Il registro delle imprese di Milano per l’applicabilità della sospensione feriale dei termini a operazioni di fusione, scissione, trasformazione


{{Il registro delle imprese di Milano per l’applicabilità della sospensione feriale dei termini alle operazioni di fusione, scissione, trasformazione eterogenea e riduzione reale del capitale}}

Con lettera del 27 novembre 2012, indirizzata al Presidente del Consiglio Notarile di Milano (disponibile nell’allegato “ET121204_CCIAA_Milano.pdf”), la locale Camera di Commercio ha reso noto che il Giudice del Registro delle Imprese di Milano ha comunicato che il termine indicato dall'art. 2503 c.c. (opposizione dei creditori all'atto di fusione) va inteso come riferito ad un procedimento di natura contenziosa e che ciò comporta che il termine legge sopra ricordato - seconde le indicazioni fornite dal giudice del registro - sia soggetto alla sospensione feriale dei termini.

Di conseguenza, l'Ufficio del Registro delle Imprese di Milano “terrà quindi necessariamente conto di questo orientamento nell’ambito del procedimento di fusione e in tutte le fattispecie che prevedono termini analoghi (es. scissione, trasformazione eterogenea, riduzione volontaria dei capitale sociale, etc.)” e “Non potranno- quindi essere iscritti gli atti di fusione e gli altri atti sopra ricordati se trasmessi all'Ufficio del Registro delle Imprese prima della scadenza del termini così ricalcolati”.

Si tratta di una presa di posizione molto rilevante in un panorama in cui è controverso se all’opposizione dei creditori sia applicabile la sospensione feriale dei termini, in quanto è discussa la natura dell’opposizione stessa, giudiziale o stragiudiziale.

Secondo un orientamento, infatti, la forma dell’opposizione dovrebbe essere quella della citazione in giudizio, introduttiva di un normale procedimento contenzioso a contraddittorio pieno tra gli opponenti e la società, su cui decide il tribunale (Santagata, La fusione tra società, Napoli, 1964, 337 ss.; Cottino, Diritto commerciale, I, 2, Padova, 1994, 761, s., per il quale la disciplina in esame corrisponde a quella dell’opposizione in tema di riduzione di capitale nelle società di persone e di capitali – artt. 2306 e 2445): ciò coerentemente con l’affermata esigenza di accertamento del pregiudizio derivante ai creditori dalla fusione. In tale prospettiva, l’opposizione integra una particolare impugnativa della precedente delibera di fusione (Di Sabato, Manuale delle società, Torino, 1995, 717; Genovese, L’invalidità dell’atto di fusione, Torino, 1997, 209; dopo la riforma, Cera, Termini per l’attuazione della fusione e per l’opposizione alla stessa, in Società, 2006, 680 ss.; Cacchi Pessani, sub art. 2503, in Trasformazione – Fusione – Scissione, a cura di L.A. Bianchi, in Commentario alla riforma delle società, diretto da P. Marchetti – L.A. Bianchi – M. Notari, Milano, 2006, 718 ss. spec. 770 s.; Miserocchi, La fusione, in AA. VV., Il nuovo ordinamento delle società (Lezioni sulla riforma e modelli statutari), Milano, 2003, 375; da ultimo, Cagnasso, L’opposizione alla fusione: profili sostanziali e procedurali, in Giur. it., 2012, 1355 ss.).

In tal senso sembra orientata l’esigua giurisprudenza sul punto (Trib. Genova, 13 luglio 1992, in Giur. Comm., 1994, II, 719; Trib. Prato, 8 gennaio 1986, in Foro It., 1986, I, 1417; Trib. Milano 27 ottobre 1997, in Società, 1998, 433; Trib. Lamezia Terme 6 marzo 1998, in Giur. comm., 1999, II, 660; Trib. Milano, VIII sez., orientamento 29 novembre 2000, in Riv. soc., 2001, 1021; dopo la riforma del 2003, in senso favorevole all'applicabilità della sospensione feriale, Trib. Brescia 16 gennaio 2006, in Notariato, 2006, 134; Trib. Vicenza, 13 agosto 2007; Giudice del Registro Vicenza, 19 ottobre 2009, in Riv. not., 2010, 478 ss.; Trib. Milano ord. 14 novembre 2011, in Giur. it., 2012, 1351, con nota di Cagnasso, L’opposizione alla fusione: profili sostanziali e procedurali, citata nella lettera della Camera di Commercio di Milano e riprodotta in calce, secondo cui l’opposizione dà luogo ad un giudizio ordinario di cognizione da introdurre con atto di citazione, contra Giudice del Registro Milano, 7 novembre 2004; Trib. Milano 25 febbraio 2005, in Foro It., 2005, I, 2593; Trib. Vicenza, 10 dicembre 2009, in Riv. not., 2010, 478 ss.).

Sotto tale profilo sembrerebbe potersi far riferimento anche alla novità introdotta dalla riforma consistente nella possibilità, in virtù del richiamo all’ultimo comma dell’art. 2445 in tema di riduzione del capitale sociale, per il giudice di disporre che l’operazione abbia luogo nonostante l’opposizione qualora ritenga infondato il pericolo di pregiudizio per i creditori.

