Commette peculato il notaio che si impossessa in maniera definitiva del denaro versato dal cliente per il pagamento delle imposte. (Cass. Pen., Sez. VI, sent. n. 16786 del 3 maggio 2021)

Il concetto di "atto pubblico", agli effetti della tutela penale, è più ampio di quello delineato dall'art. 2699 cod.civ., rientrandovi non soltanto i documenti redatti dal notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato e destinati ad avere pubblica fede, ma anche quelli formati da quegli stessi soggetti o da altri pubblici ufficiali o pubblici impiegati, nell'esercizio delle loro funzioni istituzionali, per uno scopo diverso da quello di conferire loro pubblica fede, purché aventi l'attitudine ad assumere rilevanza giuridica e/o valore probatorio anche solo interni alla pubblica amministrazione.
Agli effetti penali, rientra nella nozione di repertorio, ai sensi della legge notarile, anche il relativo registro regolarmente formato e conservato in modalità informatica, il quale, al pari di quello cartaceo, costituisce atto pubblico.
In tema di peculato, il possesso qualificato dalla ragione dell'ufficio o del servizio non è solo quello che rientra nella competenza funzionale specifica del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio, ma anche quello che si basa su un rapporto che consenta al soggetto comunque di inserirsi nel maneggio o nella disponibilità della cosa o del denaro altrui, rinvenendo nella pubblica funzione o nel servizio anche la sola occasione per un tale comportamento.
In tema di peculato, l'appropriazione del denaro riscosso per conto di un ente pubblico si realizza non già per effetto del mero ritardo nel versamento, bensì allorquando si realizzi la certa interversione del titolo del possesso.
Il D.lgs. 31 ottobre 1990, n. 347, art. 11, individua nel notaio uno dei soggetti obbligati al pagamento dell’imposta ipotecaria, proprio in quanto soggetto obbligato, altresì, al pagamento di quella di registro e facendo espresso riferimento "agli atti ai quali si riferisce la formalità". La norma crea, in tal modo, un diretto ed immediato collegamento funzionale dell'adempimento fiscale all'attività rogante, quella, cioè, che costituisce il proprium della funzione notarile e la ragione della sua connotazione pubblicistica (come si evince dalle già ricordate norme fondamentali contenute nell'art. 2699 c.c., e nell'art. 1 della legge notarile). È indiscutibile, dunque, che si tratti di somme di cui il notaio acquisisce la disponibilità per ragione del proprio ufficio pubblico e non per una mera prestazione d'opera professionale tra privati. E, una volta che tale disponibilità, materiale e giuridica, con quel vincolo di destinazione, sia stata da lui conseguita, a nulla rileva che, per effetto di una sua scelta consapevole e volontaria, egli non faccia sorgere l'obbligazione tributaria.
Non basta il tardivo versamento dell’imposta sull’atto stipulato a far scattare il peculato a carico del notaio. Il mancato pagamento, infatti, può costituire un indizio ma il reato è configurabile solo quando il professionista si impossessa del denaro destinato all’erario.

Commento

(di Daniele Minussi)
Se viene effettuato il deposito di una somma finalizzata al pagamento di un imposta dovuta a fronte della stipula di un atto, tanto basta per conferire al pubblico ufficiale quella disponibilità di denaro atta a integare eventualmente il reato di peculato. A tal fine tuttavia occorre che si possa dire definitivamente verificata quella interversione del possesso idonea a segnare il definitivo appropriamento della somma da parte del notaio, situazione che non si riscontra nel semplice ritardo nell'esecuzione della prestazione che costituisce il presupposto dell'impiego della somma allo scopo di provvedere al pagamento delle imposte. Questa è la conclusione alla quale è pervenuta la S.C.. Come dire: notaio salvato "in corner" all'ultimo momento.

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