La distinzione tra società in accomandita semplice e l'associazione in partecipazione (art.
2549 cod. civ. ) è, in linea teorica, perspicua. Poiché con il contratto di associazione in partecipazione viene attribuito all'associato, verso il corrispettivo di un determinato apporto, una partecipazione agli utili d'impresa o di uno o più affari,
è chiaro come difetti, nella fattispecie, la comunanza dell'impresa. Questo elemento è infatti presente nell'accomandita, la quale pur sempre rappresenta una modalità, ancorché peculiare, di un'impresa collettiva.
Quando dalle enunciazioni teoriche si passi alle pratiche applicazioni la distinzione si fa tuttavia assai meno netta. Prescindendo dall'evidenziare gli elementi che accomunano le due figure (si pensi alla nozione di
apporto, assai prossima a quella del
conferimento dell'accomandante, la cui responsabilità è limitata alla perdita di quest'ultimo, al fatto dell'eventuale attribuzione all'associato in partecipazione di
poteri di controllo, analogamente a quanto previsto dalla legge per l'accomandante), è talvolta possibile che all'associato siano conferiti poteri per porre in essere atti pertinenti all'esercizio dell'impresa (analogamente a quanto risulta possibile per l'accomandante, ancorchè in forza di speciale procura: cfr. l'art.
2320 cod. civ. ). Quale rilevanza possiede la differenza tra la posizione dell'associato in partecipazione e quella del socio accomandante? E' stato rilevato come nella prima ipotesi i creditori particolari dell'associato non vanterebbero alcun diritto relativamente a quanto oggetto dell'apporto. Su quest'ultimo potrebbero soddisfarsi unicamente i creditori dell'associante che concorrerebbero con i creditori dell'impresa
nota1.
Breve disamina merita anche un
paragone tra accomandita e società semplice. Prescindendo dal rilievo in base al quale un'attività commerciale può essere svolta solamente dalla prima, anche in quest'ultima infatti è possibile configurare una duplice posizione dei soci. Si pensi al caso in cui per
uno o più degli stessi sia stata convenuta la limitazione della responsabilità (che nella società semplice ben può essere opposta anche esternamente: cfr. l'art.
2267 cod. civ. ). Pur considerando tale aspetto, notevoli tuttavia sono le differenze tra la posizione dell'accomandante e quella del socio limitatamente responsabile di una società semplice. La nomina e la revoca degli amministratori in quest'ultima deve infatti intervenire all'unanimità, mentre nell'accomandita è necessario che all'espressione dell'unanime volontà degli accomandatari si aggiunga l'espressione della maggioranza degli accomandanti computata in base al capitale (art.
2319 cod. civ.). La quota dell'accomandante è inoltre liberamente trasmissibile mortis causa e può essere ceduta inter vivos con il consenso della maggioranza del capitale (art.
2322 cod. civ. ). Non altrettanto si può dire per la partecipazione di qualunque socio della società semplice, il cui trasferimento implica, salvo patto contrario, una modificazione dei patti sociali che richiede l'unanimità (art.
2252 cod. civ. ). La morte del socio attiva inoltre la dinamica di cui all'art.
2284 cod. civ.
nota2.
Note
nota1
Cfr. Di Sabato, Manuale delle società, Torino, 1987, p. 182.
top1nota2
Cfr. Di Sabato, op. cit., p. 180.
top2Bibliografia
- DI SABATO, Manuale delle società, Torino, 1987