Altri (Simonetto, Delle società. Della trasformazione e della fusione, in Comm. Scialoja-Branca, sub artt. 2498-2510, Bologna-Roma, 1965, 163; Ferrara - Corsi, Gli imprenditori e le società, Milano, 1996, 909; Ferri, Le società, in Tratt. Vassalli, Torino, 1987, 989; Campobasso, Diritto commerciale, 2, Diritto delle società, Torino, 2002, 620; Proto Pisani, L’opposizione dei creditori nel nuovo diritto e processo societario, in Foro it., 2004, V, 53; Serra, La trasformazione e la fusione di società, in Tratt. Rescigno, 17, Torino, 1985, 373; Nobili – Spolidoro, La riduzione di capitale, in Tratt. Colombo-Portale, Torino, 1993, 275; più recentemente, Stella Richter Jr., Opposizione dei creditori alla fusione e sospensione feriale dei termini: un parere, in Riv. not., 2010, 835 ss.), anche argomentando dalla genericità del termine – opposizione – usato dal legislatore, ritengono sufficiente che i creditori formalizzino il loro diniego mediante dichiarazione stragiudiziale, cui la società, se del caso, potrà reagire citando in giudizio i creditori, instaurando in tal modo il giudizio. Tale ricostruzione troverebbe specifica conferma nella dottrina che tende a qualificare l’opposizione come strumento di difesa dall’invasione dell’altrui sfera patrimoniale (Cabras, Le opposizioni dei creditori nel diritto delle società, Milano, 1978, 79 ss.).

Se si aderisse a tale ultima ricostruzione, non vi sarebbe assolutamente dubbio sulla ininfluenza della legge 7 ottobre 1969, n. 742 (appunto la legge sulla sospensione dei termini processuali nel periodo feriale) rispetto all’opposizione dei creditori.

È a tale impostazione che si rifà la massima n. 62 del 21 giugno 2005 della Commissione società del Consiglio Notarile di Milano, secondo cui “decorsi 60 giorni dall’ultima iscrizione nel registro delle imprese delle relative deliberazioni, l’atto di fusione (o di scissione) può essere ricevuto (e quindi depositato per l’iscrizione), pur non essendo trascorso l’ulteriore periodo di cui il termine per l’opposizione dei creditori sarebbe maggiorato in caso di applicazione della sospensione feriale”.

La Commissione societaria del Consiglio notarile di Milano argomenta la propria massima partendo dall'adesione alla tesi della non applicabilità della normativa sulla sospensione dei termini feriali all'atto di opposizione dei creditori, ma conclude per la ricevibilità dell'atto di fusione anche in ipotesi di pendenza del termine per l'opposizione ove dovesse ritenersi applicabile la predetta normativa, legittimandosi sulla base della profonda incertezza in materia (per una critica a tale orientamento, Cera, Termini per l’attuazione della fusione e per l’opposizione alla stessa, cit., 680 ss., secondo il quale la massima ha il fine - dichiaratamente espresso nella sua motivazione - di rispondere all'"odierna esigenza di puntualizzare i termini del complesso problema quantomeno sotto il profilo della ricevibilità dell'atto, e così della responsabilità disciplinare notarile", senza però curarsi di valutare con maggiore approfondimento le conseguenze nel caso in cui si applicasse la sospensione dei termini feriali - tra cui la teorica ma denegata possibilità di un opposizione successiva all'atto di fusione - sia sotto il profilo pratico degli effetti sulla gestione del processo di fusione per le società coinvolte, che sotto il profilo delle eventuali conseguenze in capo agli amministratori per la violazione dell'art. 2629 c.c.).

In sostanza, secondo la dottrina, la citata massima lascerebbe impregiudicato il problema di fondo relativo alla applicazione della sospensione feriale al termine di due mesi previsto per l’opposizione ex art. 2503, c.c., limitandosi la stessa ad affrontare il tema delle conseguenze di tipo disciplinare che dalla stipula dell’atto di fusione e dalla sua iscrizione, senza rispettare la sospensione feriale dei termini, potrebbero derivare al notaio rogante (Cacchi Pessani, sub art. 2503, cit., 770).

Laddove, invece, aderendo alla diversa impostazione della natura giudiziale, si dovrebbe concludere nel senso della applicabilità, salvo che ricorra quanto meno la medesima ratio sottesa alle ipotesi espressamente sottratte all’ambito di applicazione della legge n. 742.

In materia, il Consiglio Notarile di Roma ha elaborato la Massima “C. Aspetti pratici controversi in tema di fusione e scissione”, presentata a Roma il 6 giugno 2008, in cui si affronta la questione della necessità di rispettare, nel conteggio dei giorni per le opposizioni creditorie, anche la sospensione feriale dei termini processuali.

Tale Massima, sul presupposto che allo stato attuale della dottrina e della giurisprudenza sussiste una notevole incertezza sulla natura giudiziale o stragiudiziale dell’opposizione dei creditori alla fusione ex art. 2503 c.c., perviene alla seguente conclusione: «a carico del notaio chiamato a rogare l’atto di fusione non può configurarsi con riferimento alle suddette circostanze l’obbligo di rifiutare il proprio ministero ex art. 28 L.N., poiché non sussisterebbe in ipotesi una manifesta violazione di legge, stante l’incertezza della questione, la mancanza di orientamenti dottrinari e giurisprudenziali consolidati e il dovere del notaio di prestare il proprio ministero ex art. 27 L.N.».

In tale controverso dibattito si viene ora a collocare la posizione del Tribunale di Milano, cui si conformano il Giudice del Registro e la locale Camera di Commercio, favorevole alla applicazione della sospensione feriale dei termini.

