Cass. Civ. 12260/02. Usucapione di bene ricadente in comunione ereditaria

Il comproprietario può usucapire la quota degli altri comproprietari estendendo la propria signoria di fatto sulla res communis in termini di esclusività, ma a tal fine non è sufficiente che gli altri partecipanti si siano limitati ad astenersi dall'uso della cosa, occorrendo, per converso, che il comproprietario in usucapione ne abbia goduto in modo inconciliabile con la possibilità di godimento altrui, in modo tale, cioè, da evidenziarne una inequivoca volontà di possedere uti dominus e non più uti condominus. Qualora, invece (come nella specie) il comproprietario - coerede sia stato, a seguito di amichevole divisione del compendio ereditario, immesso nel possesso di un bene in assenza di un contestuale atto di mandato ad amministrare da parte degli altri coeredi, egli prende, per tale via, a possedere (anche ai fini dell'usucapione) pubblicamente ed a titolo esclusivo il bene assegnatogli de facto, senza che sia necessaria una formale interversione del titolo del possesso o un'interversione di fatto, una mutazione, cioè, negli atti di estrinsecazione del possesso medesimo tale da escluderne un pari godimento da parte degli altri coeredi.

Commento

La S.C. si pronunzia sulla contestata possibilità di usucapire il bene comune da parte di uno dei contitolari. A tal fine occorre che la condotta di costui sia del tutto incompatibile con la fruizione del bene da parte degli altri contitolari.
Concretando il principio in materia di comunione ereditaria incidentale, è stato deciso che la divisione bonaria dei beni (non materializzatasi nella riproduzione di tale accordo in un regolare atto trascrivibile) seguita dall'esercizio del possesso da parte dell'attributario del bene, integri gli estremi di una condotta sufficiente a sfociare in un acquisto per usucapione.

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