L’imposta di registro è legata alla registrazione di un atto da parte dell’Ufficio del registro (art. 20, D.P.R. n. 131/1986).
L’imposta di registro è denominata imposta d’atto in quanto per la sua applicazione occorre innanzi tutto identificare esattamente la vera
natura giuridica e gli
effetti giuridici prodotti dall’atto (e non agli effetti economici), indipendentemente dal titolo e dalla forma apparente. Vale a dire che presupposto del tributo è un evento giuridico e non economico e l’imposta si applica esclusivamente in base a ciò che risulta dall’atto (cioè del documento che incorpora l’atto, c.d.
corpus mechanicum) considerato:
- per la sua appartenenza ad un certo tipo contrattuale, ad esempio compravendita, locazione, ecc.;
- per gli effetti giuridici prodotti, ad esempio contratto che formalmente appare come un preliminare di vendita ma in concreto è un contratto definitivo di vendita.
L’Amministrazione finanziaria non può far riferimento a criteri interpretativi extra-testuali, cioè estranei al contenuto dell’atto, ad esempio il comportamento delle parti, gli eventi successivi alla stipulazione, ecc.), salvo che siano idonei a ricostruire la volontà delle parti (art. 1362 cod. civ.).
Pluralità di atti funzionalmente collegati
In tre recenti sentenze n. 14150, n. 15319, 16345 del 2013 la Corte ritorna sulla funzione dell’art. 20 D.P.R. n. 131/1986 secondo cui l’imposta di registro
è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente.
Nella sentenza n. 14150/2013 la Corte conferma il proprio consolidato orientamento
che la prevalenza della natura intrinseca degli atti registrati e dei loro effetti giuridici sul loro titolo e sulla loro forma apparente vincola l’interprete a privilegiare, nell’individuazione della struttura del rapporto giuridico tributario, la sostanza sulla forma; id est, il dato giuridico reale conseguente alla natura intrinseca degli atti e ai loro effetti giuridici, rispetto a ciò che formalmente è enunciato…, e su questo si può convenire.
In buona sostanza, secondo la consolidata opinione della Corte e della dottrina, nell’interpretazione degli atti occorre privilegiare la sostanza (cioè gli effetti del dato giuridico reale) sulla forma ovvero la tassazione deve colpire l’atto giuridico effettivamente realizzato dalle parti, indipendentemente dal nomen iuris o dalla veste formale negoziale adottata
nota1.
A questo primo condivisibile arresto interpretativo, che assegna al citato art. 20 lo scopo di assoggettare ad imposta di registro il risultato (effetto giuridico) effettivamente perseguito dal
singolo atto, indipendentemente dalla veste negoziale adottata, la Corte aggiunge l’ulteriore conclusione che, ai fini dell’imposta di registro, una pluralità di atti funzionalmente collegati va considerata in modo unitario e tassata in conseguenza della
… natura intrinseca degli atti e ai loro effetti giuridici, rispetto a ciò che formalmente è enunciato, anche frazionatamente, in uno o più atti. Con la conseguenza di doversi riferire l’imposizione al risultato di un comportamento sostanzialmente unitario, rispetto ai risultati parziali e strumentali di una molteplicità di comportamenti formali (nella fattispecie decisa: conferimento di azienda in società e successiva cessione delle quote societarie) ed ancora
… ai fini dell’imposta di registro, pur sempre rilevano… gli effetti giuridici finali, ancorché conseguenti alla parcellizzazione dei singoli atti. … Pertanto una pluralità di operazioni societarie e/o di negozi, strutturalmente e funzionalmente collegati al fine di produrre un unico effetto giuridico finale, costituito dal trasferimento della proprietà di beni immobili, vanno considerati, ai fini dell’imposta di registro, come un fenomeno unitario, anche in conformità al principio costituzionale di capacità contributiva.
La Corte assegna, quindi, all’art. 20, D.P.R. n. 131/1986 l’ulteriore compito di privilegiare, non solo la sostanza giuridica sulla forma, ma la
sostanza economica della complessiva operazione che apprezza unitariamente una pluralità di atti e, indipendentemente dagli effetti giuridici dei singoli atti, riferisce
l’imposizione al risultato di un comportamento sostanzialmente unitario, rispetto ai risultati parziali e strumentali di una molteplicità di comportamenti formali.
E tale risultato, raggiunto separando l’atto e i suoi effetti giuridici, suscita non poche critiche per la forte ragione che, nell’ambito dell’imposta di registro, quale imposta d’atto, gli effetti giuridici devono essere tassati in via separata in ragione dei rispettivi effetti giuridici prodotti da ciascun atto
nota2.
Nella fattispecie decisa (
conferimento di azienda in società e successiva cessione delle quote societarie), il conferimento di azienda in società ha come effetto giuridico esclusivamente l’attribuzione al conferente di una quota di partecipazione della conferitaria, mentre la successiva cessione di quote ad un terzo ha come controprestazione il pagamento di un corrispettivo e produce la modifica dell’assetto sociale. I beni oggetto dell’azienda (
rectius l’azienda) non viene trasferita al nuovo socio, ma resta nel patrimonio sociale.
