La formazione della volontà che si perfeziona per il tramite di una deliberazione collegiale è ritenuta propria dell'organo che si articola nell'ambito di una struttura riconducibile ad un ente dotato di personalità giuridica.
E' in linea generale utilizzabile il principio della collegialità nell'ambito delle società a base personale?
Se da un lato non v'è più alcun dubbio circa la piena soggettività giuridica delle società di persone, è tuttavia appena il caso di rilevare che esse risultano, al contrario delle società di capitali, sprovviste di personalità giuridica
nota1 .
Il consenso di tutti i soci viene espressamente richiesto dal codice civile ai fini di consentire le modificazioni dell'atto costitutivo (art.
2252 cod. civ. ). All'opposto
il principio maggioritario viene previsto ai fini della risoluzione dei conflitti tra coloro che hanno poteri di amministrazione, nell'ipotesi in cui l'amministrazione sia affidata ai soci in via fra loro disgiunta. L'art.
2257 cod. civ. prescrive a questo proposito che, in relazione al conflitto, prevale la maggioranza dei soci secondo la parte attribuita a ciascun socio negli utili.
Relativamente all'esclusione di uno dei soci, l'art.
2287 cod. civ. prescrive che
il provvedimento possa essere assunto in forza della deliberazione approvata dalla maggioranza dei soci, non computandosi nel numero di questi il socio da escludere. Questa volta la maggioranza non è computata in base alla partecipazione agli utili (e nemmeno per quella della quota), ma sul semplice numero delle teste.
A questo punto sembra evidente che,
accanto alla regola dell'unanimità, si ponga un ulteriore principio, quello cioè della formazione della volontà dei soci secondo il metodo maggioritario (senza che ciò implichi l'esistenza di un organo assembleare: Cass. Civ. Sez. III,
196/73 )
per l'assunzione delle decisioni che attengono al funzionamento della società. Non sembra giustificato ritenere che i due enunciati principi rispondano a logiche assolutamente divergenti: l'art.
2252 cod. civ. concerne l'ipotesi del mutamento degli originari patti sociali e dunque, stante la natura personale della base sociale, non può che essere improntato alla logica dell'unanimità. Le norme ispirate al principio della deliberazione a maggioranza esprimono invece l'esigenza che, allo scopo di gestire la compagine sociale, le decisioni siano assunte secondo criteri di maggiore snellezza.
Svolte queste premesse, ci si interroga
se possa utilizzarsi il metodo collegiale (che postula l'esistenza di un organo assembleare) per quanto attiene alla gestione della società in linea generale, non già per le sole ipotesi contemplate espressamente dalla legge.Le società di persone non possono dirsi, a rigore, connotate al proprio interno da un'articolazione organica, la quale è piuttosto propria delle società di capitali. Il codice civile non contiene alcuna norma che autorizza l'interprete a ritenere configurabile, all'interno delle società di persone, un'assemblea come organo deliberante permanente. Né tra l'amministratore e la società si può dire sussistente un nesso di immedesimazione organica (cfr. Cass. Civ. Sez. I,
1116/66 ).
La giurisprudenza sul punto appare orientata a ritenere che sia sufficiente, ai fini della formazione della volontà sociale, che il consenso dei soci si raccolga in via progressiva, anche separatamente, senza che si faccia ricorso alla convocazione ed alle formalità proprie di un'assemblea (Tribunale di Napoli,
07/10/1986 ; Cass. Civ. Sez. I,
1977/73 ).
Ciò non esclude tuttavia che sia vietato ai soci fare ricorso al metodo assembleare (cfr. Cass. Civ. Sez. I,
8276/02 ).
Giova rilevare che la formazione della volontà sociale per il tramite di organo assembleare
vale ad escludere la possibilità che le decisioni vengono assunte sia pure dalla maggioranza, ma al di fuori di ogni controllo o conoscenza da parte dell'eventuale minoranza dissenziente. Qualora fosse sufficiente il consenso della maggioranza dei soci ai fini della assunzione della decisione, basterebbe che, anche all'insaputa della minoranza dei soci, gli altri adottassero la decisione ai fini della operatività della stessa all'esterno.
La dottrina è sul punto assolutamente divisa: ad una visione tradizionale che per l'appunto fa leva sul difetto di personalità giuridica delle società a base personale
nota2, si è da tempo opposta un'opinione che si fonda sul fatto che il metodo collegiale pare essere intrinsecamente presente in ogni formazione a base associativa, a prescindere dal fatto che sia dotata o meno di personalità giuridica
nota3. Addirittura in tema di comunione ordinaria, la quale costituisce senz'altro figura non solo priva di personalità giuridica ma pure di soggettività, il legislatore ha previsto modalità di determinazione della volontà ispirate al metodo collegiale (cfr. art.
1105 cod. civ. )
nota4. Non può dunque essere negato un fondamento ed una base normativa alla riferita teorica. Parrebbe essere conforme a logica ritenere che, anche nelle società di persone, debba essere rispettato il metodo collegiale, se non altro per le decisioni da assumersi a maggioranza. In tali casi dunque occorrerà preventivamente informare tutti soci, formare una riunione, discutere le problematiche in esame e dar vita ad una consultazione basata sul voto di ciascuno.
Il nodo problematico consiste nella tutela dei diritti di terzi aventi causa dalla società.
In difetto di norme quali gli artt. 2377 e 2391 cod. civ., nell'ambito delle società a base personale non è neppure ipotizzabile una rilevanza esterna del conflitto. Vale a dire che, in ogni caso, al terzo risulterà del tutto inopponibile il vizio interno relativo al procedimento di formazione della volontà della società di persone. Probabilmente il difetto di una previsione normativa generale attinente al modo di formazione delle decisioni da assumersi a maggioranza è proprio un indice di questa indifferenza del fenomeno nei confronti dell'esterno.
Note
nota1
Si veda per es. Bianca, Diritto civile, vol. I, Milano, 1984, p. 380.
top1nota2
Così Ferri, Le società, in Tratt. dir. civ. it., dir. da Vassalli, Torino, 1987, p. 221; Galgano, Le società in genere, in Tratt. dir. civ. e comm., dir. da Cicu- Messineo, Milano, 1982, p. 259 e Ghidini, Società personali, Padova, 1972, p. 379.
top2nota3
In questo senso Di Sabato, Manuale delle società, Torino, 1987, p. 113; Graziani, Diritto delle società, Napoli, 1962, p. 123 e Venditti, Collegialità e maggioranza nelle società di persone, Napoli, 1955, p. 84.
top3nota4
Bianca, Diritto civile, vol. VI, Milano, 1999, p. 447.
top4Bibliografia
- BIANCA, Diritto Civile, Milano, VI, 1999
- BIANCA, Diritto civile, Milano, I, 1984
- DI SABATO, Manuale delle società, Torino, 1987
- FERRI, Le società, Torino, Trattato dir.civ.it., 1987
- GALGANO, Le società in genere, le società di persone, Milano, Tratt.dir.civ.e comm. dir. da Cicu e Messineo, 1982
- GHIDINI, Società personali, Padova, 1972
- VENDITTI, Collegialità e maggioranza nelle società di persone, Napoli, 1955
Prassi collegate
- Quesito n. 383-2014/I, Proposta di concordato nelle società di persone