Antonio Ruotolo e Daniela Boggiali

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Tribunale di Milano
Sezione ottava civile -
Il Giudice dott. Angelo Mambriani, decidendo sul ricorso ex artt. 700, 669 bis e ss. c.p.c., 2503 comma 2, 2445 comma 4 c.c., depositato in corso di causa in data 03.10.2011 da ALFA S.p.A.,
nei confronti di BETA,

(omissis)

ha emesso la seguente

ORDINANZA
I) Premessa.
Con atto di citazione notificato il 9.9.2011 BETA ha tratto a giudizio ALFA S.p.A. chiedendo, nel merito:
1. di inibire la deliberata fusione tra GAMMA S.p.A. e ALFA; 2. di dichiarare la nullità del bilancio di ALFA al 31.12.2010 o in subordine di annullarlo; 3. "previa occorrendo la dichiarazione di nullità o inefficacia o l'annullamento degli atti presupposti della delibera di fusione ed in particolare del progetto di fusione e della relazione degli amministratori ex art. 2501 quinquies: a) dichiarare che l'intera delibera di ALFA di fusione (i) è inefficace per mancata approvazione dell'assemblea speciale ALFA delle azioni di categoria A, o comunque (ii) è sottoposta alla condizione sospensiva di quest'approvazione; o, comunque (iii) dichiararla nulla ex art. 2379 o quantomeno (iv) annullarla ex art. 2377 c.c.; b) in ogni caso inibire l'esecuzione dell'intera delibera di fusione ALFA: (v) sine die, o quantomeno (vi) sino all'approvazione da parte dell'assemblea speciale ALFA delle azioni di categoria A".
A fronte di tale iniziativa ALFA ha proposto in corso di causa ricorso "ex artt. 700 e 669 bis c.p.c., nonchè 2503, II comma, e 2445, IV comma, cod. civ.", chiedendo in via principale, l'autorizzazione a "dare esecuzione alla fusione per incorporazione di ALFA S.p.A. in GAMMA S.p.A. ".
II) Le eccezioni di BETA.
BETA, nel resistere al ricorso avversario:
a) ne eccepisce l'inammissibilità;
b) allega la propria qualità di creditore ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 2503 comma 2 c.c.;
c) eccepisce l'invalidità di una serie di atti prodromici all'attuazione della fusione (bilancio ALFA al 31.12.2010; relazione del c.d.a. di ALFA ex art. 2501 quinquies c.c.; deliberazione di fusione assunta dall' assemblea di ALFA del 5.7.2011), assumendo che in sede di opposizione ex art. 2503 c.c., il Giudice debba vagliare incidenter tantum la validità degli atti medesimi, qualora ne sia eccepita la nullità od annullabilità;
d) assume che la fusione è improcedibile senza il suo consenso essendo essa locatrice dell'azienda condotta da ALFA ed essendo vietata la cessione del contratto ex artt. 1406, 1594, 1624 c.c., 26 del contratto di affitto e 2503 c.c.;
e) assume che la fusione determinerebbe la perdita dell'accreditamento presso la competente ASL dell'attività ospedaliera svolta da ALFA in ragione del disposto della delibera Giunta Regionale Lombardia n. 8/3257 del 4.10.2006 e della circolare n. 4 del 5.7.2007 della direzione generale famiglia e solidarietà sociale ("qualora la struttura di cui si intende trasferire l'accreditamento sia di proprietà di un soggetto diverso dal soggetto gestore, alla richiesta di trasferimento dovrà essere allegata una dichiarazione congiunta a firma di entrambi, da cui risulti l'assenza di impedimenti in ordine al trasferimento di parte o di tutta l'attività accreditata") nonché della mancata acquisizione del consenso di BETA, e ciò costituirebbe un illecito contrattuale ai sensi degli artt. 2561.2 c.c. e 22.1, 22.4, 27 del contratto di affitto d'azienda, nonché un motivo di carenza di giustificazione giuridica della fusione ai sensi dell'art. 2501 quinquies c.c.;
f) assume che la fusione determinerebbe l'inadempimento delle clausole del contratto di affitto d'azienda relative a religione ed etica (Premesse B, C, H e art. 18);
g) assume che il patrimonio netto indicato nel bilancio di ALFA è di euro 3.265.032, ma - in ragione della mancata appostazione di un "fondo di ripristino dell'efficienza iniziale dei beni dell'azienda affittata" ex art. 2561commi 1 e 2 c.c. per euro 9.275.000 - pari agli ammortamenti di beni immobili e mobili effettuati nel corso della vigenza del contratto - e di un fondo rischi per euro 5.115.174 - in connessione con il contratto a fini transattivi stipulato il 23.4.2010 tra la cedente delle azioni di ALFA, DELTA e l'acquirente EPSILON, che prevede una controversia su "configurabilità ed importo" di fondi rischi per il complessivo importo sopra indicato - esso diverrebbe negativo per circa 10,8 milioni di euro; a ciò bisognerebbe sommare la perdita relativa ai primi sei mesi di gestione 2011 - calcolata pari a 6/12 della differenza valore/costi di produzione dell'esercizio precedente - pari ad euro 4.244.000 circa e sommare il finanziamento di euro 3.000.000 effettuato da GAMMA nel semestre in questione; ne sortirebbe un risultato negativo pari a circa euro 12.045.000; la fusione determinerebbe quindi la perdita parziale del capitale di GAMMA, che passerebbe da euro 26.503.000 ad euro 14.458.000 circa;
h) In sede di memoria depositata il 18.10.2011 BETA ha dichiarato di avere formalizzato la risoluzione per inadempimento del contratto di affitto d'azienda e ha quantificato il risarcimento del danno dovutole in alcuni milioni di euro, così da un lato intendendo ulteriormente sottolineare la propria legittimazione quale creditore ex art. 2503 c.c., dall'altro evidenziando che il patrimonio post fusione scenderebbe ulteriormente fino a circa + 1,5 milioni di euro.
