Revoca della rinunzia all'eredità. Profilo effettuale. (Cass. Civ., Sez. II, sent. n. 29146 del 6 ottobre 2022)

Il chiamato all'eredità, che vi abbia inizialmente rinunciato, può, ex art. 525 cod.civ., successivamente accettarla (in tal modo revocando implicitamente la precedente rinuncia) in forza dell'originaria delazione e sempre che questa non sia venuta meno in conseguenza dell'acquisto compiuto da altro chiamato. Il venir meno della delazione si verifica certamente quando, in presenza di una chiamata congiuntiva, almeno uno dei chiamati in concorso con il rinunziante abbia accettato l'eredità. In questo caso, infatti, la quota che sarebbe stata devoluta al rinunziante si accresce automaticamente alle quote dei chiamati congiuntamente con lui e la rinunzia del primo diventa irrevocabile (art. 525 cod. civ.). Questo effetto di spiega perché, in ipotesi di chiamata congiuntiva, la quota di chi abbia accettato è potenzialmente estesa a tutta l'eredità. Tuttavia, non sempre alla vacanza della quota si determinano i presupposti perché possa operare l'istituto dell'accrescimento, perché un ulteriore limite all'efficacia di quest'ultimo è dato dall'eventuale ricorrenza dei presupposti per l'applicabilità dell'istituto della rappresentazione, che prevale sull'accrescimento (art. 674, ultimo comma, cod. civ., art. 522 cod. civ. che fanno salvo il diritto di rappresentazione). Quando ricorrono i presupposti della rappresentazione, il diritto di accrescimento rimane subordinato al fatto che il rappresentante non voglia o non possa accettare, e sempre che non vi siano ulteriori discendenti: la rappresentazione opera in infinito (art. 469 cod.civ.). Solo in questo caso verrà meno l'ordine di prevalenza stabilito dalla legge e l'accrescimento conseguirà la sua integrale realizzazione. Fino a quel momento, secondo il comune modo di vedere, si determina un periodo di coesistenza del diritto di accettazione a favore tanto del chiamato rinunziante quanto dei successivi chiamati, con relativa persistenza quindi della delazione del rinunziante accanto a quella del chiamato ulteriore.
A sua volta l'acquisto dell'eredità da parte dei chiamati per rappresentazione non opera automaticamente, per effetto della sola delazione determinata dalla rinunzia dell'ascendente, ma richiede che il rappresentante acquisti l'eredità per accettazione espressa o tacita o per il verificarsi delle fattispecie di cui rispettivamente agli art. 485, ultimo comma, e 527 cod.civ. Come di regola, l'accettazione, salvo abbreviazione del termine ai sensi dell'art. 481 cod.civ., può avvenire nell'ordinario termine di prescrizione decennale.

Commento

(di Daniele Minussi)
Come è noto la c.d. revoca della rinunzia all'eredità non tanto è qualificabile come "revoca" in senso proprio, quanto di una accettazione tardiva, come tale possibile soltanto fino a che la delazione possa dirsi permanere in capo al "rinunziante". Poichè la rappresentazione prevale sull'accrescimento (che si produce automaticamente nell'ipotesi di chiamata congiuntiva) quando avesse ad operare la prima, invece, occorrerebbe riscontrare un'accettazione del rappresentante affinchè la delazione in capo al rinunziante potesse essere considerata come venuta meno. Ne discende che, in difetto di accettazione (sia espressa, sia tacita, sia presunta) da parte del rappresentato si verifica una situazione di contemporanea esistenza della delazione ereditaria sia in capo al rappresentante, sia in capo al rappresentato rinunziante che consente a quest'ultimo di poter efficacemente porre in essere una accettazione tardiva ex art. 525 cod.civ..

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