Danni provenienti dalla cosa in custodia: onere della prova. (Cass. Civ., Sez. III, ord. n. 11060 del 24 aprile 2024)

In materia di danni da cose in custodia, il soggetto danneggiato dalla caduta su una grata o caditoia d’acqua, che agisca a norma dell’art. 2051 cod. civ., è solo tenuto a dare la prova che i danni subiti derivano dalla cosa, in relazione alle circostanze del caso concreto, prova che consiste nella dimostrazione del verificarsi dell’evento dannoso e del suo rapporto di causalità con la cosa in custodia, da raggiungersi anche con presunzioni, giacché la prova del danno è di per sé indice della sussistenza di un risultato “anomalo” rispetto alla custodia del bene.

Commento

(di Daniele Minussi)
La pronunzia in commento evoca il tema della natura della peculiare ipotesi della responsabilità per il danno scaturente dalla cosa in capo a colui che ne abbia la custodia (sia esso il proprietario ovvero il detentore titolato). Quando può dirsi che il danno, consistente, nella fattispecie, nelle conseguenze di una caduta su una grata, sia eziologicamente riconducibile a tale manufatto? Non si potrebbe infatti concludere che sia sufficiente la constatazione del coinvolgimento della cosa nella produzione dell'evento lesivo, senza che, parallelamente, non venga indicata una specifica situazione che aggiunga un quid pluris, una qualità "negativa" di tale oggetto che ne accresca i caratteri di pericolosità rispetto a quelli che oggettivamente possiede intrinsecamente. In questo senso si può dire che la caditoia abbia costituito un trabocchetto o un'insidia fonte di un pericolo specifico la cui concretizzazione dispensa il danneggiato da ulteriori oneri probatori.

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