Amministratori di fatto di società di capitali



Viene definito come amministratore di fatto quel soggetto che, sprovvisto della relativa investitura da parte dei competenti organi sociali, pone in essere condotte di gestione nell'ambito dell'impresa collettiva . In concreto può verificarsi che il socio di maggioranza di una società di capitali si comporti da padrone, travalicando l'ambito delle proprie competenze, confondendo il potere che si esercita in assemblea per il tramite del diritto di voto con quello, di carattere operativo, proprio dell'organo amministrativo nota1 .

Tale comportamento può rilevare sia per i terzi, con i quali l'amministratore di fatto viene in contatto, spendendo il nome della società, ovvero comunque compiendo attività materiali (quali la riscossione di somme corrispondenti a crediti della società, il pagamento di forniture, etc.), sia nell'ambito dei rapporti tra l'amministratore e la società, ben potendo il primo cagionare un danno alla seconda in relazione al comportamento concretamente tenuto.

Prescindendo da ogni aspetto concernente la responsabilità penale, dovendosi a tal proposito assimilare l'amministratore di fatto a quello regolarmente in carica nota2 , assai discusso è se costui risponda (eventualmente in via solidale con gli amministratori regolarmente nominati) civilmente ai sensi degli artt. 2392 , 2393 2393 bis e 2394 cod.civ., norme che disciplinano la responsabilità dell'organo amministrativo nei confronti della società, dei soci e dei creditori sociali.

La giurisprudenza ha sempre escluso questo esito interpretativo, rilevando che l'applicabilità delle regole enunciate richiede necessariamente la preventiva instaurazione di un rapporto organico che rende possibile la diretta imputazione della condotta all'ente, ciò che invece si deve escludere nell'ipotesi di amministrazione di fatto nota3. Ovviamente l'attività dell'amministratore di fatto, non riferibile in alcun modo alla società, non andrebbe esente da reazioni, essendo ben possibile agire secondo le regola dell'illecito extracontrattuale (art. 2043 cod.civ.) (Cass. Civ. Sez. I, 6519/98 ).

Recentemente questo indirizzo, attentamente riconsiderato, è stato sovvertito.

La S.C. si è infatti espressa nel senso che le precitate norme che disciplinano l'attività degli amministratori valgono a disciplinare anche la condotta di chi si sia ingerito in fatto nella gestione della società in assenza di qualsiasi forma di investitura tanto regolare quanto anche solo implicita (Cass. Civ. Sez. I, 1925/99 ; Cass. Civ. Sez. I, 6719/08 ).

La Cassazione ha infatti rilevato che, in presenza di determinate condizioni, si determina l'insorgenza di rapporti obbligatori anche se la fattispecie negoziale non è conforme al modello tipico, con ciò evocando la tematica dei c.d. "rapporti contrattuali di fatto".Evidenza particolare in questo ambito meriterebbe il caso della gestione di affari altrui (art. 2028 cod.civ. ) ove si manifesta l'assunzione da parte di un soggetto di iniziative produttive di effetti nell'altrui sfera giuridica non supportate da una preventiva autorizzazione.

Da questi elementi viene tratto lo spunto in base al quale riconnettere l'applicabilità delle norme, di cui agli artt. 2392 , 2393 , 2393 bis , 2394 cod.civ., all'amministratore di fatto in base al rilievo oggettivo delle medesime. Esse disciplinano, infatti, oggettivamente l'attività di chi amministra, indipendentemente da una nomina formale implicita, ovvero dall'assenza totale di nomina nota4.

Giova osservare che il tema in esame, evidentemente connesso con i criteri di imputazione dell'azione di un soggetto all'ente (immedesimazione organica), lascia comunque impregiudicata la relativa questione, cioè a dire le condizioni alle quali l'atto debba essere ritenuto proprio dell'ente, valendo unicamente ad escludere che l'amministratore di fatto possa trincerarsi dietro lo scudo dell'assenza del nesso organico al fine di escludere l'applicazione degli artt. 2392 , 2393 , 2393 bis , 2394 cod.civ. relativamente al suo operato.

Note

nota1

Cfr. Ferrara jr.-Corsi, Gli imprenditori e le società, Milano, 1987, p.527.
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nota2

Di ciò la dottrina non dubita: cfr. Jaeger-Denozza, Appunti di diritto commerciale, vol.I, Milano, 1997, p.414.
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nota3

Di questo parere anche una parte di dottrina decisamente minoritaria (Cottino, Diritto commerciale, vol.I, t.2, Padova, 1987)
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nota4

E' questa l'opinione maggioritaria presso la dottrina: cfr. Jager-Denozza, op.cit., p.414 e Bonelli, Gli amministratori di s.p.a., in Tratt.dir.priv., diretto da Rescigno, vol. XVI, Torino, 1985, p.260.
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Bibliografia

  • BONELLI, Gli amministratori di s.p.a., Torino, Tratt.dir.priv. diretto da Rescigno, XVI, 1985
  • COTTINO, Diritto commerciale, Padova, 1987
  • FERRARA JR.-CORSI, Gli imprenditori e le società, Milano, 1987
  • JAEGER, DENOZZA, Appunti di diritto commerciale: impresa e società, Milano, 1997

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