Il trasferimento del marchio è disciplinato dall'art.
2573 cod. civ. nonchè dall'art.
23 del D. Lgs. 30/05, che sostanzialmente riproduce il previgente art.
15 D. Lgs. 480/92
nota1.
La cessione del segno distintivo può intervenire
per la totalità o per una parte dei prodotti o servizi per i quali è stato registrato. Il marchio può inoltre essere oggetto di
licenza d'uso (anche non esclusiva) per la totalità o per parte dei prodotti o dei servizi per i quali è stato registrato e per la totalità o per parte del territorio dello Stato, a condizione che, in caso di licenza non esclusiva, il licenziatario si obblighi espressamente ad usare il marchio per contraddistinguere prodotti o servizi eguali a quelli corrispondenti messi in commercio o prestati nel territorio dello Stato con lo stesso marchio dal titolare o da altri licenziatari. Quando il marchio risulti essere di proprietà di più soggetti, rinvengono applicazione le norme in tema di comunione ordinaria (con speciale riferimento all'art.
1108 cod.civ.: cfr.
Cass. Civ. Sez. I, sent. n. 10637/2024).
Ai sensi del III comma dell'art.
23 D. Lgs. 30/05 il titolare del marchio d'impresa può far valere il diritto all'uso esclusivo del marchio stesso contro il licenziatario che violi le disposizioni del contratto di licenza relativamente alla durata; al modo di utilizzazione del marchio, alla natura dei prodotti o servizi per i quali la licenza è concessa, al territorio in cui il marchio può essere usato o alla qualità dei prodotti fabbricati e dei servizi prestati dal licenziatario.
Si può dunque versare in una situazione assimilabile a quella di una contitolarità di uno stesso marchio fra due imprenditori diversi, il che mal si concilia con la funzione precipua del marchio, che è quella di indicatore di origine. In effetti la funzione del marchio in chiave di indicatore della provenienza deve essere ridimensionata.
Di notevole importanza è il IV comma della norma in esame, volta ad escludere un utilizzo decettivo del segno distintivo. In ogni caso, dal trasferimento e dalla licenza del marchio non deve infatti derivare inganno in quei caratteri dei prodotti o servizi che sono essenziali nell'apprezzamento del pubblico
nota2.
Per quanto attiene alla
forma dell'atto di cessione, si tratta di un contratto alieno da particolari prescrizioni: potrebbe dunque essere stipulato tanto per iscritto quanto per facta concludentia
nota3. Sotto il profilo probatorio l'avvenuta cessione può essere provata tra le parti con qualsiasi mezzo, ma di fatto la forma scritta si rende necessaria nella maggior parte dei casi, sia per il dettato dell'art.
2556 cod. civ. che richiede la forma scritta ad probationem per il trasferimento dell'azienda, sia anche in relazione ai limiti posti dagli artt.
2721 e ss. cod. civ. per quanto attiene alla possibilità di dare ingresso alla prova testimoniale in materia di contratti.
Di fronte a terzi, il contratto può invece essere provato in qualsiasi modo.
Nel caso sia stato stipulato in precedenza un atto di trasferimento privo delle necessarie precisazioni in relazione agli estremi di tutti i marchi che le parti hanno effettivamente voluto trasferire, i contraenti possono ricorrere alla stesura separata di un atto ricognitivo della cessione del marchio.
Allo stesso tipo di atto, le parti potrebbero affidare la conferma del trasferimento del marchio avvenuto precedentemente, mediante compravendita, fusione o conferimento.
Per quanto attiene alla trascrizione del contratto di cessione sul Registro dei marchi d'impresa, tale forma di pubblicità possiede caratteristiche analoghe a quelle della trascrizione immobiliare: non possiede effetti costitutivi e non incide sulla validità del trasferimento del diritto, attuando una forma di pubblicità dichiarativa a tutela della buona fede e dei diritti dei terzi, con la funzione legale di assicurare la priorità del diritto acquistato e trascritto nel caso di conflitto tra successivi acquirenti
nota4.
Note
nota1
Anteriormente alla modificazione dell'art.
2573 cod. civ. per effetto del D. Lgs.
480/92 ( attualmente abrogato dal D.Lgs. 30/05) al trasferimento del marchio separatamente dall'azienda era addirittura ritenuto nullo per contrarietà a norme imperative (Cass. Civ. Sez. Lavoro,
6656/95 ). L'art.
15 del detto D. Lgs. 480/92 ebbe poi a
prevedere addirittura che il marchio potesse essere validamente ceduto, anche in carenza del relativo ramo aziendale, purchè, dalla cessione del marchio tout court, non derivasse inganno per il consumatore in quei caratteri dei prodotti o servizi che sono essenziali nell'apprezzamento del pubblico. La detta normativa liberalizzava la cessione, privandola dell'onere insito nella necessità del trasferimento del ramo aziendale relativo al marchio.
D'altronde la consistenza del ramo d'azienda si era ridotta ad una mera finzione. In pratica il requisito della contestuale cessione del ramo aziendale era divenuto poco più di una clausola di stile apposta nei contratti, giungendosi a configurare una consistenza più o meno fittizia di presunti rami di azienda al fine di potere, unitamente ad essi, procedersi alla cessione del marchio.Si veda, tra gli altri, Zorzi, La circolazione dei segni distintivi, Padova, 1994, pp. 95 e ss..
top1nota2
Cfr., sia pure in relazione all'abrogato art.
15 D. Lgs. 480/92, Vanzetti-Di Cataldo, Manuale di diritto industriale, Milano, 1996, p. 219.
top2nota3
Mangini, in Comm. cod. civ., dir. da Cendon, libro V, p. 1444.
top3nota4
Vanzetti-Di Cataldo, op. cit., p. 224 e Campobasso, Diritto commerciale, vol. I, Torino, 1997, p. 190, i quali ribadiscono come la trascrizione dell'atto di trasferimento del marchio condizioni solo l'opponibilità del trasferimento ai terzi, non la validità e l'esistenza dell'atto.
top4Bibliografia
- CAMPOBASSO, Diritto commerciale, Torino, I, 1997
- MANGINI, Comm.cod.civ.dir.da Cendon, V
- VANZETTI-DI CATALDO, Manuale di diritto industriale, Milano, 1996
- ZORZI, La circolazione dei segni distintivi, Padova, 1994