proporre un quadro sinottico afferente ad alcune delle caratteristiche usualmente riferite a ciascuna delle menzionate patologie.

A) L'ambito delle citate impugnative si palesa anzitutto differente. La nullità concerne potenzialmente ogni atto (negoziale o meno) che presenti gravi difformità rispetto al paradigma legale (assenza di elementi essenziali o vizio dei medesimi, espressa previsione di legge, contrarietà rispetto a norma imperativa). L' annullabilità, che rappresenta la conseguenza di alterazioni meno gravi, ha parimenti a che fare con atti giuridici di segno assolutamente vario (contratto, matrimonio, testamento, deliberazioni assembleari). Risolubilità e rescindibilità hanno invece a che fare con un ambito assai più ristretto, vale a dire unicamente con i contratti a prestazioni corrispettive, nei quali è possibile che si verifichino anomalie genetiche o funzionali del sinallagma. La revocabilità si riferisce agli atti che risultino potenzialmente pregiudizievoli rispetto alle ragioni creditorie di determinate categorie di soggetti. La riduzione è infine un rimedio che si indirizza contro gli atti negoziali a titolo liberale effettuati dal de cuius in vita o nell'ambito del testamento.

B) Quanto alla natura dell'azione, la domanda che tende a far dichiarare la nullità di un atto possiede natura meramente dichiarativa. Al contrario costitutiva si palesa la pronunzia che statuisce nel senso dell' annullamento. Analoga portata possiede la sentenza con la quale viene pronunziata la rescissione e la risoluzione, dato che entrambe sortiscono l'effetto di caducare un contratto per l'innanzi pienamente efficace. Peculiarmente si atteggia la revoca, dal momento che il vittorioso esperimento dell'azione revocatoria di cui all'art. 2901 cod.civ. determina la semplice inefficacia degli effetti del negozio pregiudizievole rispetto al creditore che l'ha promossa, lasciando peraltro integro il contratto. Ancora diverso è il modo di operare della riduzione: essa infatti determina il venir meno della disposizione a titolo di liberalità soltanto nella misura in cui ciò è funzionale alla reintegrazione della porzione legittima con l'esclusione di ogni ulteriore effetto.

C) Quanto alla legittimazione attiva ad intraprendere l'iniziativa afferente ai rimedi in parola, chiarito il concetto in forza del quale la assolutezza dell'azione di nullità deve comunque fare i conti con il principio dell'interesse ad agire di cui all'art. 112  cod.proc.civ., si può rammentare che l' azione di annullamento è essenzialmente relativa, come d'altronde quelle intese a far valere rescissione e risoluzione. Addirittura banale è riferire la stesso concetto per l'azione revocatoria e per quella di riduzione. Il principio cardine appare pur sempre quello dell'interesse ad agire, che si modella in relazione alla situazione giuridica soggettiva dell'attore. E' chiaro che in riduzione può soltanto agire un soggetto che rivesta la qualità di legittimario, che la revocatoria può essere esperita solo da un creditore di chi ha posto in essere l'atto pregiudizievole.

D) Varie considerazioni possono svolgersi per quanto attiene alla sanabilità dell'alterazione patologica dell'atto. Ordinariamente si fa menzione dell' insanabilità della nullità (principio che, come è verificabile in sede di disamina specifica di tale aspetto, tollera non poche eccezioni), in opposizione alla convalidabilità dell'atto annullabile. Per quanto attiene al contratto rescindibile è invece possibile far riferimento all' offerta di modificazione del contratto, ciò che comunque si traduce in un recupero della fattispecie viziata. Parimenti ipotizzabili sono le modalità negoziali intese a sanare la situazione determinata dal contratto risolubile (cfr. l'art.1467  cod.civ. sull'offerta di modifica delle condizioni del contratto) ed anche dell'atto di disposizione che abbia ecceduto i limiti della quota di riserva dell'erede leso o pretermesso. In quest'ultima ipotesi occorre tuttavia fare avvertenza che l'attività intesa ad escludere l'impugnativa è posta in essere non già dal soggetto che ebbe a perfezionare l'atto rivelatosi lesivo (il quale, per definizione, più non è in vita), bensì da colui che ha tratto profitto dall'atto di liberalità rivelatosi successivamente eccedente la porzione legittima (si pensi all'atto negoziale con il quale venga trasferita una porzione immobiliare al legittimario leso, bene di valore idoneo a ripristinare la quota alla quale costui aveva diritto).

E) Salvo che per la nullità (in relazione alla quale comunque il principio merita di essere meglio precisato, relativamente alla considerazione dei petita introdotti dalle parti come temi di decisione sottoposti al giudicante) è esclusa una attivazione ex officio da parte del Giudice, il quale non può pronunziare l'annullamento, la risoluzione, etc. di un contratto o di un atto in difetto di apposita domanda di parte.

F) Quanto alla retroazione degli effetti della pronunzia , una volta premesso che la sentenza dichiarativa di nullità si palesa per propria natura tale da eliminare in radice gli effetti dell'atto ex tunc, è il caso di sottolineare il variabile atteggiarsi dell'annullamento. Se di norma gli effetti di esso possono essere considerati retroattivamente efficaci anche con riferimento ai terzi (c.d. retroattività "reale"), non è tuttavia escluso un ambito di tutela dei diritti acquistati dai terzi (cfr. gli artt. 1445  e 2652  n.6 cod.civ.). Di retroattività semplicemente "obbligatoria", vale a dire limitata inter partes, si fa menzione per quanto attiene alla risoluzione ed alla rescissione. Notevole è l'efficacia ripristinatoria dell'azione di riduzione, la cui forza si spinge fino al recupero dei cespiti già alienati a titolo liberale anche quando si trovassero presso terzi subacquirenti a titolo oneroso.

G) Infine quanto all'assoggettamento delle impugnative qui in esame alla disciplina della prescrizione , si può concludere che, prescindendo dalla imprescrittibilità dell'azione di nullità, le altre impugnative sono tutte sottoposte a termini trascorsi i quali non è più possibile contestare l'atto. Per l'azione di annullamento si parla di cinque anni a far tempo dal compimento dell'atto (spesso tuttavia essendo previsti differenti termini con riferimento al matrimonio, alla materia societaria, etc.). Parimenti in un quinquennio si prescrive l'azione revocatoria ordinaria. Termine decennale (il cui dies a quo deve essere tuttavia individuato a far tempo dalla morte del disponente) vale invece per l'azione di riduzione. Un termine soltanto annuale vale invece per l'azione di rescissione.

 

 

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