Ai sensi dell'
art.1879 cod.civ.
il debitore, salvo patto contrario, non può liberarsi dal pagamento della rendita stessa offrendo il rimborso del capitale, anche se rinuncia alla ripetizione delle annualità pagate. Prosegue il II° comma della norma in esame stabilendo, sempre a proposito del debitore, che il medesimo "è tenuto a pagare la rendita per tutto il tempo per il quale è stata costituita, per quanto gravosa sia divenuta la sua prestazione".
La regola costituisce un punto di fondamentale divergenza rispetto alla disciplina della rendita perpetua. In quest'ultimo caso infatti, alla durata tendenzialmente infinita del vincolo si affianca il diritto potestativo del riscatto volontario, configurato dalla legge come non rinunziabile, se non entro limiti ben determinati (cfr. il I° comma dell'art.
1865 cod.civ. )
nota1.
Il tenore letterale della disposizione di cui all'art.
1879 cod.civ. appare polisenso e sembrerebbe contradditorio: in rubrica compare il termine riscatto (che si esegue mediante la corresponsione di una somma risultante dalla capitalizzazione della rendita annua sulla base dell'interesse legale: cfr.
art.1866 cod.civ.), mentre nel testo si fa riferimento ad un rimborso del capitale oltre all'eventuale rinunzia a riottenere quanto già pagato periodicamente a titolo di rendita. Come è palese questa modalità avrebbe piuttosto a che fare con
un'ipotesi di recesso o di risoluzione per mutuo consenso, dal momento che non già viene capitalizzata la rendita, bensì effettuata la ripetizione del capitale necessario in fase di perfezionamento del contratto. Non si può tuttavia negare che il legislatore abbia inteso porre un parallelismo, in materia di riscatto delle rendite, tra rendita perpetua e rendita vitalizia.
Probabilmente la norma deve essere intesa nel senso che per il debitore, se non viene espressamente pattuito, non sia praticabile nè il recesso nè il riscatto (quest'ultimo con le modalità proprie)
nota2. Questa opinione pare avvalorata dalla considerazione dell'ultima parte della disposizione in esame, la quale vale parimenti ad impedire che il contratto possa venire sciolto per
eccessiva onerosità sopravvenuta, rimedio pertanto inapplicabile alla rendita vitalizia.
Quale significato ha il riferimento contenuto nel I° comma dell'art.
1879 cod.civ. alla possibilità che le parti si accordino diversamente?
Sembra che la legge ammetta in proposito una ampia derogabilità del divieto: sarebbe perciò consentito prevedere pattiziamente tanto un diritto di recesso per il debitore quanto la previsione contrattuale del diritto di riscatto
nota3 .
Note
nota1
Sottolinea la distinzione che la norma pone tra le due forme di rendita: Lener, Il rapporto di rendita perpetua, Milano, 1967, p.314.
top1nota2
V'è in dottrina chi ha rilevato come sarebbe impossibile ragguagliare la rendita ad una somma capitale, data l'aleatoria durata della vita del vitaliziato. La capitalizzazione della rendita secondo le tabelle attuariali basate sulla durata statistica della vita umana farebbe perdere la natura aleatoria del contratto, alterandone l'elemento causale: in questo senso Lener, Vitalizio, in N.sso Dig. It., vol.XX, 1975, p.1028.
top2nota3
In questo senso anche Lanzio e Maiorca, in Comm.cod.civ., dir. da Cendon, vol.IV, Torino, 1999, p.1623, mentre altra parte della dottrina (Luminoso, I contratti tipici ed atipici, in Trattato di dir. priv., a cura di Iudica e Zatti, Milano, 1995, p.354) ritiene che la deroga prevista dalla norma consentirebbe solo uno speciale potere risolutorio a favore del debitore (non ricollegabile neppure al recesso), escludendo la configurabilità pattizia del diritto di riscatto.
top3Bibliografia
- LANZIO MAIORCA, Torino, Comm.cod.civ.dir.da Cendon, IV, 1999
- LENER, Il rapporto di rendita perpetua, Milano, 1967
- LENER, Vitalizio, NDI
- LUMINOSO, I contratti tipici e atipici, Milano, Tratt.dir.priv.dir.da Iudica e Zatti, 1995