Solo valutando, come fa la Corte, il risultato economico finale delle operazioni e non gli
effetti giuridici di ogni singolo atto (come peraltro testualmente disposto dal citato art. 20, D.P.R. n. 131/1986), può giungersi alla conclusione della sentenza annotata di determinare
l’imposizione al risultato di un comportamento sostanzialmente unitario, rispetto ai risultati parziali e strumentali di una molteplicità di comportamenti formali.
Ma questa conclusione, oltre ad essere contraria alla qualificazione giuridica dell’imposta di registro come imposta d’atto, cioè tributo che colpisce
gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente e che, pertanto, non consente all’Ufficio fiscale di utilizzare elementi extratestuali nell’attività di interpretazione del più volte citato art. 20, D.P.R. n. 131/1986
nota3, si aggiunge l’altra questione che porta l’art. 20 citato nell’ambito della disciplina antielusiva e pone una ulteriore questione.
Elusione nell’imposta di registro
La conclusione raggiunta dalla Corte ripropone un’altra questione che porta a confrontare l’art. 20 citato con la disciplina antielusiva ex art. 37-bis D.P.R. n. 600/1973.
Lo stesso Giudice di legittimità
nota4 separa l’art. 20, D.P.R. n. 131/1986 dall’ambito delle norme antielusive.
A tal riguardo rileva che l’art. 20, secondo cui l’imposta di registro
è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, quand’anche ispirato a finalità genericamente antielusive, non configura una disposizione antielusiva, ma ha riguardo alla intrinseca natura e agli effetti giuridici dell’atto
nota5. Differentemente l’art. 37-bis, D.P.R. n. 600/1973, in relazione a specifiche fattispecie, procede al riscontro alla ricorrenza di circostanze (in particolare: assenza di valide ragioni economiche per la relativa adozione, aggiramento di obblighi o divieti fiscali) che denunziano lo sviamento di forme negoziali dalla propria specifica funzione ed il loro uso distorto al solo fine del conseguimento di un indebito vantaggio fiscale.
In conclusione, la ricorrenza dell’intento elusivo non è, pertanto, essenziale ai fini dell’applicazione dell’art. 20, D.P.R. n. 131/1986
nota6 nota7.
Note
nota1
Cfr. Marongiu, L’elusione nell’imposta di registro tra l’abuso del diritto e l’abuso del potere, in Dir. prat. trib., 2008, I, 1077; Tassani, I confini dell’abuso del diritto ed il caso del conferimento di azienda con successiva cessione delle partecipazioni, in Riv. dir. trib., n. 3/2012 I, 329 e ss.
top1 nota2
Cfr. G. Zizzo in nota a Cass. 5 giugno 2013, n. 14150, Imposta di registro e atti collegati, in Rass. trib. n. 4/2013.
top2nota3
Il conferimento d’azienda, cui faccia seguito la cessione delle partecipazioni, non può essere tassato come cessione di azienda facendo leva sull’art 20 D.P.R. n. 131/1986. Infatti, tale norma regola l’attività di interpretazione dei contratti in funzione del prelievo fiscale e non può essere considerata come clausola generale antielusiva nell’ambito dell’imposta di registro.
D’altra parte, l’operazione sopra descritta nemmeno può essere contestata sulla base dell’abuso del diritto, poiché non può esserci abuso del diritto in una fattispecie che, per volontà legislativa, non può configurare elusione tributaria (Comm. trib. prov. Veneto Treviso, sez. VII, sent. 22 aprile 2009, n. 41).
top3 nota4
Cfr. Cass. 19 giugno 2013, n. 15319.
top4 nota5
Cfr. Cass. n. 10273/2007 e Cass. n. 2713/2002.
top5nota6
Cfr. Cass. n. 9162/2010, n. 11769/2008, n. 2713/2002 e n. 14900/2001.
top6 nota7
Le condizioni prescritte ai fini dell’operatività della previsione dell’art. 37-bis D.P.R. n. 600/1973 e, in particolare, quella attinente all’obbligatorietà del contraddittorio preventivo, non possono ritenersi mutuabili, per l’eterogeneità morfologica e funzionale delle due disposizioni normative, ai fini dell’applicazione dell’art. 20 D.P.R. n. 131/1986 (Cass. 19 giugno 2013, n. 15319).
top7 Bibliografia
- Marongiu, L’elusione nell’imposta di registro tra l’abuso del diritto e l’abuso del potere, in Dir. prat. trib., 2008, I, 1077
- Tassani, I confini dell’abuso del diritto ed il caso del conferimento di azienda con successiva cessione delle partecipazioni, in Riv. dir. trib., n. 3/2012 I, 329 e ss.
- Cfr. G. Zizzo in nota a Cass. 5 giugno 2013, n. 14150, Imposta di registro e atti collegati, in Rass. trib. n. 4/2013.
Voce correlata in diritto civile
Il contratto: definizione