i) ALFA, come risulta dal suo ultimo bilancio, è autorizzato ad utilizzare linee di credito bancarie facenti capo alla controllante GAMMA per quasi 12 milioni di euro, mentre tale "credito" verrebbe meno a seguito di confusione nel patrimonio della società risultante dalla fusione. Le immobilizzazioni materiali di GAMMA sono gravate di garanzie reali per importi residui almeno pari al loro valore , sicché "le garanzie reali date da GAMMA al sistema bancario non lasciano ai creditori di ALFA alcuna garanzia sugli immobili di GAMMA", poiché i creditori di ALFA sono tutti chirografari. La fusione impedirebbe ai creditori di ALFA di esperire azione surrogatoria per far valere il credito di ALFA verso GAMMA o di chiedere sequestro conservativo sul patrimonio di ALFA.
l) Il disposto dell'art. 2447 bis comma 2 c.c. non consentirebbe la costituzione di ALFA in patrimonio destinato dopo la fusione con GAMMA.
m) In ogni caso non sussiste il periculum in mora allegato da ALFA (consistente nella percezione di maggiori contributi pubblici per circa euro 4.000.000 da parte di GAMMA post fusione in ragione appunto della avvenuta integrazione in capo al medesimo ente unico erogatore di un ulteriore polo sanitario e nell'esigenza di concludere la relativa pratica entro il 31 dicembre 2011).
III) Il ricorso è fondato e deve essere accolto.
- Ammissibilità del ricorso.
BETA ha eccepito l'inammissibilità del ricorso introduttivo della presente procedura affermando: - che l'opposizione alla fusione si propone nelle forme del giudizio ordinario di cognizione; - che essa è soggetta a decisione collegiale; - che l'istanza di autorizzazione alla fusione in pendenza di giudizio di opposizione "deve essere discussa e decisa in corso di causa nelle forme della cognizione ordinaria in ragione del suo cumulo con l'opposizione", sicché "va proposta esclusivamente nelle forme del giudizio ordinario di cognizione" e dovrebbe "richiedersi formulando apposita domanda riconvenzionale nella comparsa di risposta del convenuto tempestivamente costituito", talché anch'essa è assoggettata alla cognizione del giudice collegiale; - che tale istanza di autorizzazione, introducendo un giudizio sommario non cautelare - connotato dalla non previsione della valutazione del periculum in mora -, non potrebbe essere introdotta ex art. 700 c.p.c., che, come tale e nell'ambito di un giudizio siffatto, risulterebbe inammissibile per contrasto nei presupposti e per incompatibilità strutturale con il giudizio stesso; - ulteriore motivo di inammissibilità del ricorso ex art. 700 c.p.c. sarebbe dato dal fatto che l'esecuzione della pronuncia di accoglimento dell'istanza di autorizzazione "produce automaticamente effetti irreversibili, dato che ai sensi dell'art. 2504 quater c.c., l'esecuzione dell'iscrizione dell'atto di fusione preclude ogni pronuncia di invalidità dello stesso", sicché si tratterebbe di provvedimento "con pieno contenuto decisorio in quanto idoneo ad incidere in via definitiva sul diritto soggettivo del creditore ad impedire la fusione pregiudizievole".
- Ad avviso di questo Giudice, le affermazioni di parte resistente sono condivisibili solo in parte limitata, mentre la conclusione (inammissibilità del ricorso) non lo è affatto.
Anzitutto non pare esservi dubbio sul fatto che l'opposizione dei creditori ai sensi dell'art. 2503 ult. comma c.c. dia luogo ad un giudizio ordinario di cognizione da introdurre con atto di citazione.
In questo senso deponeva la giurisprudenza nettamente prevalente ante D.Lgs. n. 5 del 2003, che, pur rilevando il contenuto lato sensu cautelare del procedimento di opposizione, ne evidenziava la natura contenziosa - in quanto volta a prevenire atti in danno dei creditori, dunque di terzi, e lesivi della garanzia patrimoniale generica sul patrimonio del debitore - e l'esperibilità appunto mediante ordinario atto di citazione.
Entrato in vigore il D.lgs. n. 5 del 2003 e, in particolare, l'art. 33, giurisprudenza che questo Giudice condivide aveva affermato che tale disposizione - che prevedeva un procedimento nei confronti di più parti da trattarsi in camera di consiglio da parte del Tribunale in composizione collegiale - riguardava appunto solo l'istanza ex art. 2503 comma 2 c.c. (autorizzazione a dar corso alla fusione in pendenza di opposizione dei creditori), non l'opposizione in sé, sempre da introdurre mediante atto di citazione.
Tanto premesso in punto di modalità introduttive del giudizio di opposizione dei creditori alla fusione ex art. 2503 comma 2 c.c., vale soffermarsi sul problema della sua attribuzione alla cognizione del giudice collegiale od invece monocratico.
Vigente il D.Lgs. n. 5 del 2003 era pacifica l'attribuzione sia dell'opposizione che dell'istanza di autorizzazione al giudice collegiale poiché l'intera "materia societaria", salvo poche eccezioni, era attribuita al Tribunale in quella composizione (cfr.: artt. 1 let. a, Titolo I, Capi I, II, III, D.Lgs. cit.) e l'art. 33 prevedeva che il procedimento in camera di consiglio nei confronti di più parti si svolgesse innanzi al Collegio. Si instaurava dunque una simmetria tra collegialità del giudice del merito e collegialità del giudice del procedimento in camera di consiglio.
Abrogati gli artt. 1-33 D.Lgs. n. 5 del 2003 ad opera dell'art. 54 comma 5 l.n. 69 del 2009, la materia societaria è divenuta soggetta alle ordinarie regole di attribuzione e, dunque, al disposto dell'art. 50 bis c.p.c.
La questione, dunque, è, anzitutto, se l'opposizione dei creditori alla fusione rientri o no nel disposto del n. 5) dell'articolo in questione, che attribuisce alla cognizione del Collegio, per quanto qui rileva, le "... cause di impugnazione delle deliberazioni dell'assemblea e del consiglio di amministrazione...".
