La divisione dell'esecutore testamentario



L'art.706 cod.civ. espressamente prevede la possibilità che il testatore conferisca all'esecutore testamentario l'incarico di procedere alla divisione dei beni dell'asse ereditario tra gli eredi. Ciò all'evidente scopo di evitare che costoro la effettuino di loro iniziativa, con il rischio di controversie e di eventuali liti. L'ipotesi si inquadra nell'ambito dell'eterodeterminazione del contenuto dell'atto divisionale rimessa ad un terzo (tale sia dal punto di vista delle parti dell'atto divisionale, sia rispetto a quello dell'eventuale divisione operata dal testatore a mente dell'art. 734 cod.civ. apri) nota1. Non a caso il I comma dell'art. 706 cod.civ. si riferisce in maniera espressa all'art. 733 cod.civ. , del quale occorre seguire le prescrizioni nota2.

La norma in esame prevede soltanto una condizione in negativo: che cioè l'esecutore incaricato di procedere alla divisione non rivesta la qualità di erede nè di legatario. E' infatti chiaro che, in tale ipotesi, egli sarebbe direttamente interessato all'atto, non potendo assumere quella indispensabile posizione di terzietà che ne deve caratterizzare l'operato.

Ai sensi del II comma dell'art. 706 cod.civ. , prima di procedere alla divisione, l'esecutore deve sentire gli eredi nota3 . Successivamente procederà formando i lotti in relazione alle quote di diritto spettanti a ciascuno. E' chiaro che l'esecutore dovrà seguire le eventuali regole poste dal testatore, facendo uso di equo apprezzamento. Al riguardo l'esecutore non si limita a prospettare un mero progetto di una futura divisione. Egli dovrà piuttosto seguitare formando le porzioni e conseguentemente prevedere l'attribuzione dei beni. Secondo la prevalente opnione si tratterebbe di un vero e proprio atto divisionale avente effetti traslativi, reali e non semplicemente obbligatori nota4.

In proposito è consentito tuttavia nutrire seri dubbi. L'art. 733 cod.civ. che, come detto, è espressamente richiamato dall'art. 706 cod.civ. afferma infatti che la divisione proposta dalla persona designata dal testatore non vincola gli eredi, se l'autorità giudiziaria, su istanza di taluno di essi, la riconosce contraria alla volontà del testatore o manifestamente iniqua. Ciò dovrebbe significare che l'esecutore non pone in essere direttamente un atto divisionale, limitandosi a confezionare una "proposta" ( rectius un progetto) di divisione che possiede per gli eredi una forza vincolante, forza che viene meno soltanto quando venga giudizialmente impugnata con successo per i detti motivi nota5.

Note

nota1

Disputata è la natura giuridica dell'intervento dell'esecutore nella divisione. Quanti inquadrano il fenomeno nell'arbitraggio (art.1349 cod.civ. ) (Mengoni, La divisione testamentaria, Milano, 1950, p.164) poi si dividono circa la portata dell'intervento dell'esecutore. Secondo un'opinione (Forchielli, Della divisione, in Comm.cod.civ., a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1970, p.191), il negozio di divisione sarebbe pur sempre riconducibile al testatore: l'esecutore sarebbe deputato a "riempire" unicamente gli spazi ad esso concessi dal testatore. V'è invece chi (Talamanca, Successioni testamentarie , in Comm.cod.civ., a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1978, p.515) reputa che l'atto divisionale sia da imputare soltanto all'esecutore testamentario. L'intervento del testatore si limiterebbe alla determinazione delle quote ed a conferire all'esecutore l'incarico di provvedere al perfezionamento di un atto negoziale dotato di effetti sul patrimonio altrui. Premesse queste notazioni, occorre invero chiarire come la questione si atteggi variamente caso per caso. Si potrà dare l'eventualità in cui il testatore si limiti, come detto, a stabilire le quote astratte e ad incaricare l'esecutore di procedere alla divisione (che in tal modo diviene fondamentalmente atto dell'esecutore) oppure l'esecutore potrà ricevere il più limitato compito di predisporre un'attività di natura quasi esclusivamente esecutiva e materiale, dovendo per il resto fare riferimento alle determinazioni ed ai criteri precisati dal de cuius.
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nota2

A parere del Mengoni, cit., p.164 il richiamo operebbe soltanto con riferimento al modo di disporre del II comma dell'art. 733 cod.civ. , dal momento che il I comma di quest'ultima norma si riferirebbe in modo necessariamente esclusivo alla divisione eseguita dal testatore. Non pare tuttavia da omettere il caso in cui il testatore, pur avendo incaricato l'esecutore di provvedere alla divisione, gli abbia parallelamente indicato alcuni criteri di massima da seguire.
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nota3

Si ritiene che l'obbligo di sentire gli eredi costituisca un parere obbligatorio, non tuttavia vincolante, la cui mancanza determina l'inefficacia della divisione (Talamanca, cit., p.521).
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nota4

Si tratterebbe in particolare di un negozio ad effetti reali (sul patrimonio altrui, in quanto esplicantesi nei confronti delle sfere giuridiche dei coeredi) previa autorizzazione del testatore: Palazzo, Le successioni, t.2, in Tratt.dir.priv., a cura di Iudica e Zatti, Milano, 2000, p.846.
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nota5

La divisione effettuata dall'esecutore testamentario potrà essere dunque impugnata o ex art.733, II comma o ex art.763 cod.civ., mentre si potrà configurare la nullità della medesima quando l'esecutore abbia accettato dolosamente di comprendere determinati beni nella divisione: Talamanca, cit., p.520.
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Bibliografia

  • MENGONI, La divisione testamentaria, Milano, 1950
  • PALAZZO, Le successioni, Milano, Tratt.dir.priv. cura Iudica e Zatti , II, 2000
  • TALAMANCA, Successioni testamentarie, Bologna - Roma, Comm.cod.civ. a cura di Scialoja e Branca, 1978

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