L'aspetto relativo alla responsabilità patrimoniale dell'impresa sociale era disciplinato dall'
art.6 D.Lgs. 24 marzo 2006, n.155. La norma si apriva facendo salva la disciplina delle diverse forme di società che possono sostanziare l'impresa sociale, siccome prevista dal V Libro del codice civile. Il riferimento fatto dalla norma era abbastanza ambiguo: il rinvio letterale al tema della responsabilità limitata non faceva intendere se il recepimento del regime codicistico fosse esteso anche alle società a base personale, come tali contrassegnate da un regime di responsabilità personale dei singoli soci, variamente temperato da regole che mutano in dipendenza del tipo sociale adottato.
Ciò premesso, l'
art.6 disponeva che
nelle organizzazioni che esercitano un'impresa sociale il cui patrimonio sia superiore a ventimila euro, a far tempo dalla iscrizione nella apposita sezione del registro delle imprese, delle obbligazioni assunte risponde soltanto l'organizzazione con il suo patrimonio. L'interrogativo (al quale pareva doversi dare risposta negativa, dal momento che
la consistenza minima di un "patrimonio" superiore a Euro 20.000 si sarebbe posta come assorbente rispetto ad ogni profilo di responsabilità personale dei soci.) non ha più modo di porsi, dal momento che la norma, all'esito dell'abrogazione integrale della norma per effetto dell'entrata in vigore del d.lgs. 2017 n.112, non è più stata replicata. Deve pertanto ritenersi come valgano integralmente le norme previste dalla legge per la specifica figura di ente che riveste la qualità di impresa sociale (nota1).
nota1
Due erano gli elementi di spicco. Anzitutto
la norma faceva riferimento alla consistenza del "patrimonio" e non ad una determinata misura del "capitale sociale". Ne risultavano sconvolte le usuali categorie giuridiche, alla stregua delle quali il capitale sociale è la misura del patrimonio che si palesa indisponibile, a presidio ed a tutela dei creditori dell'ente sociale. In secondo luogo la limitazione della responsabilità patrimoniale personale dei singoli soci (o associati) scattava dal momento in cui l'ente fosse stato iscritto nell'apposita sezione del Registro delle Imprese.
La formalità pubblicitaria possiede dunque l'effetto di determinare l'autonomia patrimoniale.Che il parlare di "patrimonio" e non di "capitale" fosse frutto di un semplice equivoco è impressione che veniva tosto smentita dal prosieguo della norma in esame. Il II comma della stessa conteneva una precisazione:
"quando risulta che, in conseguenza di perdite, il patrimonio è diminuito di oltre un terzo rispetto all'importo" di euro 20.000 predetto "delle obbligazioni assunte rispondono personalmente e solidalmente anche coloro che hanno agito in nome e per conto dell'impresa." Tale disposizione non si applicava agli enti ecclesiastici o confessionali. Dunque l'insufficienza del "patrimonio" (e non del capitale!) rispetto alla misura "minima" fa scattare una regola che ricalcava quella dettata per le associazioni non riconosciute dall'
art.38 cod.civ.. Responsabili delle obbligazioni sociale sarebbero stati allora coloro che abbiamo concretamente agito spendendo il nome dell'impresa sociale, anche se per avventura non rivestenti alcuna carica sociale effettiva. Assai opportunamente, va detto, la tormentata norma non è stata riproposta per effetto della risistemazione operata con d.lgs 2017/112.