La risposta implica una valutazione circa la finalità e l'oggetto dell'opposizione ex art. 2503 comma 2 c.c. e la sua ricomprensione o no nel genus delle impugnazioni delle delibere assembleari.
L'individuazione di finalità ed oggetto dell'opposizione non costituisce operazione ermeneutica di particolare difficoltà, considerando che: - legittimati a proporla sono i creditori; - che essi non possono proporla quando vi abbiano consentito, siano stati pagati o somme pari al debito siano state depositate presso una banca o sia stata asseverata da società di revisione (con gli ulteriori requisiti indicati dall'art. 2503 comma 1 c.c.) la superfluità di garanzie a tutela dei creditori; - che il Tribunale può autorizzare la fusione quando "ritenga infondato il pericolo di pregiudizio per i creditori o la società abbia prestato idonea garanzia".
Tali elementi fanno univocamente concludere nel senso che la finalità dell'opposizione alla fusione deve rinvenirsi nella tutela della garanzia patrimoniale generica (art. 2740 c.c.) in favore dei creditori sociali, talché con l'opposizione il Giudice è chiamato a valutare la situazione economica, patrimoniale e finanziaria della società partecipante alla fusione ed accertare nel contraddittorio delle parti l'eventuale insufficienza patrimoniale della nuova società o della incorporante in luogo dell'originaria società.
E' immediato dunque constatare che esulano dal perimetro dell'opposizione tematiche relative all'invalidità degli atti nei quali si concreta il procedimento di fusione, peraltro in armonia anche con il disposto dell'art. 2504-quater c.c. ("1. Eseguite le iscrizioni dell'atto di fusione a norma del secondo comma dell'art. 2504, l'invalidità dell'atto di fusione non può essere pronunciata. 2. Resta salvo il diritto al risarcimento del danno eventualmente spettante ai soci o ai terzi danneggiati dalla fusione").
Ovviamente ciò non significa che delibere assembleari o di c.d.a. assunte nell'ambito del procedimento di fusione siano sottratte ad un vaglio di legalità intrinseca. Significa soltanto che lo strumento a mezzo del quale quel vaglio può essere compiuto non è l'opposizione ex art. 2503 comma 2 c.c., ma semmai, appunto le impugnazioni ex artt. 2377-2379, 2388 c.c.
Infine, a ben vedere, proprio in relazione alla sua funzione, si può dire che l'opposizione prescinde totalmente dalla validità delle delibere e degli atti societari che precedono l'atto di fusione (art. 2504 c.c.): essi ben possono essere intrinsecamente validi ma pregiudizievoli, sicché l'opposizione sortirà l'effetto di impedire il compimento dell'atto di fusione; oppure intrinsecamente invalidi ma non pregiudizievoli, sicché l'opposizione non potrà impedire che si proceda al compimento dell'atto di fusione. Ciò perché gli atti propedeutici (artt. 2501 ter e ss. c.c.) sono bensì necessari ma non sono affatto sufficienti a determinare la fusione, la quale costituisce invece il contenuto di un atto particolare, successivo e autonomo rispetto ad essi (artt. 2504, 2504 bis c.c.).
Riprove, sul piano ermeneutico, di siffatta ricostruzione si rinvengono sia nel disposto dell'art. 2503 comma 1 c.c., laddove consente che si attui la fusione senza che sia proponibile opposizione quando la società di revisione abbia asseverato l'assenza di pregiudizio per i creditori, sia nel combinato disposto degli artt. 2503 comma 2 e 2445 comma 4 c.c., laddove consentono, in presenza di opposizione, che si attui la fusione sol che la società presti idonea garanzia: se ne trae ulteriore conferma del rapporto esclusivo opposizione/pregiudizio ai creditori e dell'assenza di rapporto tra opposizione ed invalidità delle deliberazioni societarie prodromiche all'atto di fusione.
Queste ultime (rectius: le loro iscrizioni) fungono dunque da presupposti (cfr. artt. 2502, 2502 bis, 2503 comma 1 c.c.), non da oggetto del giudizio di opposizione.
Da quanto osservato sinora discende l'evidente alterità dello strumento dell'opposizione alla fusione rispetto all'impugnazione delle deliberazioni societarie che vengono a comporre il procedimento di fusione. Parte resistente attrice cita in contrario avviso un precedente di legittimità (Cass., n. 2321 del 1991), ma esso non può essere tenuto in considerazione poiché - a prescindere dalla scarsissima elaborazione del principio affermato -, a quell'epoca l'art. 50 bis c.p.c. era ben lungi dall'essere introdotto e, in generale, l'assetto delle attribuzioni e competenze tra giudici ordinari di primo grado era completamente diverso.
Se dunque l'opposizione alla fusione non può essere ricondotta al genus delle impugnazioni delle delibere assembleari, nemmeno si può ritenere che la sua cognizione sia attribuita al giudice collegiale, non rientrando nel novero delle cause di cui all'art. 50 bis n. 5) c.p.c..
Proseguendo su questa direttrice interpretativa, pare ovvio concludere che nemmeno l'istanza di autorizzazione ex artt. 2503 comma 2 e 2445 comma 4 c.c. è attribuita alla cognizione del giudice collegiale.
Parte attrice-resistente obietta, in subordine, che, poiché la causa di merito involge cumulativamente, oltre che l'opposizione ex art. 2503 comma 2 c.c. anche le impugnative di alcune delibere assembleari e del c.d.a. di ALFA, essa è attribuita in toto al Collegio ex art. 281 nonies c.p.c., talché anche il ricorso di cui si discute dovrebbe essere trattato avanti al Collegio.
