Verbale di inventario redatto da notaio: natura giuridica e forza legale delle attestazioni nello stesso riprodotte. (Cass. Civ., Sez. II, sent. n. 6551 del 16 marzo 2018)

L'ufficio ricoperto dal notaio ha natura pubblica ed agli atti rogati dal medesimo nell'esercizio della sua funzione la legge attribuisce pubblica fede. Il notaio, nell'assolvimento dei compiti inerenti ad accettazione di eredità con il beneficio di inventario, opera quale ausiliario del giudice che lo ha nominato, sicché la sua eventuale designazione da parte dell'erede accettante con beneficio si configura come semplice indicazione e non come vero e proprio conferimento di incarico professionale.
Tra i compiti del notaio, rientra quindi anche la diretta attestazione circa l'esistenza o no di ulteriori beni mobili da inventariare, risultando pregiudicata, in caso di mera riproduzione delle dichiarazioni in tal senso ricevute dagli eredi, l'elevata affidabilità che l'ordinamento pretende sul contenuto degli atti direttamente ricevuti dal pubblico ufficiale.
La ragione della previsione della redazione del verbale di inventario per mezzo di un pubblico ufficiale non risiede nella necessità di garantire il mero dato quantitativo della completezza delle attestazioni dell'erede, quanto piuttosto nella necessità di garantire un fattore qualitativo, derivante dall'elevato grado di perizia che ragionevolmente deve attendersi dallo svolgimento dell'attività da parte di un pubblico ufficiale. Per questi motivi, l'idoneità dell'inventario ad attestare l'effettiva consistenza patrimoniale del de cuius, anche a garanzia dei creditori di quest'ultimo, scaturisce tanto dalla completezza delle dichiarazioni rese dall'erede, quanto dalla pubblica attestazione svolta dal notaio.
L'inventario redatto dal notaio non può essere svalutato a mero atto riproduttivo delle dichiarazioni provenienti dai privati, e pertanto, come tale, ritenuto inidoneo a fornire alcun elemento in ordine alla effettiva titolarità dei beni ivi elencati in capo al de cuius, dovendo essere considerato (almeno fino a prova contraria) quale fonte privilegiata di convincimento in ordine alla ricostruzione e all'ammontare dell'asse ereditario, al momento dell'apertura della successione.

Commento

(di Daniele Minussi)
La diatriba risolta dalla S.C. era costituita dall'efficacia delle attestazioni relative alla presenza nel patrimonio del de cuius di beni immobili di cui si dava atto nel verbale. Tali risultanze risultavano difformi da quelle di cui alle visure catastali, di modo che si poneva il tema della prevalenza delle une sulle altre in relazione ad una successiva attività divisionale tra coeredi. Da un lato infatti la Corte d'Appello aveva ritenuto che il contenuto del verbale non avesse uno specifico valore probatorio, dal momento che non faceva altro se non riflettere le dichiarazioni delle parti, dall'altro chi reputava, al contrario, che la speciale perizia richiesta al pubblico ufficiale , implicasse un accertamento sulla reale consistenza dell'asse, non potendosi fermare alla mera riproduzione delle dichiarazioni di parte. E' il caso di osservare come, secondo questa impostazione, l'inventario assumerebbe una ulteriore dimensione certificativa che implica approfondimenti di speciale rigore in relazione al regime proprietario dei beni. Non ci si potrebbe infatti accontentare di una mera misura catastale, ma bisognerebbe risalire a tutti i titoli di proprietà per confrontarli ed analizzarli specificamente.

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