Tribunale di Milano, sez. VIII del 2011 numero 10697 (24/08/2011)



In materia di responsabilità degli amministratori spetta all’attore danneggiato provare il danno e il nesso causale con il comportamento dell’amministratore, di cui sia allegata la natura inadempiente, mentre l’amministratore convenuto potrà esimersi da responsabilità solo provando l’adempimento o che l’inadempimento è dovuto a fatto a lui non imputabile ai sensi dell’art. 1218 c.c. Tuttavia, allorquando tali comportamenti non siano in sé vietati dalla legge o dallo statuto e l’obbligo di astenersi dal porli in essere discenda dal dovere di lealtà , coincidente col precetto di non agire in conflitto di interessi con la società amministrata, o dal dovere di diligenza, consistente nell’adottare tutte le misure necessarie alla cura degli interessi sociali a lui affidati, l’illecito è integrato dal compimento dell’atto in violazione di uno dei menzionati doveri. In tal caso l’onere della prova dell’attore non si esaurisce nella prova dell’atto compiuto dall’amministratore ma investe anche quegli elementi di contesto dai quali è possibile dedurre che lo stesso implica violazione del dovere di lealtà o di diligenza.

All’amministratore di una società non può essere imputato a titolo di responsabilità ex art. 2392 c.c. di aver compiuto scelte inopportune dal punto di vista economico, atteso che una tale valutazione attiene alla discrezionalità imprenditoriale e può pertanto eventualmente rilevare come giusta causa di revoca dell’amministratore, non come fonte di responsabilità contrattuale nei confronti della società. Ne consegue che il giudizio sulla diligenza dell’amministratore nell’adempimento del proprio mandato non può mai investire le scelte di gestione (o le modalità e circostanze di tali scelte), ma solo l’omissione di quelle cautele, verifiche e informazioni preventive normalmente richieste per una scelta di quel tipo, operata in quelle circostanze e con quelle modalità.

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