L'argomento prova troppo, sia perché tanto i procedimenti cautelari cui si applicano gli artt. 669 bis e ss. c.p.c., per quanto strumentali rispetto ad una causa di competenza collegiale, sia i ricorsi per sospensiva di delibere assembleari o di c.d.a. (art. 2378 c.c.) sono attribuiti ad un giudice monocratico, ed anche perché, nel caso di specie, il ricorrente ha specificato di intendere chiedere, come ha chiesto, l'autorizzazione al Tribunale a dare esecuzione alla fusione in pendenza di opposizione, ritenendo estranee a questa richiesta le domande svolte da controparte in tema di validità delle delibere societarie propedeutiche. Quest'ultima affermazione è stata condivisa dal resistente-attore (né avrebbe potuto fare altro: v. supra).
Ne discende che vertendosi qui in tema di istanza di autorizzazione alla fusione in pendenza di opposizione, avendo essa natura cautelare (v. postea), ed essendo l'opposizione medesima attribuita al giudice monocratico, non si vede come quell'istanza potrebbe\dovrebbe essere invece attribuita a quello collegiale.
Non convincono nemmeno gli altri assunti della difesa di parte attrice-ricorrente.
In particolare non è esatto affermare che l'istanza di autorizzazione a procedere alla fusione in pendenza di opposizione sia annoverabile tra i giudizi sommari di cognizione non cautelari - tra i quali sono compresi, ad esempio, il procedimento monitorio e quello per convalida di sfratto -.
Infatti, anzitutto, l'istanza di autorizzazione a procedere alla fusione non ha struttura procedurale autonoma: può essere proposta solo in pendenza di opposizione alla fusione, cioè in corso di causa.
In secondo luogo, se si può convenire circa la natura sommaria del giudizio che il giudice è chiamato a svolgere (art. 2445 comma 4 c.c.: "Il tribunale, quando ritenga infondato il pericolo ..."), non si può non rimarcare la natura cautelare ed anticipatoria del procedimento in questione e la sua strumentalità rispetto alla tutela offerta dal giudizio di merito.
A fronte di un giudizio ordinario di cognizione avente ad oggetto l'opposizione del creditore e che ordinariamente avrà durata considerevole ma al quale è automaticamente riconnesso effetto impeditivo dell'attuazione della fusione in base agli atti societari prodromici già compiuti, è previsto un subprocedimento volto a tutelare l'interesse della società a conservare la validità degli atti compiuti - lunghi, complessi e costosi - ed a procedere in base ad essi alla fusione programmata, sul presupposto della ritenuta assenza di pregiudizio per i creditori opponenti. E' appena il caso di notare, infatti, che, poiché l'esercizio delle rispettive attività economiche da parte delle società coinvolte nella fusione prosegue parallelamente allo svolgersi della causa, le loro condizioni economiche e patrimoniali mutano, rendendo obsoleti, ad una certa distanza di tempo, gli atti in base ai quali la fusione è stata deliberata e può essere attuata.
In ogni caso si deve sottolineare che nel rapporto tra opposizione del creditore e autorizzazione richiesta dalla società si registra una inversione dell'onere probatorio: nella causa di merito è il creditore a dover provare il pregiudizio; nel procedimento cautelare incombe alla società la prova dell'inesistenza del pregiudizio allegato dal creditore.
Infine non può essere riconosciuto al provvedimento che conclude il sub procedimento autorizzatorio alcun effetto definitorio né natura di irreversibile statuizione in ordine al "diritto soggettivo del creditore di impedire la fusione per lui pregiudizievole". Basti por mente, a questi fini, al fatto che il Tribunale deve concedere l'autorizzazione anche quando la società presti idonea garanzia (rispetto al solo creditore opponente), sicché essa autorizzazione può esser data anche in assenza di alcuna valutazione circa l'effettiva sussistenza del pericolo di pregiudizio per i creditori nel loro complesso. Per sostenere la sua tesi, invero, l'attore-resistente è costretto a far riferimento al disposto dell'art. 2504 quater c.c., il che ne svela l'inconsistenza, sia perché la preclusione alla declaratoria di invalidità dell'atto di fusione è un effetto dell'iscrizione dell'atto stesso ai sensi dell'art. 2504 comma 2 c.c. e non del rigetto dell'opposizione o della concessione dell'autorizzazione, sia perché la preclusione concerne l'invalidità dell'atto di fusione - ma fa salvo il diritto al risarcimento del creditore che un pregiudizio abbia subito - mentre l'autorizzazione non concerne la validità dell'atto di fusione, peraltro non ancora compiuto al momento del suo rilascio.
Dunque si deve ritenere che il procedimento innescato dall'istanza di autorizzazione non solo ha natura cautelare, ma che tale funzione è talmente evidente dall'essere stata stabilita iuris et de iure, in astratto ed a priori, dal legislatore, che ha ritenuto superfluo prevedere in proposito qualsiasi accertamento da parte del giudice.
Da ciò discende che il ricorso ex art. 700 c.p.c. proposto in corso di causa, in quanto strumento cautelare atipico e residuale, è inammissibile di per sé in ragione della previsione di uno strumento cautelare tipico.
Nondimeno il ricorso ex art. 700 c.p.c. non rende inammissibile l'istanza di autorizzazione ex artt. 2503 comma 2 e 2445 comma 4 c.c., poiché - purché ne abbia le caratteristiche (prospettazione di assenza di pregiudizio per i creditori) - si converte agevolmente in tale istanza, considerando semplicemente che il giudice sarà esentato dal valutare la sussistenza in concreto del periculum in mora.
