Testamento e intervento del cieco e/o del sordo. (Cass. Civ., Sez. VI-II, ord. n. 7784 del 10 aprile 2020)

Le formalità previste dall'art. 56 della legge notarile implicano che chi interviene all'atto sia interamente privo dell'udito. Una grave difficoltà di udito non legittima il ricorso alle cautele apprestate dalla norma, ma comporta che il notaio o la persona di fiducia diano lettura a voce tanto alta che il soggetto possa sentire.
La legge notarile, poi, non disciplina l'intervento nell'atto pubblico del comparente cieco. L'attività negoziale del cieco è invece disciplinata dalla L. 3 febbraio 1975, n. 18 e si richiede la presenza dei testimoni "qualora anche una sola delle parti non sappia o non possa leggere e scrivere", laddove, nella specie, non si mette in discussione che il donante sapesse leggere e scrivere e che abbia firmato l'atto. In ogni caso, trattandosi di donazione, la presenza dei testimoni è richiesta in via generale dell'art. 48 della legge notarile.

Commento

(di Daniele Minussi)
La pronunzia assume in esame le due distinte disabilità consistenti la prima nella sordità, la seconda nella cecità. Quanto alla prima non si può parlare di non udente (con la possibilità di applicare la disciplina di cui all'art. 56 l.n.) quando il soggetto sia semplicemente affetto da ipoacusia. In tale caso infatti si tratta semplicemente di alzare il volume sonoro fino al livello adeguato alla percezione. Naturalmente occorre fare attenzione alla "riserva mentale" di chi, invocando di non aver ben sentito, in effetti intende mascherare un difetto di volontà in relazione all'atto negoziale da porre in essere.
Quanto alla cecità, ancora una volta da ribadire come la legge 1975 n.18 non abbia a che fare con l'attività notarile: i testimoni di cui alla riferita disposizione nulla hanno a che fare con i testimoni previsti da quest'ultima.

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