La prova liberatoria del caso fortuito (responsabilità per il danno cagionato da cose in custodia)




E' evidente che, individuando il fulcro della responsabilità nella "colpa nella custodia", provare il caso fortuito significa dare conto del fatto che il danno si è verificato per un evento non prevedibile e non superabile con la diligenza normalmente adeguata in relazione alla natura del cosa. E' così sufficiente, per provare il caso fortuito, dimostrare di aver rispettato tutte le regole cautelari che si imponevano nella gestione di quella determinata cosa. Se, nonostante l'impiego dei mezzi tecnici e l'assunzione di quelle condotte necessarie in relazione alla natura della cosa, il danno si è verificato ugualmente, deve ritenersi provato, quanto meno per presunzione logica, il caso fortuito.

Il caso fortuito consiste in un accadimento imprevedibile ed inevitabile, di per sé sufficiente a produrre l'evento ed estraneo alla sfera di azione del custode. Questo accadimento può consistere nel fatto della natura, nel fatto del terzo o nel fatto dello stesso danneggiato, purché, in questi casi, le condotte del terzo o del danneggiato abbiano costituito la causa esclusiva del danno. Da questo punto di vista, è possibile apprezzare anche la differenza tra l'ipotesi della responsabilità da cose in custodia e la responsabilità per attività pericolose. Mentre nella responsabilità per l'esercizio di attività pericolose, ci si libera da responsabilità con la prova del proprio comportamento (l'adozione di tutte le misure idonee) e si consegue la liberazione anche se le cause del danno restano ignote, invece nell'ipotesi dell'art. 2051 cod. civ. occorre la prova specifica dell'accadimento inevitabile che ha creato, da solo, le condizioni dell'evento dannoso.

Quanto alla prova del caso fortuito, che consente la liberazione della responsabilità, esso può consistere nel fatto del terzo o nella colpa del danneggiato. E' fatto del terzo, ad esempio, il gettare su una scala una buccia di banana. Si ha colpa del danneggiato, quando la caduta nella tromba delle scale dipenda dall'imprudente arrampicamento del danneggiato sulla ringhiera. Non ricorre nè l'una nè l'altra ipotesi, invece, se la caduta nel vano scale dipende dall'assenza, in concreto, del pulsante che accende la luce nei pressi dalla porta d'ingresso (Cass. Civ., Sez. III, 16422/11). In ogni caso, affinché il caso fortuito abbia efficacia totalmente esimente, è necessario che esso abbia avuto efficacia determinante e non già concorrente. Quando, infatti, il caso fortuito concorre con altre condizioni a produrre un evento, esso funziona semplicemente come occasionale elemento rivelatore della pericolosità insita nella cosa. Sul punto, l'orientamento giurisprudenziale è pacifico e sottolinea che la colpa del danneggiato integra gli estremi del caso fortuito solo se costituisca la causa esclusiva dell'evento dannoso (cfr. Cass. Civ. Sez. III, 11264/95). Il concorso di colpa del danneggiato può valere soltanto a diminuire il grado di responsabilità del danneggiante, ai sensi del I comma dell'art. 1227 cod. civ. , che è espressione del principio generale secondo cui non può considerarsi danno risarcibile quello che ciascuno procura a se stesso (cfr. Cass. Civ. Sez. III, 3957/94).

Sennonché, il contenuto della prova liberatoria solitamente richiesta dalla giurisprudenza è assai più gravoso. Nella prassi applicativa, infatti, si ritiene necessaria non già una prova "critica", come una presunzione hominis, bensì una prova "storica" di assenza del nesso di causalità tra la condotta del custode ed il danno: un elemento cioè assolutamente estraneo, tale da interrompere il nesso eziologico tra la custodia ed il danno. Questa più rigorosa concezione della prova liberatoria fa sì, ad esempio, che, nel caso di causa del danno rimasta ignota, la dimostrazione positiva della propria condotta diligente non sia considerata sufficiente per andare esenti dalla responsabilità ex art. 2051 cod. civ. . Ciò determina, ancora, che la non imputabilità del custode costringa comunque quest'ultimo a rispondere del danno causato dalla cosa. Posto che l'atteggiamento dei giudici si è consolidato nell'affermare questa più restrittiva nozione di "caso fortuito", v'è in dottrina chi ha ritenuto che il richiamo alla presunzione iuris tantum di colpa costituisca più un omaggio alla tradizione che non l'affermazione di un principiio giuridico da cui far discendere coerentemente una corrispondenza logica tra "caso fortuito" e "mancanza di colpa".Mentre sul piano teorico si controverte, quindi, della natura oggettiva o soggettiva della responsabilità, sul piano applicativo nei fatti ci si è attestati nelle decisioni concretamente assunte sulle posizioni più rigorose.

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