Nel caso di specie, tuttavia, tale operazione di conversione risulta superflua poiché, come fatto evidente anche solo dall'intestazione del ricorso, ALFA ha inteso presentare cumulativamente un ricorso ex art. 700 c.p.c. ed un'istanza ex artt. 2503 comma 2 e 2445 comma 4 c.c., talché, quand'anche sia ritenuto inammissibile il ricorso, rimarrebbe ammissibile l'istanza simultaneamente proposta.
- Si deve riconoscere la legittimazione di BETA a proporre opposizione alla fusione ex art. 2503 comma 2 c.c.
In particolare non si può disconoscere all'attrice-resistente, ai sensi dell'art. 2503 comma 2 c.c., la qualità di titolare di crediti anteriori alla pubblicazione del progetto di fusione.
La giurisprudenza formatasi sul punto - tenendo in debita considerazione la circostanza che la fusione è atto straordinario destinato ad avere rilevanti effetti economico-finanziari e patrimoniali proiettati nel futuro - ha adottato un'accezione molto ampia della categoria "creditore" intesa ai sensi e per gli effetti della normativa che ne occupa.
Non è dubbio, infatti, che vi siano ricompresi i crediti condizionati, a termine, relativi ad un rapporto in corso di esecuzione, chirografari o assistiti da garanzie ed anche i crediti litigiosi (purché la pretesa di presenti ragionevolmente fondata).
Orbene, nel caso di specie, in sede di memoria di costituzione depositata il 18.10.2011 BETA si è detta titolare: - di crediti risultanti dalle sue scritture contabili per euro 2.746.900,01; - di credito di euro 1.857.600 per canone di affitto d'azienda non pagato scaduto il 3.1.2008 (fatt. n. 1\2008); - di credito di euro 3.796.584 per canone di affitto d'azienda non pagato scaduto il 1.8.2008 (fatt. n. 1\2008); - di crediti rinvenienti dall'intervenuta risoluzione del contratto di affitto d'azienda a seguito di inadempimenti di ALFA, la maggior parte dei quali anteriori alla pubblicazione del progetto di fusione: credito per fee di uscita per euro 793.501,00; credito per penale contrattualmente prevista di euro 10.000.000; crediti per il risarcimento di ulteriori danni; - crediti di prestazioni infungibili di carattere etico e religioso.
Né in sede di ricorso né in sede di replica, né in sede di udienza ALFA ha preso una posizione precisa in ordine alle prime tre voci di credito, ed anche la risoluzione del contratto risulta formalizzata dopo il deposito del ricorso, sicché le connotazioni di esistenza ed attualità dei crediti risarcitori che da essa derivano hanno assunto una dimensione ben più concreta (salva ogni valutazione in punto di anteriorità rispetto al deposito del progetto di fusione).
Ciò posto, almeno con riferimento alle prime tre voci, risulta impossibile, allo stato, disconoscerne la rilevanza sul piano della legittimazione di BETA ad agire in questa sede. Tanto bastando, ai fini qui in rilievo, non mette conto procedere ulteriormente in questa sede nell'analisi delle altre voci fatte valere dal ricorrente.
- L'eccezione sub c) è infondata. Si è già chiarito più sopra come l'opposizione ex art. 2503 c.c. non abbia ad oggetto la validità degli atti prodromici all'attuazione della fusione.
- L'eccezione sub d) è infondata. Essa si basa su due presupposti impliciti, entrambi non condivisibili.
Il primo è che la fusione per incorporazione determini l'estinzione della società incorporata e la successione ad essa della società incorporante. Il secondo è che facendo valere il divieto di cessione del contratto il creditore sarebbe esentato dall'allegare e provare il pregiudizio derivante dalla fusione.
Orbene, quanto alla prima affermazione, va richiamato anzitutto l'art. 2504 bis c.c. dal cui testo, a seguito della riforma del 2003, è stato eliminato il riferimento alle "società estinte" proprio per chiarire che gli effetti della fusione non sono assimilabili a quelli della successione universale delle persone fisiche, non dando luogo ad un fenomeno di estinzione-sostituzione tra soggetti diversi e\o di trasferimento intersoggettivo di rapporti giuridici ma ad un unitario fenomeno evolutivo-modificativo degli enti giuridici partecipanti alla fusione, nessuno dei quali si estingue, verificandosi invece un fenomeno di unificazione per integrazione reciproca delle società partecipanti.
Tale impostazione, autorevolmente sostenuta in dottrina già prima della riforma del 2003, dopo la sua entrata in vigore ha trovato ampio seguito anche in giurisprudenza, a nulla rilevando che le affermazioni nel senso sopra indicato, molto nette e afferenti il fenomeno della fusione nella sua intrinseca natura giuridica, siano state poste a fondamento di soluzioni date ad eccezioni di tipo processuale (cfr. Cass., sez. un., 8.2.2006, n. 2637; Cass., n. 14526 del 2006; Cass., n. 1476 del 2007; Cass., n. 6845 del 2010).
Ne deriva che la prosecuzione in capo alla "società che risulta dalla fusione" di "tutti i ... rapporti" in essere in capo alle "società partecipanti alla fusione" (art. 2504 bis comma 1 c.c.) deve essere intesa nel senso che essa riguarda anche i rapporti concernenti l'affitto di azienda, salvo prova del pregiudizio impediente da provare nel caso concreto.
A quest'ultimo proposito si deve sottolineare che BETA non ha nemmeno allegato, in contrasto con il sistema dell'opposizione ex art. 2503 c.c., l'esistenza di un pregiudizio derivante ex se dal presunto "trasferimento" del contratto di affitto d'azienda da ALFA a GAMMA.
- L'eccezione sub e) non può essere condivisa.
ALFA ha spiegato con dovizia di particolari e riferimenti di normativa regionale come le delibere di giunta regionale citate da BETA e le relative circolari interpretative riguardano le strutture socio assistenziali, che, in quanto tali, sono regolamentate dalla Direzione Generale Famiglia ed affari sociali, mentre ALFA - in quanto struttura sanitaria e non socio assistenziale - è sottoposto alla normativa regionale che promana dalla Direzione Generale Sanità (in particolare dgr 6.4.2004 n. 17038 e successive modificazioni), che non prevede l'assenso del proprietario della struttura per il caso del trasferimento dell' accreditamento della attività da un gestore ad un altro.
- L'eccezione sub f) non può essere condivisa.
Occorre premettere che, ai sensi dell'art. 2504 bis c.c., la società incorporante assume "tutti i diritti e gli obblighi delle società partecipanti alla fusione", dunque anche quelli previsti dal contratto di affitto di natura infungibile concernenti religione ed etica nello svolgimento dell'attività dell'azienda affittata.
In questa prospettiva per un verso non resta che constatare la carenza di allegazioni di BETA in ordine alle ragioni per cui, dopo la fusione, si potrebbero prospettare pregiudizi sinora non verificatisi, e, per altro verso, che le prospettazioni di BETA, dove allegano inadempimenti di ALFA a tali clausole verificatisi già prima dell'iscrizione del progetto e delle delibere di fusione, si pongono in obiettivo contrasto rispetto alla prova di un thema che attiene al pregiudizio derivante dalla fusione, non dai comportamenti di una delle società partecipanti prima che essa sia stata progettata e deliberata.
In quest'ottica, tutte le allegazioni concernenti inadempimenti di ALFA verificatisi sino ad ora risultano obiettivamente irrilevanti rispetto all'oggetto della istanza di autorizzazione di cui si discute.
In ogni caso, come fatto palese dal disposto degli artt. 2503 e 2445 coma 4 c.c., il pregiudizio la cui sussistenza impedisce l'attuazione della fusione è di tipo patrimoniale - tanto da poter essere escluso in sede di relazione di una società di revisione o sterilizzato con la prestazione di idonee garanzie o addirittura con il pagamento -, sicché paiono ad esso estranei pregiudizi di genere diverso.
- Le eccezioni sub g) ed h), più che infondate risultano incomprensibili nella prospettiva dell'opposizione di cui si discute.
ALFA contesta fermamente sia le rettifiche che BETA ritiene invece dovute al suo bilancio al 31.12.2010, sia che il suo patrimonio netto sia divenuto negativo a tale data.
In ogni caso, BETA non contesta che il patrimonio netto dell'incorporante GAMMA sia positivo per oltre 26 milioni di euro.
Ciò posto appare evidente che, per quanto in ipotesi negativa, la situazione patrimoniale di ALFA dopo la fusione risulterà inevitabilmente, matematicamente, migliore di quella ante fusione.
- L' eccezione sub i) è parimenti incomprensibile.
Se i creditori di ALFA, prima della fusione potevano godere della garanzia costituita dall'utilizzo da parte di ALFA di linee di credito bancario di GAMMA limitatamente alla somma di quasi 12 milioni di euro, dopo la fusione - proprio in ragione della sopravvenuta confusione dei due patrimoni - quel limite verrà meno e risulteranno anche a loro disposizione, anche in executivis, tutte le linee di credito di cui gode GAMMA. In sostanza, per questo aspetto, i creditori di ALFA, dopo la fusione, saranno in condizioni certamente migliori di prima, potendo rivalersi direttamente sul patrimonio di GAMMA post fusione - certamente più capiente di quello di ALFA - senza dover utilizzare più complicati strumenti giuridici (es.: azione surrogatoria).
Non pare che - o comunque non ne è stata spiegata la ragione - la concorrenza dei creditori privilegiati di GAMMA danneggerebbe i creditori chirografari di ALFA: questi ultimi in ogni caso, prima della fusione, non avrebbero potuto soddisfarsi sui beni materiali di GAMMA e la stessa situazione si proporrà dopo la fusione, essendo evidentemente loro opponibili le garanzie reali in precedenza iscritte dai creditori ipotecari di GAMMA sui beni di questa.
- L'eccezione sub l) è irrilevante.
ALFA ha sottolineato che il progetto di fusione prevede la costituzione di ALFA, post fusione, come patrimonio destinato. L'attuazione di questa soluzione, determinando il permanere della stessa situazione attuale nei rapporti tra ALFA e GAMMA e tra ALFA ed i suoi creditori, renderebbe irrilevanti tutte le eccezioni di BETA. Si deve prendere atto, peraltro, che il patrimonio destinato non è stato ancora costituito, non essendosi ancora proceduto ad attuare la fusione. Ne deriva per un verso che ogni speculazione sulla futura costituzione del patrimonio appare inconferente e che, con riferimento alle eccezioni svolte da BETA, valgono le osservazioni espresse come sopra.
- Richiamate le considerazioni svolte circa natura e funzione del procedimento innescato dall'istanza di autorizzazione a procedere alla fusione in pendenza di opposizione, non mette conto trattare della sussistenza o no del periculum in mora, considerato ex lege insito nel protrarsi del giudizio di opposizione.
- Alla stregua di quanto sopra, si deve concludere che il ricorso merita accoglimento.
La regolamentazione delle spese processuali, trattandosi di procedimento in corso di causa, deve essere riservata all'esito del giudizio di merito.
P.Q.M.
Visti gli artt. 2503 e 2445 comma 4 c.c., respinta ulteriore domanda ed ogni contraria istanza, eccezione e deduzione,
AUTORIZZA
ALFA S.p.A. a dare corso alla fusione per incorporazione di ALFA S.p.A. in GAMMA S.p.A. per cui è causa.
Riserva la regolamentazione delle spese processuali all'esito del giudizio di merito.
Milano, 14 novembre 2011
IL GIUDICE
ANGELO MAMBRIANI


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